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DAL RIGETTO DEL FUNZIONALISMO,

Il Parlamento: il luogo del delitto

L’URGENZA DI RISCRIVERE IL DIRITTO EUROPEO

A un’opinione pubblica (anche specialistica) deculturata, ideologizzata e ignava, si è voluto da sempre far credere che l’idea-forza dell’integrazione europea post-bellica fosse stata costituita dal federalismo (buono o cattivo ch’esso sia). In realtà, per esplicito o implicito riconoscimento, da un lato, di Monet e di Schuman, e, dall’ altro, di Spinelli, tale idea-guida è stata invece il funzionalismo, che Spinelli aborriva. Il federalismo fu ed è invece un’ideologia minoritaria e tutt’ora repressa (come ai tempi della Rivoluzione francese, quando Vergniaud venne addirittura ghigliottinato).

Quindi, non ha senso accusare ora il federalismo europeo di colpe non sue, bensì del funzionalismo.

Possiamo esimerci parzialmente dall’ illustrare nel dettaglio questo assunto rinviando al dissacratore pamphlet di Luca Caracciolo “La Pace è finita”, che investiga in modo spietato (ma, a nostro avviso, ancora non esaustivo) i meccanismi reali dell’ integrazione postbellica, quale effettivamente avvenuta.

Ripartire dai fondamenti

1.Un errore risalente

Si è anche soliti affermare che “i padri fondatori” dell’Europa non erano fautori di questo funzionalismo, bensì erano cultori dei “veri valori dell’Europa”, che sarebbero stati misteriosamente abbandonati. Di fatto , tutti i politici che crearono le Comunità Europee (Monet, Schuman, ma anche Adenauer e De Gasperi) si muovevano in un ambito integralmente funzionalistico, salvo Coudenhove-Kalergi e Spinelli, che però, dopo avere caldeggiato per tutta la vita l’integrazione europea, nella  realtà vennero poi esclusi dai processi politici effettivi, salvo che Spinelli fu cooptato negli ultimi anni di vita, ma solo per ratificare e benedire un processo ch’egli aveva da sempre duramente criticato.

Mentre il federalismo è una tendenza politica millenaria, che risale perfino agli antichi Semiti ed Indoeuropei (cfr.Eisenstadt e Haarmann), attuata in Grecia e nei regni medievali (cfr.Althusius), e, oggi, in buona parte del mondo (Hamilton, Djiordjievic), il funzionalismo è, invece, una delle ideologie della post-modernità, affermatasi intorno alla IIa Guerra Mondiale in parallelo alle “Conferenze Meany sulla Cibernetica”), applicata alla psicologia, all’architettura,  alla sociologia, all’ informatica e alle scienze politiche,  la quale afferma che tutte le attività umane si possono ridurre a delle “funzioni”, potenzialmente trasferibili alle macchine. Idea poi descritta brillantemente da Manuel de Landa ne “La guerra nell’era delle Macchine Intelligenti”, e che costituisce il nocciolo duro del credo post-umanista (la “Trasfusione senza Spargimento di Sangue”, dagli uomini alle macchine attraverso il deep learning)

Il federalismo costituisce invece un freno all’ omologazione universale propedeutica alla società del controllo totale, dando un peso specifico a ciascun elemento costituente di una grande catena gerarchica, che oggi viene chiamata “Multilevel Governance”, e che costituisce la “rete neurale” della politica, cioè del “governo degli uomini”.

Nel caso specifico dell’integrazione europea, i teorici politici funzionalisti sostenevano che le costituende Comunità Europee non avrebbero dovuto essere nulla più che semplici organizzazioni internazionali specializzate (come l’Unione Postale Mondiale o l’Unione Internazionale del Lavoro), e non avrebbero dovuto ambire a clonare la struttura federale americana. E, almeno su questo secondo punto, avevano evidentemente ragione, perché il tanto evocato modello hamiltoniano (di tre secoli fa) si riferiva a un territorio lontano e spopolato, ben diverso dalla complessissima Europa.

All’ approccio funzionalistico era ispirata espressamente proprio la “Dichiarazione Schuman” (in realtà letta da Schuman prima di fuggire dalla conferenza stampa da lui stesso convocata, ma scritta da Jean Monnet insieme al Segretario di Stato Dean Achinson). I “Piccoli passi” sarebbero state le singole, progressive, messe in comune di “funzioni”, fino a costituire uno Stato Europeo, primo tassello di uno Stato mondiale, quale quello mirabilmente descritto da ^Juenger nell’ omonimo libro.

