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LA “MALATTIA” ESISTENZIALE

e la Conferenza sul Futuro dell’ Europa

Stella Kyriakides, Commissaria alla Sanità

Salutiamo con favore i quattro articoli di Aldo Rizza sulla “Malattia dell’Europa” pubblicati su “Rinascimento Europeo”;al di là dei contenuti specifici,si tratta proprio di quel tipo di riflessioni culturali che sono preliminarmente necessarie per affrontare e risolvere le difficoltà in cui l’Europa è immersa, le quali sono ben più gravi di quanto i seppur moderatamente pessimistici toni della cultura “mainstream” permettano di percepire.

Questo tema è attuale soprattutto in questi giorni in cui prende avvio, con infinito ritardo e infinite difficoltà, la Conferenza sul Futuro dell’Europa, un compito “tremendum et fascinans”, eppure inaggirabile, a cui nessuno sa come mettere mano, proprio perché non è stata preceduta da un’adeguata riflessione culturale, quale quella che intendiamo qui proporre. Tant’è vero che sono anni ch’essa viene annunziata senza mai cominciarla.

Orbene, quella “malattia” si è oggi infinitamente aggravata: dalla crisi spirituale, a quelle economica, sociale e politica.

Giustamente Rizza ricorda che il tema della “decadenza” riguardava, già  per gli autori a cavallo fra l’800 e il 900, non solo l’Europa, il mondo intero, perché “l’Europa aveva dato forma al mondo”.

Il Covid-19 è solo una pallida metafora per descrivere questa malattia: anche in questo caso, comunque, si vede come l’habitus mentale dell’Europeo odierno -imprevidente, mediocre, disinformato, servile, indisciplinato-, lo renda meno atto a rispondere alle emergenze, per esempio rispetto alla Cina e a Israele, e ora anche agli Stati Uniti. Tant’è vero che i primi 11 Paesi del mondo per mortalità pro-capite sono europei.

Il declino dell’Europa non è altro che uno degli aspetti della crisi dell’umano di fronte alla tecnica dispiegata, di cui erano già consapevoli Nietzsche, Weber, Huxley, Heidegger, Asimov, Anders, Gehlen, Horkheimer e Adorno.

E’ “the Waste Land” di Eliot: un’armonia ancestrale deliberatamente spezzata dal progetto post-umanista, che rende l’uomo “antiquato” (Anders):

” A crowd flowed over London Bridge , so many,

I had not thought death had undone so many

Sighs, short and infrequent, were exhaled,

And each man fixed his eyes before his feet.

Flowed up the hill and down King William Street,

To where Saint Mary Walnooth kept the hours

With a dead sound on the final stroke of nine.”

In sostanza, già negli Anni ’20, al poeta nord-americano (e al suo sodale Ezra Pound), la borghesia europea, che popolava per esempio di white collars la Londra tardo-imperiale, appariva già come un popolo di  fantasmi

Certo, c’è un nesso, come spiegato a suo tempo dagl’idealisti, Weber, i positivisti, gl’Idealisti, i cosmisti e tanti altri, fra, da un lato,  il passaggio dalle religioni del Libro alla Religione positivista dell’ Umanità e, dall’ altro, l’era della tecnica dispiegata: il trasferimento delle speranze ultramondane nell’escatologia materialistica, esito quasi necessitato dalle radici apocalittiche della scienza moderna (vedi Newton) ha aperto il vaso di Pandora delle potenzialità implicite nelle antiche scienze orientali e occidentali, prima tenute a freno dalla “Kultur”. Dunque, come aveva ben visto Weber, e come confermato da una serie di autori,  si tratta non già della fuoriuscita dalle religioni abramitiche, bensì del sopravvento di una scuola teologica sull’altra: per Rizza, il marcionismo; secondo me, più genericamente, il passaggio  da Sant’Agostino, Averroè  San Tommaso, a Cotton Mather, Fiodorov e Teilhard de Chardin. Un passaggio che non riguarda dunque principalmente l’Europa, perché trae la proprie lontane origini dall’ Asia, esplode con la scoperta dell’America, e ritorna ancor più forte in Europa in un’era di crescente egemonia asiatica.