Per quanto i “veri” padri fondatori delle Comunità Europee avessero anch’essi in mente, essi pensavano invece, nell’ immediato,  a una federazione europea (o Paneuropa), con una missione politica specifica, e fondata (anche se soloparzialmente) su una concezione del mondo erede della cultura “alta” europea. Coudenhove Kalergi pensava alla creazione di un “Pantheon europeo” sul modello della Piazza degli Eroi di Budapest, e a uno Stato federale paneuropeo governato da un’élite mista, di aristocratici, alti borghesi e managers; Spinelli, a un Congresso del Popolo Europeo ispirato al Congresso Nazionale Indiano di Gandhi, al pensiero anti-utopistico di San Paolo  e a quello elitario di Nietzsche. Ambedue avevano in mente un’immagine “eroica” dell’Europeismo, simile alla concezione confuciana.

Riteniamo che un Pantheon europeo avrebbe ancora senso, includendovi per esempio Omero, Ippocrate, Socrate, Platone, Leonida, Pericle, Cesare, Augusto, San Paolo, Diocleziano, Costantino, Giustiniano, Carlo Magno, Cirillo, Metodio, Federico di Svevia, Dante, Carlo V, Leibniz, Voltaire, Napoleone, Nietzsche, Coudenhove Kalergi e Spinelli.

Invece, per Mitrany, Haas, Monnet e Schuman, le Comunità Europee avrebbero dovuto avere compiti veramente minimalistici: il “perseguimento della pace” ( descritta da tutti come la motivazione principale dell’ integrazione europea) si sarebbe ridotta in realtà ad evitare uno scontro immediato fra Francia e Germania  per il controllo dei bacini carbosiderurgici occupati dalla Francia dopo la guerra , e i “piccoli passi” si sarebbero tradotti nella creazione di un mercato comune che permettesse la colonizzazione dell’ Europa da parte delle multinazionali. Cosa che si sta puntualmente verificando con l’influenza della Mackinsey sui governi italiano e francese, della Microsoft e della Pfizer sulle istituzioni, ma soprattutto dei GAFAM sull’intera vita degli Europei.

Tutto ciò mascherato (come si sta facendo ancor oggi) da un’ossessiva retorica escatologica sulla Fine della Storia (cfr. Kojève, consulente del Governo Francese, ispiratore del più recente Fukuyama), tacendo invece tutte quelle brutture dell’Europa censurate dai media (resistenza antisovietica ad Est, guerra civile greca e spedizione di Suez a Sud, maccartismo, strane morti di Olivetti e Mattei), che costituivano già tempo fa una plateale smentita della “Fine della Storia” e della “Pace Perpetua”, propagandate dalle retoriche dell’ Europa.

Invece, quei politici europeistici (cfr. Servan-Schreiber, Gorbaciov, Mitterrand), che avrebbero voluto dare, all’integrazione europea, un vero volto politico, furono zittiti; i partiti politici furono ricostituiti esattamente com’erano nel 1922 (o nel 1933), senza considerare il decorso di parecchi decenni, e, quindi, su basi nazionali, senza un ruolo centrale dell’Europa, quale reso necessario dall’ era della globalizzazione.

Nel frattempo, nel resto del mondo erano nati l’Unione Indian, Israele, la Repubblica Popolare Cinese, la dissidenza nell’ Europa Orientale, l’equilibrio nucleare, la decolonizzazione, l’informatica, l’unipolarismo, il Comitato di Shanghai, le Nuove Vie della Seta. Da tutto questo, l’Europa restava, e resta, deliberatamente e visibilmente assente. La cosiddetta Europa “forza gentile” è, in realtà, un’Europa preda e zimbello di tutti.Come ha affermato Stefania Craxi, sottosegretario agli Esteri, “al soldo di forze straniere”.

Le multinazionali
dominano l’ Europa

2.Il Comitato d’Affari della Borghesia

Come sarebbe possibile che il personale politico dedicato a quest’impresa  tecnocratica potesse essere motivato eticamente, consapevole culturalmente, solido politicamente, competente tecnicamente? Come sarebbe possibile che qualche cittadino pensasse di combattere “sul campo di battaglia”, come si dice adesso, per una specie di  “Unione Postale Internazionale”?

Non ci si può pertanto dichiarare continuamente “stupiti” dello scarso entusiasmo dei cittadini, né della corruzione dei politici.

Intanto, è risaputo che i politici nazionali hanno sempre guardato con sufficienza a quelli europei, considerati come politici “di seconda scelta”. Oggi, quando le questioni europee (guerra e pace, allargamento, crisi economica) s’ impongono per forza propria all’attenzione generale, e quindi  finirebbero  per dare prestigio alle Istituzioni Europee, i leader nazionali si prendono tutta la scena mediatica, benché siano, spesso, ancor meno qualificati e motivati di quelli “europei”.

In queste condizioni, le periodiche défaillances dell’Europa (la “perdita di pezzi”, come Inghilterra, Norvegia, Turchia,… e anche Russia;la scomparsa di fronte alla NATO -vedi Ramstein-; la  crisi economica senza fine ; il  moltiplicarsi di guerre sul suo territorio -Baltici,Grecia, DDR, Ungheria, Cipro, ex-URSS, ex-Jugoslavia-)  sono giunte tutt’altro che inaspettate. Anzi, esse erano state predette fin dall’inizio da molti (a cominciare da Spinelli, per finire con Przywara, de Gaulle e Servan-Schreiber).