1.Un declino mondiale

Le radici più profonde di quel nichilismo affondano nelle filosofie pessimistiche dell’India, nel mazdeismo e nel neoplatonismo, che negavano al mondo quel ruolo positivo che invece gli riconoscevano la Bibbia e la cultura classica. L’humus comune a tutte le civiltà mondiali, dall’era della sedentarizzazione fino alla Modernità, era stato definito brillantemente da Jaspers come “Epoca Assiale”. La  “malattia” universale consiste in realtà nella  fuoriuscita dall’ Epoca Assiale, con la  perdita dei suoi millenari archetipi culturali: del senso grandioso e tragico della vita e della cultura. Più nessun’ epopea di Gilgamesh o di Ulisse, di Mosè o di Leonida, di Alessandro o di Cristo, di Maometto o di Re Carlo,  di Genji o di Faust, di Garibaldi o di Gandhi, e neppure di Oniegin o Madame Bovary, ma, al loro posto, il “Technological Sublime”, il “Futurismo”: le magnifiche sorti e progressive del “bello e orribile mostro”, dell’ “aeromobile”, dello Sputnik, di HAL o del World Wide Web,

Come intuiva già Nietzsche, abbondantemente citato da Rizza, il nichilismo teologico trasmigra in Europa attraverso mille rivoli, per poi passare in America  (sotto forma di millenarismo): attraverso il chiliasmo esoterico del Cristoforo Colombo del Liber de Profetiis e del Bacone di Nuova Atlantide, e fondatore di Terranova, i quali vedevano, nelle enormi possibilità di sviluppo dell’Eldorado, il primo, la realizzazione delle profezie bibliche, e, il secondo, l’inizio dell’era della ragione e della tecnica.

Dunque, la moderna tecnocrazia prende le mosse dall’ America:  dal progetto baconiano, dallo schiavismo (che, secondo Marx, faceva degli Stati Uniti il Paese all’ avanguardia mondiale e premessa all’ organizzazione razionale del lavoro). Per quanto concerne poi il suo “arrivo” in Europa, esso era forse parzialmente  evidente nelle menti dei suoi anticipatori europei moderni (per esempio, Newton e Fiodorov); ma troverà,  di nuovo, la sua espressione migliore in America, nel taylorismo e nel fordismo, e, poi,  il suo culmine nella visione del mondo  di Asimov (dove i robot prendono il sopravvento, soprattutto dal punto di vista “etico”).

Tale preminenza della tecnocrazia americana si era manifestata, prima, nella corsa post-bellica allo spazio, all’ informatica e agli armamenti, e, poi, dopo la caduta del Muro di Berlino, nella tesi della “Fine della Storia”, identificata con la vittoria di quello che Antonio Valladao aveva chiamato “America-Mondo”. Apparentemente, il contrario di quanto previsto all’inizio del secolo da Spengler, che invece aveva profetizzato il “Tramonto dell’Occidente”.

Eppure, Spengler aveva visto giusto: l’apparente vittoria dell’America si stava infatti convertendo in una sua sotterranea sconfitta a lungo termine. Né la Cina, né l’Afghanistan, né l’Irak, né i Balcani, né lo spazio post-sovietico, pur pesantemente investiti dall’ espansionismo americano, si stanno americanizzando: piuttosto, sono l’Asia, la Russia, e perfino l’Occidente, che si stanno “cinesizzando”.Ad esempio, il Bharatiya Janata Party, per competere con il Partito Comunista Cinese, ha lanciato una mastodontica campagna di iscrizioni che ne ha fatto il più grande partito del mondo (con 140 milioni di iscritti); la Russia, minacciata dall’ Occidente,  è divenuta l’alleato incrollabile della Cina; il Congresso Americano ha appena approvato un piano per l’intelligenza artificiale che è la copia conforme di quello cinese. Ed è questo il massimo problema politico degli Stati Uniti.

In definitiva, il grande malato è ora l’”Occidente” (proprio come pensava Spengler).

Riassumendo.

In progressione: l’Europa è il Paese più malato; un po’ meno l’Occidente; infine, lo è un poco tutto il mondo.

Il Ludus de Antichristo

2.Un declino trasversale

L’attuale declino mondiale non coinvolge un solo lato dell’esperienza umana, bensì l’insieme di quegli aspetti che, fino dall’ inizio della storia, eravamo abituati a considerare come parte essenziale dell’umano, inteso come un ecosistema complesso: senso della vita e slancio vitale, afflato mistico e volontà di potenza, razionalità e vitalità, amore e solidarietà, etica e prassi, estetica e felicità, diritto e libertà politiche. Ciò che è stato, sotto varie forme e con molti nomi, celebrato come “umano”, dalle civiltà primitive a quelle classiche, dalle religioni e dalla stessa Modernità, risulta oggi affievolito, umiliato e insostenibile, di fronte alla meccanizzazione della vita e alla delega di ogni attività alle macchine. Non per nulla oggi il termine più usato è:”fragilità”.

E’ “la Nuova Mitologia” del Primo Programma Sistemico dell’Idealismo Tedesco, la religione della scienza che genera “la Nuova Società Organica” di Saint Simon e di Comte. Ecco la chiave per comprendere la “malattia” della cultura: la Modernità è  un’”epoca critica” per eccellenza, che, secondo  Saint-Simon, conta storicamente solo come forma della transizione dall”Ancien Régime” dominato dall’ alleanza fra trono e altare alla “nuova società organica” retta dalla religione della scienza. Questa “criticità” è percepita come malattia spirituale: il “Disagio della Civiltà”(Freud).

Possiamo seguire questa mutazione antropologica partendo ancora da Nietzsche, dall’antica setta dei Rinunzianti all’ identificazione del Bene Assoluto  con la figura dell’imperatore achemenide quale Messia, per passare al carattere, al contempo, rassicurante e soffocante, dei catechismi delle diverse Chiese, e, poi, ancora, alla razionalità borghese.

Di qui possiamo poi partire per proiettarci verso lo “spirito oceanico” dei totalitarismi, fino al “caos calmo” della “società liquida”, e, infine, al “Technological Sublime” dell’Ideologia Californiana.

L’”Apparato” (“Gestell”) che ci soffoca, non è infatti solo la macchina, bensì qualunque “protesi” dell’ umano (Gehlen) che si sovrappone a quest’ultimo: la “Gabbia d’acciaio” di Weber costruita dalla razionalità calcolante,  anche se ciò che più assomiglia alla descrizione heideggeriana è l’attuale Complesso Informatico Militare.

Certamente, all’ interno di quest’ universale malattia, l’Europa è particolarmente malata, perché il suo carattere subordinato, dal punto di vista psicologico e culturale, tecnologico e militare, economico e politico, fa sì che qui non si possano neppure creare quegli anticorpi che si sono invece creati, e si continuano a creare, nel resto del mondo, e che hanno permesso di realizzare alcuni, isolati ma significativi, episodi di ribellione al progetto della Singularity Tecnologica: Petrov, Assange, Snowden. Tutti questi casi sono nati all’ interno dei meccanismi stessi del potere informatico-militare: unico spazio in cui si possano comprendere appieno le attuali dinamiche tecnologiche, e maturino le competenze necessarie per opporvisi. Infatti, nelle Superpotenze, l’appiattimento delle individualità, a dispetto delle ideologie, non può mai essere totale, perché ci vogliono comunque  alcuni leaders (della tecnologia, della finanza, dell’ esercito) per tenere a freno con la sorveglianza e le “covert operations” i popoli egemonizzati.

Invece, l’Europa  è stata addirittura a torto esaltata per decenni (per esempio, dal primo Kojève e dal primo Habermas), come la migliore incarnazione dell’ umanità post-istorica, liberata dalla volontà di potenza. In realtà, questa è una versione opportunistica della realtà, che vede in effetti l’Europa subire indifesa le imposizioni del Complesso Informatico-militare, senza avere alcun reale  strumento per rallentarne la corsa (a ciò non bastano certo quelle  normative europee che si pretendono “etiche”, ma che poi neppure le stesse Autorità riescono ad applicare): le testate nucleari sui nostri aerei di cui non abbiamo la “chiave”; la nostra rete, completamente esposta, più ancora che al GRU o all’ FSM russi,  alle 16 agenzie dell’ “Intelligence Community”; Echelon, Prism e i GAFAM che ci controllano e manipolano ininterrottamente….

L’informativa su questi temi che viene finalmente fornita ad alcuni nostri politici in alcune sedi formali non è certo sufficiente a renderci protagonisti del cambiamento, né a permetterci di gestirlo. Ogni fase della nostra storia è segnata da un ulteriore avanzamento di questa sudditanza, ma solo oggi i media  europei si stanno rendendo conto dell’incredibile passo in avanti che il Complesso Informatico Militare  sta facendo con l’ondata di acquisizioni d’impresa nel settore digitale da parte dei GAFAM, con l’installazione dei missili ipersonici, con la riforma del Complesso Informatico-militare sotto l’impulso della Commissione Schmidt; solo ora le Istituzioni Europee cominciano a riconoscere che “siamo stati ingenui” e cheora“l’Europa deve apprendere il linguaggio della potenza”(Borrell).

La Hvarenah, simbolo della grazia di Ahura Mazda

3.Al di là delle Chiese, dei partiti e dei regimi.