Il finto stupore del mondo istituzionale nei confronti delle vicende picaresche di cui sono protagonisti Europarlamentari e ONG europee sono l’ennesima prova dell’ipocrisia puritana che dominala politica. La concezione funzionalistica dell’uomo e della società non po’ portare, infatti, se non all’entropia generalizzata. In attesa che le macchine assumano il controllo totale, che cosa può fare l’umanità se non lasciarsi andare passivamente al corso degli eventi? E, se questo è il significato ultimo delle cose, la politica non può essere che un gioco assurdo fra poteri impersonali e un’effimera salvezza individuale. Chi si trova nell’ ingranaggio non ha, né un motivo, né la capacità, per opporsi.

La Bruxelles “Capitale” (così come l’avevano descritta Marcell von Donat e Robert Manasse) è stata costruita come la mecca di centinaia di migliaia di lobbisti e agenti segreti, che vi rappresentano tutti gl’interessi particolaristici del mondo, perseguiti con ogni genere di mezzi. Un vero “comitato d’affari della borghesia”(Marx). Come pensare che in tutto ciò non vi sia anche un elevato livello di corruzione, ché, anzi, la prevaricazione del denaro sulla cultura, sulla politica e perfino sulla religione, risulta essere il vero movente ideologico di tutta la costruzione. Basti pensare al peso che hanno, sulla politica, i GAFAM, le banche d’affari e le industrie degli armamenti.

Il Qatargate, come tutti i precedenti scandali della Commissione, non sono che sprazzi di luce su un mondo inquietante (“die Bruesseler Machenschaften”), che ben presto daranno occasione a nuovi scandali.

Ora, gli scandali che si affollano sul Parlamento Europeo, e ancor più quelli, fino ad ora tacitati, della Commissione, costituiscono una prova schiacciante di quest’inadeguatezza strutturale della costituzione materiale dell’Europa di oggi a svolgere, in modo anche solo accettabile, i compiti sovraumani che l’attendono (presa di controllo sulle macchine intelligenti, umanesimo digitale, nuova architettura mondiale).

Di qui l’urgenza di quella riforma generale delle Istituzioni, da tutti invocata, ma mai seriamente pensata.

L’Europa nosce come progetto di élites, non di lobbies, e deve tornare ad esserlo

3.Fuori dalla crisi

Come uscire da questa crisi sempre più fitta dell’Europa in un momento in cui infuria sul suo suolo una guerra sterminatrice?

Se la ragione ultima della crisi è il funzionalismo, occorre innanzitutto fuoriuscire da quest’ultimo:

-dal punto di vista filosofico, rimettendo al centro quello che lo Spinelli “notturno” chiamava “l’azione che edifica”, contrapposta al conformismo indotto dal determinismo stortico;

-da quello culturale, focalizzandoci sui dilemmi del Postumanesimo (Singularity, Uebermensch?);

-da quello politico, facendo una scelta precisa fra la “Trasfusione senza Spargimento di sangue” di De Landa e la lotta per la liberazione dell’Europa dalla Società del Controllo Totale, quale portata aventi per esempio da Maximilian Schrems;

-da quello sociale, rivalutando:

 (a), come volevano Coudenhove Kalergi e Spinelli, il ruolo di nuove élites europee, che, formate sulla base di una cultura multipolare, siano capaci di sostenere la lotta contro le forze dell’entropia, e, nello stesso tempo;

(b) quello del lavoro organizzato attraverso la più europea delle istituzioni, la partecipazione dei lavoratori (secondo il modello della Betriebsvrerfassungsgesetz);

-da quello istituzionale, conducendo una vera e propria “battaglia culturale”dentro i partiti europei, affinché si ricentrino sui rispettivi ruoli storici (oggi platealmente abbandonati), fornendo così, ai propri rappresentanti e ai loro elettori, dei motivi validi per condurre le loro battaglie politich:.”le famiglie europee non rappresentano più correnti ideali, programmatiche e identitarie. Questa è una realtà di fatto che vale ancor più per i socialisti europei, all’ interno dei quali ci sono tendenze non sovrapponibili.”(Stefania Craxi)

L’Europa dei Giudici non garantisce
la certezza del diritto

4.Il ruolo del Movimento Europeo

Il compito di intraprendere queste azioni spetterebbe istituzionalmente al Movimento Europeo, il quale dovrebbe, però, per primo, prendere le distanze dal funzionalismo imperante, dal cinismo generalizzato e dalle ideologie dichiarate unanimente come obsolete obsolete, compiendo una revisione a 180° della narrativa corrente:

-riconoscere il carattere di “longue durée” dell’ integrazione europea, parallelo a quello di altri movimenti d’integrazione subcontinentale, quali quelli della Cina e dell’ India, che risalgono tutti ai primordi dell’Epoca Assiale (Imperatore Giallo, Ashoka, Impero Romano);

-ritornare ai “fondamentali” dello spirito dell’integrazione europea, rifiutando i luoghi comuni e i riflessi pavloviani del “politicamente corretto”;

-riscoprire lo specifico del federalismo europeo in Montesquieu e in Tocqueville, con il loro terrore per la “tirannide della maggioranza” e per la “passione dell’ eguaglianza”, e la loro insistenza sui “corpi intermedi”, che, oggi, servirebbero innanzitutto a spezzare l’omologazione universale e l’egemonia dei GAFAM.

L’Associazione Culturale Diàlexis  è attiva su questi fronti da ben 17 anni, e sta concentrandosi proprio sul tema della crisi dei partiti di fronte a dibattito sul futuro dell’ Europa.

Sta uscendo, per la serie “Quaderni di Azione Europeista”, il Quaderno n.3 del 2022, “Verso le elezioni del 2024: I partiti europei nella tempesta”.

Non è tollerabile che un combattente per la trasparenza del web
resti prigioniero in Europa per pressioni degli USA

5.Ricostruire l’Ordinamento Giuridico Europeo

Ma, a parte queste importanti e ovvie considerazioni, è l’insieme del quadro emergente a dimostrare il caos organizzato che esiste a tutti i livelli:

-la maggior parte dei politici coinvolti nel Qatargate appartiene ai Democratici e Socialisti, il gruppo di europarlamentari che più si affannerebbe (a parole) per la tutela dei diritti umani, perfino là dove essi non sono particolarmente minacciati, e soprattutto dove l’influenza dell’ Europa è “0”. Orbene, è proprio per addolcire (con successo) la loro posizione che i famosi finanziamenti sono arrivati;

-addirittura, sarebbe coinvolto il presidente dei sindacati europei, che dovrebbe essere il primo a preoccuparsi dei diritti dei lavoratori; Già nel 1998, la Commissione guidata da Jacques Santer era stata obbligata a dimettersi in blocco per le accuse di corruzion;

ufficialmente, ci sarebbero 12.500 lobbisti attorno alle istituzioni europee, in realtà il loro numero è molto superiore: secondo Transparency International siamo più vicini ai 40mila addetti. Secondo uno studio del 2012, si tratta di un affare che pesa complessivamente più di 3 miliardi l’anno.Nel 2016 la Commissione aveva formulato fatto una proposta per rendere obbligatoria l’iscrizione al Registro e per la creazione di un comitato etico e deontologico indipendente. Ma per ora ci sono pochi controlli, nessuna sanzione, né protezione per i whistleblower.

– una volta riconosciuto che il lobbismo è lecito e perfino incoraggiato, come si fa a distinguere fra quello ammissibile (per esempio, quello da parte dei proprietari di giornali e televisioni) e quello che non lo è? Tutto il lobbismo si basa infatti sul principio di fare un qualche favore  ai legislatori o agli amministratori(anche solo teorico, come una buona recensione sui media) per influenzare il contenuto delle loro decisioni?Io ti finanzio (o ti sostengo) la campagna elettorale, e tu adotti le leggi che mi fanno comodo (vedi industrie digitale,  automobilistica, verde e della difesa).

-in particolare, come si fa a pensare che nessun Paese cerchi d’influenzare a suo favore l’opinione pubblica di altri Paesi quando  è in corso da sempre a livello mondiale una lotta di tutti contro tutti per spartirsi sfere d’influenza (la “Guerra senza Limiti”)?ci sono solo alcune lobby che possono operare liberamente, ed altre no?

-che altro sono, se non massicci finanziamenti per influenzare l’opinione pubblica, quelli sovietici del dossier Mitrokhin, il National Endowment for Democracy, le Open Society Foundations di Soros, l’Albert Einstein Institution e Cambridge Analytica, e poi ancora tutte indistintamente le ONG?

-è intollerabile che questioni così importanti di politica istituzionale europea siano soggette ai diritti degli Stati Membri, che in tal modo possono condizionare indebitamente (per esempio attraverso i servizi segreti)  il comportamento degli eurodeputati (o di altre Istituzioni);

-tutto ciò anche perché non esiste un diritto penale europeo, e l’Europol ha poteri molto limitati;

-ancor più grave che tutto ciò sia stato iniziato “da sei servizi segreti europei”, fra cui non quello italiano, che avrebbe dovuto essere il maggiormente interessato. Si può sapere quali sono gli altri 5?

-i servizi segreti sono poi i migliori tutori dei diritti dei cittadini, o ne sono spesso gli affossatori?

E’ chiaro che l’ordinamento giuridico europeo presenta una quantità inaudita di lacune, in cui chicchessia può infiltrarsi.

Una reale rifondazione di tale ordinamento non potrà avvenire se non con un lavoro sistematico, che parta dalla cultura, dalla storia e dal diritto costituzionale, non già con dei successivi rattoppi (come la Conferenza sul Futuro dell’ Europa o la “Comunità Politica Europea”, che non affrontano i veri e più urgenti problemi).