Interessanti anche le riflessioni di Rizza sul totalitarismo -in particolare, quello nazista-, quale snodo centrale di questo processo involutivo (per dirla con Améry, “Hitler quale precursore”). In fondo l’inizio del XXI secolo è ancora  immerso nell’età dei totalitarismi. Intanto, per la stretta connessione di questi ultimi con la storia occidentale, pre-totalitaria e post-totalitaria: con tendenze nazionali ancestrali già riscontrate dalla psicanalisi, poi anche con i valori della classicità e del Medioevo; con le eresie delle religioni abramitiche, e anche con l’esoterismo e con le rivoluzioni democratiche, con le filosofie “mainstream”, con Nietzsche e con i partiti europei pre-rivoluzione. Ma anche con quella della Cina e degli Stati Uniti, punti di riferimento essenziali per la  storia del paradigma totalitario (basti pensare all’ ideologia dei Taiping e alla “Cancel Culture”). Non parliamo poi del sistema  internazionale, ancora tutto ricalcato, di fatto, sul postumanesimo di Nietzsche e di Fiodorov, sugli schemi dell’economia di guerra, dello stalinismo e del corporativismo, sulla Grossraumwirtschaft e sui progetti europei dibattuti nel Terzo Reich.

Ancor oggi Est e Ovest stanno convergendo, al di là delle polemiche propagandistiche, verso un unico modello “totalitario” di subordinazione della società al progetto post-umanista, dello Stato al Complesso Informatico-Militare, e  delle persone  alla sorveglianza di massa.

Dunque, al di là delle retoriche manipolative, vi sono state ben poche fratture fra le varie fasi della Modernità, bensì, al contrario, un affermarsi ininterrotto dell’“Apparato” (sia esso costituito dalla razionalità calcolante, dal militarismo, dal dogmatismo religioso o ideologico, dal moralismo, dalle burocrazie statali e industriali, dalla “normalizzazione “concentrazionaria, dalla razionalità tecnocratica o dal “politically correct”).

Senz’altro, l’Europa ha dato, e sta dando, il suo contributo (in negativo) a questa problematica  vicenda universale (contributo che viene strumentalmente enfatizzato, ma che, soprattutto oggi, si risolve in una sua particolare indolenza). Questo contributo è lo stesso ch’era stato paradossalmente esaltato, dal primo Kojève e dal primo Habermas, come un’anticipazione dell’agognata Era Post-Istorica, ma che invece altri (per esempio Leontijev e Berdjajev), avevano già giustamente stigmatizzato come “inizio della decadenza universale”).

La particolare “malattia” della società europea si configura dunque come l’incapacità di reagire alle successive ondate di “omologazione” scatenate dai GAFAM secondo la strategia delineata ormai da tempo   ne “The New Digital Age” di Schmidt e Cohen e criticata per esempio da Noam Chomski. Un fenomeno che va dominato hic et nunc, facendo leva sulla crescente  domanda, che oggi si diffonde soprattutto in Francia e in Germania, di sovranità digitale europea,  e sul contributo delle culture non occidentali. L’ambizione espressa dalle Istituzioni europee, di fare dell’Unione il “Trendsetter del dibattito mondiale” sul digitale costituirebbe, perciò, per l’Europa, se veramente perseguito,  il più nobile degli obiettivi, a condizione ch’essa si liberasse, al contempo, e della cultura chiliastica e nichilistica che la paralizza , e della soggezione politica nei confronti del Complesso Informatico-Militare.  Invece, i molti strumenti fino ad oggi approntati  si sono rivelati sterili, perché come dimostrato già anche solo dalle sentenze Schrems. non si fondano, né sull’effettiva disponibilità in Europa delle nuove tecnologie, né su un autonomo potere normativo e coercitivo.

Basti pensare che il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione contro le “armi autonome”, ma l’Unione viene esclusa dalle discussioni, che s’intendono avviare fra USA, Russia e Cina, sul divieto dei sistemi di “Mano Morta” nucleare, con i quali si affida alle macchine la decisione ultima sull’ avvio della guerra nucleare (commissione Schmidt). Già solo questo fatto dimostra quanta strada occorra ancora percorrere per divenire il “Trendsetter del Dibattito Globale”.

Sotto molti punti di vista, il processo di trasferimento del potere alle macchine è certamente più avanzato in altri Continenti, dove la cultura nazionale si fonde ancor più che da noi con l’avanzare inesorabile delle macchine intelligenti. Basti pensare al fatto che la “Gabbia di Acciaio” di Max Weber è strettamente legata alla religiosità  puritana, più americana che europea; come pure dal fatto che sono oggi gli USA i custodi e i tutori del progetto della “Singularity tecnologica”. E certamente non sono estranei a quest’avanzata delle macchine, né la mistica giapponese dei robot come nuovi kami, né la presunzione ortodossa e poi sovietica di “costruire Dio” con la tecnica, simile a quella dei Bahai e degli Hojjatiyye iraniani; né, infine, la generalizzazione della società della sorveglianza in Cina e in Israele.