Perciò, continuiamo a richiamare tutti, con le nostre iniziative editoriali, e, soprattutto, con i Quaderni di Azione Europeista, allo studio e al dibattito fra i cittadini, la cultura e i partiti europei, sull’insieme di questi problemi, oramai giunti a un elevato livello d’ insostenibilità.

Con “Verso le Elezioni del 2024” intendiamo fornire, al Movimento Europeo e ai Partiti Europei, una serie di suggerimenti su come affrontare la crisi esistenziale in corso, per porsi nelle condizioni minime per poter intervenite sulla riforma dell’ Europa.

 Dopo di che, in una seconda fase, occorrerà rivisitare, con un altro “Quaderno” in preparazione, le basi storico-filosofiche dell’ integrazione, rispondendo anche alle giuste provocazioni di Caracciolo.

Sulla base di questa rivisitazione, procederemo, infine, a sintetizzare, in un terzo “Quaderno” le proposte emerse dal dibattito, da proporre per la Legislazione 2024-2018.

RICAPITOLAZIONE E RETTIFICA DEL PROGRAMMA DELLE PRESENTAZIONI AL SALONE DEL LIBRO (Salone In e Off)

SALONE DEL LIBRO DI TORINO 2022

PROGRAMMA “CANTIERI D’ EUROPA”

SALONE IN

21 maggio, Lingotto,

Sala Arancio,ore 12.15

UN PONTE FRA EST E OVEST

PRESENTAZIONE DEL LIBRO: UCRAINA; NO A UN’INUTILE STRAGE 

 Con: Virgilio Dastoli,Riccardo Lala, Marco Margrita Alessio Stefanoni, Enrico Vaccarino

Attenzione: le credenziali Zoom sono state cambiate:

Ora: 21 mag 2022 12:00 AM

Entra nella riunione in Zoom

https://us06web.zoom.us/j/81381685241

ID riunione: 813 8168 5241

Sabato 21 maggio Centro Studi San Carlo, Via Monte di Pietà 1, ore 15.00

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE  NEI GIORNI  DEL CONFLITTO UCRAINO

PRESENTAZIONE DI: “ INTELLIGENZA ARTIFICIALE E AGENDA DIGITALE”, PENSARE PER PROGETTARE IL FUTURO

Con: Marcello Croce, Ferrante De Benedictis,Riccardo Lala,Marco Margrita, Enrica Perucchietti

Entra nella riunione in Zoom
https://us06web.zoom.us/j/89121340117?pwd=ajFZQ3NEdnlaWDVkUVEvRTAvTzdJZz09

ID riunione: 891 2134 0117
Passcode: 997292

Domenica, 22 Maggio,

Casa del Quartiere  di San Salvario, Via Morgari 10, ore 16.00

GALIMBERTI E CHABOD:

L’IMPRONTA DELLE ALPI OCCIDENTALI SU RESISTENZA ED EUROPA

DAL PASSATO AL FUTURO DELL’ EUROPA

PRESENTAZIONE DEL LIBRO: PROGETTI EUROPEI NELLA RESISTENZA

 Con Pier Virgilio Dastoli, Marcello Croce, Marco Margrita. Aldo Rizza, Alessio Stefanoni

Entra nella riunione in Zoom
https://us06web.zoom.us/j/86298136839

ID riunione: 862 9813 6839

GALIMBERTI E CHABOD:

L’IMPRONTA DELLE ALPI OCCIDENTALI SU RESISTENZA ED EUROPA

Domenica, 22 Maggio,

Casa del Quartiere  di San Salvario, Via Morgari 10, ore 16.00

DAL PASSATO AL FUTURO DELL’ EUROPA

PRESENTAZIONE DEL LIBRO: PROGETTI EUROPEI NELLA RESISTENZA

 Con Pier Virgilio Dastoli, Marcello Croce, Marco Margrita. Aldo Rizza, Alessio Stefanoni

RICCARDO LALA ti sta invitando a una riunione pianificata in Zoom.

Entra nella riunione in Zoom
https://us06web.zoom.us/j/86298136839

ID riunione: 862 9813 6839

La Savoia: nocciolo duro
del regno burgundo

1.Savoia europea

La Savoia era già un’Europa in miniatura. Il suo territorio era stato attribuito dai Romani ai Burgundi, popolo germanico originario dell’ isola baltica di Bornholm (Burgundaholmr), come “premio” per aver combattuto a fianco dei Romani e contro gli Unni sui Campi Catalaunici. I Burgundi (Worms, Gunther, Hagen, Crimilde) sono perciò al centro del Canto dei Nibelunghi e del Waltharius, ma i Romani avevano loro destinato la Sapaudia (Savoia), così chiamata per i suoi abeti (“sapins”).

La Savoia era dunque una contea del regno dei Burgundi, poi “di Arles”. I suoi  signori, originariamente franchi, si espansero dai due lati delle Alpi, divenendo vicari imperialoi tanto in Italia quanto in Provenza, eunendo popoli di Langue d’Oil, Langue d’Oc, Franco-Provenzali, Schwytzerduetch, Walser, Piemontesi,Valdesi, Italiani.

Attraverso la Savoia arrivò in Italia il Gotico Internazionale. Emanuele Filiberto e Eugenio di Savoia erano stati i grandi condottieri del Sacro Romano Impero, mentre il Piemonte era stato poi annesso integralmente da Napoleone alla Francia. Lo Statuto Albertino era stato scritto in Francese, e Torino era la città preferita del filosofo tedesco Nietzsche.

Non stupisce dunque che anche in epoca recente gli abitanti dell’antico Ducato avessero mantenuto una tempra al contempo altrettanto internazionale ed altrettanto combattiva (Gramegna). Abbiamo avuto infatti, in Piemonte e in Valle d’Aosta, due dei più dignificativi comandanti partigiani, e, al contempo, teorici dell’ Europa: Duccio Galimberti e Federico Chabod, di cui, deplorevolmente e misteriosamente, nessuno si ricorda.

Emanuele Filiberto, vincitore a San Quintino

2.Duccio Galimberti

Galimberti, avvocato e poi comandante del CLM piemontese per Giustizia e Libertà, ucciso misteriosamente durante una finta liberazione, fu l’unico giurista nel corso della storia ad avere scritto una costituzione coordinata italiana ed europea. Un uovo di colombo: come evitare i continui conflitti di competenze che paralizzano la vita dell’ Unione Europea (Germania, Lituania, Polonia, Ungheria)? Basta scriverle contemporaneamente, come due “gradini” di una stessa costruzione istituzionale.

Oltre a questa geniale idea, la costituzione di Galimberti precede di trent’anni le pur timide prime bozze del Parlamento Europeo, che per altro  non furono mai nemmeno discusse.

Infine, si tratta di una costituzione mista, con elementi di democrazia rappresentativa, di socialismo e di corporativismo, che bene incarnava lo spirito dei tempi (per esempio la legislazione tedesca sulla partecipazione,  l’Organische Gedanke olandese o il pensiero politico di Simone Weil). Oltre tutto, Galimberti scrisse la sua Costituzione a cavallo dell’8 Settembre, lanciò il suo progetto partigiano direttamente dal balcone del suo studio legale al centro di Cuneo, dopo di che, fatta incetta di armi, si diresse decisamente verso le Alpi per iniziare la lotta armata.

La Sacra di San Michele,simbolo
del Piemonte

3.Federico Chabod

Quanto a Chabod, storico valdostano e alpinista, titolare di cattedra a Milano, stava insegnando in questi anni sul tema Europa e Nazione (Storia dell’Idea di Europa, L’idea di nazione). Sopravvenuto l’8 settembre, si dedicò alla lotta partigiana e fu fra i principali coautori della Dichiarazione di Chivasso, un documento in cui le popolazioni alpine delle Alpi Occidentali rivendicarono, per il periodo postbellico, un’ampia autonomia. Infine, fu incaricato di redigere lo statuto della Regione Autonoma Valle d’ Aosta (secondo la falsariga delle idee della Dichiarazione di Chivasso), che fu adottato prima ancora della Costituzione italiana, e fu perciò di modello per le altre Regioni Autonome, nonché per le Comunidades Autònomas spagnole.

In un momento in cui, dopo decine di Trattati, una Convenzione e una Conferenza, l’Europa stenta più che mai a darsi una Costituzione, non sarebbe proprio superfluo se i giuristi, i politici e i movimenti sociali riprendessero umilmente in mano le opere di chi aveva tempestivamente posto il tema della costituzionalizzazione dell’Europa.

Il penitenziario di Ventotene

3.Il Manifesto di Ventotene

Tutto ciò non esclude certo l’importanza del contributo al movimento per l’integrazione europea da parte del Manifesto di Ventotene, altro illustre sconosciuto, anzi, tradito, dalla politica “mainstream”. Il Manifesto si pone, rispetto alla costituzione europea, alla Dichiarazione di Chivasso e alle opere di Chabod, su un piano diverso: quello della riflessione politica (o geopolitica), mentre gli altri si pongono su quelli della costruzione istituzionale, della storia culturale e della “multi-level governance”. Tuttavia, la mancata integrazione di tutti questi livelli in un unico corpus progettuale è stata una delle debolezze del federalismo “politico” à la Spinelli nella sua competizione con il metodo funzionalistico prescelto dai Governi, e, soprattutto, dagli Stati Uniti.

In un momento in cui la chiusura in sordina della Conferenza sul Futuro dell’Europa e l’entusiasmo costruttivistico di Macron richiedono nuove idee, ci sembra necessario aprire un dibattito a tutto tondo e a tutti i livelli con tutte le tradizioni della storia dell’integrazione europea, per elaborare un percorso veramente innovativo ed efficace contro tutti gli ostacoli che ci circondano.