Il guaio è che, con l’arretratezza della nostra economia, non sono i nostri principi a diffondersi altrove, bensì siamo noi a subire i principi altrui. Là dove i nostri principi vengono ripresi (come nel caso del DGPR), ciò avviene perché la disapplicazione di quest’ultimo ha convinto i legislatori extraeuropei ch’essi sono comunque innocui quando si oppongono alla ragion di Stato, e anzi costituiscono una difesa contro le accuse rivolte alla reale situazione di fatto. Si noti che la Cina è oggi la maggiore importatrice delle norme europee sul digitale, ch’essa applica addirittura con più determinazione dell’Europa stessa. Tuttavia, essa può farlo perché ha una sua forte industria digitale, a cui in effetti impone una severa normativa antitrust, con multe miliardarie, e sta imponendo una specie di DGPR. Invece, l’Unione Europea pretenderebbe d’imporre  le proprie leggi ai GAFAM, che hanno uffici, server e società fuori dell’ Unione, e quindi possono permettersi, non soltanto di non rispettare le regole UE, ma addirittura di tenere sotto ricatto i politici europei, impedendo loro di applicare le proprie leggi.

L’Europa deve riuscire a governare se stessa, prima di guidare il dibattito mondiale

4.L’Europa “Trendsetter del Dibattito Mondiale”?

Ciò che si richiederebbe ora dall’Europa, per poter essere veramente il “Trendsetter del dibattito mondiale” sarebbe uno scatto di orgoglio, un “Rinascimento Europeo” che le facesse riprendere veramente il suo posto fra i grandi “Stati-Civiltà”, recuperando la sua sovranità culturale prima ancora di quelle politica, militare, tecnologica ed economica, di cui si sta ora parlando. Solo così essa potrebbe avviare, al suo interno, quella ricerca e quel dialogo che, soli, possono permettere di affrontare in modo adeguato la pesante trasformazione in corso, eliminando i tabù culturali accumulatisi nella storia, attraverso tutta la sua evoluzione storica. E solo così essa potrà pretendere di essere riconosciuta dagli altri Continenti come un interlocutore alla pari, e chissà, domani, come un esempio. Oggi come oggi, invece, pretendere d’ impartire lezioni agli altri è solo una ridicola presunzione, che diminuisce ulteriormente la credibilità del nostro Continente.

Infatti, come nota la Fondazione Adenauer,  “nei Paesi dell’ Europa Occidentale, orientati verso la scienza e la tutela dell’ individuo, non  sono sorti attori globali. Questo deriva in gran parte da una diffusa diffidenza nei confronti delle tecnologie digitali, e dal conseguente atteggiamento difensivo della politica.  Vengono sostenute soprattutto opere di ricerca, poli aperti di dati il trasferimento di tecnologia verso settori consolidati e le piccole e medie imprese, ma non invece la formazione di una voce creativa a livello globale.

Lo studio continua:” d’altra parte, la pretesa di configurare l’Intelligenza Artificiale secondo i dettami etici non viene seguito da proposte concrete. Per poter partecipare alla configurazione del mercato digitale europeo e a quelli di altre aree del mondo, bisogna essere capaci di ragionare al di là del DGPR. Invece, l’etica e il senso di responsabilità degli Europei e dei Tedeschi si lasciano volentieri travolgere dalle forze dell’economia digitale”

Certo, un siffatto  Rinascimento Europeo non potrà prescindere dalla rilettura assolutamente innovativa dei principali snodi della storia culturale: dalle tracce in Europa di svariate civiltà orientali, al carattere tragico delle culture classiche, alla problematicità dell’Illuminismo, alle ragioni profonde della “distruzione della Ragione”, fino alla necessità della comparazione continua fra le civiltà, sulle tracce di Spengler e di Toynbee.

Ne potrebbe nascere una nuova “missione dell’ Europa”, alternativa rispetto a quella delineata nel corso dei secoli da Vieira, Condorcet, Cobden, Hugo, Mazzini, Macauley, Kipling, Kojève, Gehlen, Habermas…., ch’era quella di portare in tutto il mondo i lumi della civiltà moderna, realizzando così la Fine della Storia. Essa sarebbe invece quella di frenare l’entropia generata dall’eccessiva frenesia del nuovo, così come avevano postulato Ottone di Frisinga, Kierkegaard,  Leontiev, Soloviov, Berdiajev, Simone Weil, e, infine, Pietro Barcellona…: “l’Europa come Katèchon”. Nel fare ciò, la cultura europea potrebbe incontrarsi proficuamente con le “civiltà pre-alfabetiche”, con l’indigenismo latinoamericano, con i San Jiao del mondo sinico, con le religioni indiche, con l’Islam, con l’intelligencija critica americana: questo, sì, l’unico vero approccio universale, ecumenico, multiculturale, multipolare e multilaterale che sia oggi possibile.