Vi aspettiamo numerosi per avviare questo dibattito

LA SITUAZIONE IN UCRAINA CONFERMA LA CENTRALITA’ DEI NOSTRI DIBATTITI

Invito alla presentazione del 21/5/2022 al Salone del Libro

SALONE IN

21 maggio, Lingotto,

Sala Arancio,ore 12.15

UN PONTE FRA EST E OVEST 

Con: Virgilio Dastoli,Riccardo Lala, Marco Margrita Alessio Stefanoni, Enrico Vaccarino

PRESENTAZIONE DEL LIBRO: UCRAINA, NO A UN’INUTILE STRAGE 

RICCARDO LALA ti sta invitando a una riunione pianificata in Zoom.

Entra nella riunione in Zoom :
https://us06web.zoom.us/j/86298136839

ID riunione: 862 9813 6839 .Trova il tuo numero locale: https://us06web.zoom.us/u/kscAFeR7q

Un contributo sofferto, anche se indiretto, alla soluzione del problema più drammatico dell’oggi. 

L’opera affronta, con spirito costruttivo, un tema vessato quant’altro mai, in un’ottica poliedrica e anticonformistica, mostrando innanzitutto quanto le attuali controversie sull’ Ucraina siano la necessaria conseguenza della centralità geopolitica di quel Paese, da sempre punto d’incontro e di scontro delle più svariate tendenze etniche, culturali, politiche, religiose. Basti pensare ai Kurgan, alla Rus’ di Kiev, ai Cosacchi, al Cosmismo…

Dopo la battaglia del Principe Igor, fra Sloviansk e Izjum

1.La storia del volume 

Nel 2014, nel momento dell’Euromaidan e delle rivolte  nell’ Est e nel Sud dell’ Ucraina, avevamo raccolto fior d’ intellettuali per un dibattito, attraverso le pagine dei nostri “Quaderni di Azione Europeista”, circa la situazione conflittuale che si andava creando. Era nato così il volume n. 3-2014 dei nostri Quaderni di Azione Europeista (Ucraina 2014, no a un’inutile strage), Quaderni concepiti come  strumenti snelli per  un intervento corale su temi strategici per il futuro dell’ Europa, fuori, tanto dei consunti binari  del “mainstream”, che dei piagnistei inconcludenti degl’intellettuali che si pretendono “alternativi”.

Ricordiamo che l’organizzazione del Salone aveva annunziato di voler dedicare il Salone 2022 all’ Ucraina, ma, in realtà, il tema dell’ anno è stato definito come “Cuori Selvaggi”. Inoltre, nessuno tranne noi sta presentando un libro dedicato specificamente alla guerra in Ucraina.

Quanto il nostro “Quaderno” fosse profetico già nel 2014 dovrebbe risultare chiaro dal fatto che ci è bastato, sostanzialmente, togliere  l’indicazione dell’ anno 2014, per poter riproporre, sostanzialmente inalterata, un’opera che già allora aveva la non irrilevante ambizione di andare al di là del nascente conflitto, per guardare al futuro con uno sguardo ampio.

Già il titolo, “No a un’inutile strage”, con il suo richiamo all’arcinota frase con cui Benedetto XV° aveva stigmatizzato la 1° Guerra mondiale – una guerra contro l’Europa e le sue tradizioni-, era stato particolarmente profetico, in considerazione dell’interminabile conflitto ucraino, iniziato nel 2014, ulteriormente aggravatosi e che non sembra destinato a terminare a breve. Profetico soprattutto alla luce dell’esigenza, oggi sentita dalla maggior parte degli attori della politica, di trovare una via d’uscita alla guerra in corso.

Ma profetico soprattutto perché i punti di riferimento di fondo non sono cambiati rispetto al 2014.

La moschea di Roxana e Solimano a Mariupol

2.I contenuti

Basta, per comprenderlo, scorrere l’elenco degli articoli di cui quell’ opera si compone:

“Dall’ ‘allargamento’ al ‘completamento’ dell’ Unione”, introduzione dell’Associazione Diàlexis:    mette in luce la straordinaria convergenza, sull’ area ucraina, di una pluralità di tradizioni, culture, pretese, interessi, che ne ha fatto da sempre una delle aree più centrali dell’ Europa, la quale  avrebbe dovuto essere, in particolare, al centro della Confederazione Europea proposta, nel 1989, da Gorbaciov, Mitterrand e Giovanni Paolo II, mai attuata, ma oggi ripresa da molti, a cominciare dal Presidente pro-tempore del Consiglio Europeo, Macron, in occasione della seduta conclusiva della Conferenza sul Futuro d’ Europa;