Questa incontro dovrebbe aver luogo soprattutto sul tema delle “Virtù”, che è quello fondamentale per il dominio sulle Macchine Intelligenti, come dimostrano i casi di Petrov, Assange e Snowden, che, per salvare la pace, hanno agito virtù eroiche tratte da contesti “tradizionali”. Questo tema è particolarmente malvisto in Occidente, perché in contrasto con la retorica della Fine della Storia, che vorrebbe l’eccellenza individuale oramai obsoleta grazie al controllo dell’Apparato sulle difficoltà della vita. Di qui l’esaltazione di caratteri umani “liquidi”, privi di personalità, di volontà e di vitalità, completamente fiduciosi nella rivoluzione pilotata dal “mainstream”, e completamente succubi della “macchina mondiale”. Anziché le “virtù”, che disegnano una personalità forte e differenziata, i “diritti”, che non richiedono nessuno sforzo, perché garantiti dall’ Apparato ai suoi fedeli seguaci,  e, semmai, i “doveri” quale concetto speculare e omogeneo ai “diritti”. Ma questi sono cose che vanno bene nei parlamenti  e nei tribunali, non nella vita, dove, sulle “leggi scritte” prevalgono le “leggi non scritte”, i “comandamenti”. Perchè solo uomini  in carne ed ossa possono difendere la vita.

Per questi motivi, lo sforzo per cristallizzare l’etica dell’intelligenza artificiale attraverso i cosiddetti “codici etici” si è scontrato fino ad oggi con l’inadeguatezza delle culture attuali a comprendere le poste in gioco, e, di conseguenza, ad approntare i necessari rimedi. La parola d’ordine europea del “Trendsetter”, non diversamente da quella pontificia de “l’Europa…. come un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile”, per non essere pura retorica, deve avere per base una presa concreta sulla realtà, tanto umana quanto  tecnologica.

Si rende perciò  innanzitutto necessario un rinnovamento reale della società europea, un “Rinascimento Europeo”  per dotarla innanzitutto delle tecniche più avanzate, che la pongano in grado di comprendere e d’influenzare il dibattito sull’avvenire del mondo. Poi, anziché lanciare campagne maccartiste di demonizzazione, occorre studiare le logiche delle altre civiltà, per avviare un dibattito serio, come quelli a suo tempo intavolati, per esempio, dai Gesuiti,  dagl’Illuministi, da Guénon e da Pound. Tra parentesi, basta leggere l’ultimo numero di “Foreign Affairs” per vedere come gl’intellettuali americani, in netto contrasto con le isterie fondamentalistiche della politica, si orientino anch’essi in concreto soprattutto verso lo studio delle culture e delle politiche degli altri continenti, soprattutto i più ostili, vera chiave di lettura per ogni politica mondiale nel XXI secolo. Esattamente il contrario di quella “Cortina di ferro culturale” che mira ad impedirci di fruire dei prodotti più attuali (siano essi antichi o contemporanei) del pensiero di altre parti del mondo (siano essi le opere di Gandhi, i saggi di Daniel A. Bell e Zhang Wei Wei).

Infine, a questo movimento di approfondimento senza censure, ne dovrebbe seguire a ruota un altro, altrettanto gravoso: quello di trasformare radicalmente, secondo questi principi, tanto la nostra società, quanto l’ambiente circostante.

Si riuscirà, alla fine, a sanare quella malattia dell’Europa? Certo, non totalmente, perchè siamo tutti comunque contingenti ed effimeri, e quindi aveva ragione Paul Valéry quando scriveva “noi civiltà ora lo sappiamo: siamo mortali”. Tuttavia, come aveva affermato invece Matteo Ricci ne “il vero significato del Signore del Cielo”,” anche se in un qualche modo potrebbe aver ragione il Buddha, noi invece vogliamo ancora conservare questo mondo” (e questo è in fondo anche il senso delle encicliche di Papa Francesco)”.

Perciò, ben vengano sforzi come quello di Rizza, particolarmente attuali per tutti i motivi che abbiamo detto. Sarebbe anche ora di trovare uno spazio accogliente per questo tipo di ricerche, da cui dipende completamente la sopravvivenza, non solo dell’Europa, ma del mondo intero.

BREXIT: L’EUROPA NON E’ SOLO LA UE

Un arcipelago britannico da sempre multiculturale

L’Inghilterra ha lasciato la UE, ma non può lasciare l’Europa.

L‘arcipelago britannico, con le sue molteplici tradizioni -celtiche, latine, germaniche, monarchiche, cristiane, illuministiche e antimoderne-, costituisce parte integrante ed essenziale dell’Identità Europea, della quale siamo tutti custodi. Siamo infatti responsabili  del futuro dell’intera Europa, non solo per la parte che si riconosce nella UE.

Oggi, in un’era che si autoproclama multiculturale e pluricentrica, dovrebbe essere più chiaro che mai che una sola parte dell’Europa (neanche l’ Union Europea) non può pretendere di essere il tutto.

Infatti, dell’Europa fanno parte, oltre alla UE:

1)Il Regno Unito;

2)Islanda e Norvegia;

3)la Svizzera;

4) i Paesi slavi Orientali (Russia, Ucraina e Bielorussia);

5)i Balcani Occidentali;

6)La Turchia;

7)il Caucaso.

Inoltre, come civiltà, l’Europa ha delle ramificazioni in alcuni luoghi delle due Americhe, nel Medio Oriente (Israele) e in Oceania (Australia e Nuova Zelanda).

 

 

1.La Paneuropa oggi

Tutto ciò, considerato nel suo insieme, costituisce la Paneuropa, non come la vedeva Coudenhove Kalergi nel XX secolo, bensì come possiamo vederla noi oggi, vale a dire uno “Stato-civiltà” come la Cina, o qualcosa che assomiglia all’”Asia Meridionale” degl’Indiani, alla “Patria Grande” latinoamericana o al “mondo islamico”.   Il Movimento Europeo dovrebbe propugnare delle politiche, e ideare delle istituzioni, che siano adeguate, tanto per gli attuali Paesi della UE, quanto per quelli al di fuori della stessa, vale a dire per l’intera Paneuropa. D’altronde, oggi il mondo è congegnato in modo tale che, spesso, sulle politiche europee, incidono più i Paesi fuori dell’Unione che quelli dentro. Basti pensare alla Perestrojka, ai gasdotti, alla Libia, alla decisione inglese, adottata il giorno stesso della Brexit, di non escludere dal proprio mercato la Huawei…Con quest’ultima decisione, il Regno Unito ha dimostrato una indipendenza maggiore dell’Unione dagli Stati Uniti, così come aveva fatto la Turchia decidendo di acquistare i missili russi.

Ovviamente, per fare ciò, occorrerà “mettersi nei panni” degl’Inglesi, degli Scozzesi, dei Serbi, dei Bosniaci, dei Russi, degli Ucraini, dei Turchi e dei Curdi, riconoscendo a ciascun gruppo (ciascuna “macroregione europea”) una sua specifica missione storica. Cosa che può sembrare impossibile alla luce di quanto accaduto fino ad ora, ma che lo diverrebbe molto meno qualora si cercasse veramente un minimo comune denominatore, che può essere trovato solo nelle radici culturali comuni, che vanno dall’antico Medio Oriente alla Bibbia, dalla cultura classica alle migrazioni di popoli, dalle corti alle repubbliche, fino a illuminismo, romanticismo, decadentismo, modernità e postmodernità: Gilgamesh  e Mosè, Ippocrate e il Canto dei Nibelunghi, Dante e Ariosto, Montesquieu e Novalis, Voltaire, Nietzsche, Horkheimer e Adorno. Questo ”minimo comun denominatore” può essere definito, secondo un numero crescente di autori, come Jaspers, Voegelin, Assmann e, recentemente, anche Habermas, dalle particolari versioni mediterranee e occidentali della comune civiltà mondiale dell’ “Epoca Assiale”, caratterizzata innanzitutto dalla scrittura e dalle religioni di salvezza.

Hattusas in Anatolia: la prima civiltà di lingua “Kentum”

  1. Civiltà assiali, pre-assiali e post-assiali

Come constatato da Horkheimer, Adorno, Eisenstadt e Kojève, la “civiltà assiale” ha subito, certamente, soprattutto in Occidente, un processo di secolarizzazione, che è restata però spesso alla superficie. Come sosteneva Freud, la pretesa “coscienza europea” non poteva sopprimere la più profonda “Identità Europea”. E, infatti, da un lato, sono sopravvissute civiltà “pre-assiali” (secondo Eisenstadt, Israele e, secondo Kojève, il Giappone); dall’ altro, vi sono paradigmi ereditati dall’epoca pre-assiale (divino e profano, mito e rito, eoni e Apocalisse, popoli e nazioni) che sono rimasti insuperati e inaggirabili. Nel caso dell’Europa, non si è riusciti a liberarsi da archetipi come quelli della Legge, dell’Apocalisse, dell’Impero, della Crociata, che ricompaiono continuamente sotto le più diverse spoglie: l’Imperativo Categorico; la Fine della Storia; la Comunità Internazionale; le Guerre Umanitarie, ecc…

Non si tratta affatto dei cosiddetti “nostri valori” contro i “valori degli altri”, bensì proprio delle nostre irrisolte ossessioni, che ci costringono a continui rivolgimenti intorno agli stessi temi: fra l’ascetismo patriarcale e la fratellanza matriarcale; fra il mito del Progresso e quello dell’Anticristo; fra l’universalismo e il personalismo; fra il multiculturalismo e lo spirito missionario. Non per nulla l’oracolo di Delfi affermava: “conosci te stesso”, e, a questo fine, abbiamo inventato la psicanalisi. Che ci riporta ai più profondi archetipi del nostro inconscio collettivo- vale a dire   all’ Identità Europea-.


Pictured: Malcolm McDowell in A CLOCKWORK ORANGE, 1971.

“Arancia Meccanica” di Burgess : la più dura allegoria  di un’ Europa violenta  e impotente

3.Dalla cultura della crisi alla Via della Seta

Il minimo comune denominatore degli Europei lo possiamo trovare, dunque, nella “cultura della crisi”, che aveva sperimentato, proprio  nell’ Inghilterra, all’ avanguardia dell’industrialismo, le severe critiche antimoderne di Carlyle, Arnold, Ruskin, Hulmes, Huxley, Orwell, Burgess, Laughland e Grey; ma anche nell’”Italian Though” di Mosca, Michel, Pareto, Rensi, Tilgher, De Finetti e Pirandello; nella centralità dell’Anticristo per Dostojevskij e Soloviov; nello spirito antiborghese di Hamsun; nel ribellismo di Kusturica; nel  trasversalismo dell’intellettuale ceco-turco-giapponese-americano Irvin Sick.

Oggi, sul piano politico, questa post-modernità paneuropea si manifesta nella resistenza contro la tecnocrazia digitale (con i suoi profeti Huxley, Orwell e Burgess), che trova espressione nella tutela della privacy, nella web tax, nelle indagini antitrust contro i GAFA e nelle aperture alla Nuova Via della Seta, che ha reso possibile il North Stream e il Turk Stream, il MOU Italia-con la  Cina, il  rifiuto della messa al bando dell’ Iran e della Huawei…

I cittadini di Istanbul bloccano con i loro corpi i carri armati sui pont del Bosforo

  1. Un’Europa poliedrica -delle civiltà, delle religioni, delle euroregioni, delle nazioni, dei popoli, delle città e delle persone-

Quest’ Europa poliedrica è più di una confederazione, un’Unione o una federazione: è un grande soggetto politico e culturale “sui generis”,  che dovrà agire sempre più in modo unitario sulla scacchiera mondiale, al di là della sua forma istituzionale, ma fondandosi piuttosto su un’unica élite combattente, quegli “Europaioi” che già Ippocrate aveva definito “autonomoi” .

Le Istituzioni vanno concepite solo come degli strumenti per un fine: nel caso dell’ Europa, la riaffermazione, la difesa e il “ringiovanimento” (“zhèn xīng”, per usare un’espressione di Xi Jinping) -contro la decadenza e il post-umanesimo- dell’Identità Europea.

In questo contesto, occorrerebbe immaginare forme di dibattito culturale dedicate proprio e soltanto ai rapporti con le specifiche macroregioni europee. Per esempio, sulla falsariga di “Iles” di Norman Miles, occorrerebbe approfondire il carattere multietnico ed europeo dell’arcipelago britannico, oppure, su quella di una pluralità di autori (Asin Palacios,Bassam Tibi, Menocal, Cardini), la storia e natura dell’ Euroislam.

Soprattutto, occorrerebbe smetterla di considerare Russi, Turchi e Balcanici come “popoli senza storia” e “nemici ereditari”, studiando invece  quei contributi preziosi ch’essi hanno dato, e possono continuare a dare, alla vita culturale, economica, ma anche politica e militare, dell’Europa.

Long life to Europe! да здравствует Европа! çok yaşa Avrupa! 欧洲万 !