-“Tra l’agitazione ucraina e la zona aerea d’identificazione cinese”, di Giovanni Martinetto: pone in evidenza già fin da allora la stretta connessione fra il conflitto ucraino e le tensioni fra Cina e Stati Uniti sul Mar della Cina, che rendevano, e rendono, vieppiù improrogabile,  una struttura coordinata fra USA, Europa e America, necessaria per partecipare attivamente alla gestione di un mondo dominato sempre più dagli stati-civiltà;

“Come impedire lo smembramento dell’ Ucraina”, di Lucio Levi: fa giustamente notare che un’ Ucraina “federalizzata” (come quella a cui aveva pensato il “Partito delle Regioni” avrebbe potuto essere il centro ideale dell’ auspicata Federazione Europea;

-“La restaurazione del Califfato?” di Franco Cardini: mette in evidenza uno dei principali elementi geopolitici al centro della crisi attuale-il ritorno della Turchia, o meglio del suo Impero- che si sta qualificando sempre più come un’autonoma potenza europea, capace di respingere le ingerenze americane, di moderare la Russia e l’ Ucraina, di utilizzare i suoi poteri sugli Stretti e nella NATO, di produrre efficaci tecnologie militari. Ricordiamo che, a Mariupol, si trova la Moschea di Roxana e Solimano, a ricordare l’origine ucraina dell’imperatrice ottomana, e dove si sono rifugiati, durante i combattimenti, i mussulmani presenti in città;

-“Una strategia dell’ Unione Europea per la crisi dell’ Ucraina”, di Alfonso Sabatino: invocava già allora un’inesistente azione diplomatica per creare un quadro europeo di sicurezza, che nessuno si è preoccupato, invece, di creare, mentre solamente la tardiva proposta “in quattro fasi” del nostro Governo alle Nazioni Unite sembra oggi riproporre;

-la Dichiarazione del Movimento Federalista Europeo sulla Crisi Ucraina: attribuiva all’ Unione Europea la massima responsabilità per la crisi, in quanto era stata la carenza di un’adeguata Politica Estera e di Difesa dell’ Europa ad avere aperto un vuoto, in cui si è inserita l’attuale destabilizzazione;

-la “European Charter for  regional or minority Languages”: approvata fin dal 1992, la sua applicazione avrebbe impedito la nascita stessa del problema delle minoranze linguistiche russofone in Ucraina, Moldova, Georgia e Paesi Baltici, e, di conseguenza, le guerre della Cecenia, della Transnistria, dell’ Abkhazia, dell’Ossezia e del Donbass.

Siamo nuovamente riuniti per discutere gli stessi temi di allora, avendo sotto gli occhi i risultati della mancata adozione di quanto da noi suggerito nel 2014, e non ci stanchiamo di sottoporre le nostre opere a chi ha poteri decisionali a questo proposito, nella speranza che, quand’anche in ritardo, i fatti stessi costringano tutti a prendere atto dell’ inevitabilità delle nostre proposte.

Intervenite numerosi, e aiutateci a diffondere, prima che sia troppo tardi, la consapevolezza di questi problemi!

PROGRAMMA “CANTIERI D’ EUROPA” 2022

9-10 MAGGIO

GIORNATA CONCLUSIVA DELLA CONFERENZA SUL FUTURO DELL’ EUROPA

Il 9 maggio, le Istituzioni europee hanno presentato al Parlamento Europeo le conclusioni della Conferenza sul Futuro dell’Europa,che si è svolta fra il 2021 e il 2022, nel 72° anniversario della Dichiarazione Schuman e della fine della Seconda Guerra Mondiale.

Subito dopo, la nostra Associazione ha commentato, al Centro Studi San Carlo di Torino, con il professor Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Comitato del Movimento Europeo in Italia, i risultati della giornata, aprendo poi un dibattito fra i soci e con gl’intervenuti, dibattito   i cui esiti riportiamo nel prosieguo di questo post. Con il Professor Dastoli,  si è discusso in particolare delle modalità concrete per proseguire l’attività riformatrice, soprattutto coinvolgendo la società civile, i partiti e le loro fondazioni. Si è parlato soprattutto delle fondazioni Martens e Degasperi, del cui comitato scientifico Marco Margrita fa parte

Certamente, la situazione creatasi con la Guerra in Ucraina ha sottolineato l’urgenza di rispondere alle molte questioni sollevate dai cittadini durante la Convenzione.

In particolare, come noto, il Presidente Macron, padrone di casa della riunione finale al Parlamento di Strasburgo,

Tutto ciò sarà sviluppato nelle tre presentazioni di libri in programma da parte dell’Associazione Culturale Diàlexis il 21 e 22 Maggio al Salone del Libro di Torino.

Il 10 maggio, si è svolta poi a distanza , a cura del Movimento Europeo, una riunione della Piattaforma italiana della conferenzadestinata a valutare l’esito della Conferenza.

Il tutto in un momento drammatico, segnato dalla guerra in Ucraina, a cui non ci sembra che la Conferenza abbia risposto in modo soddisfacente (se non altro perché la guerra non era prevista, anche se molto prevedibile).

Anzi, le conclusioni della Conferenza sono state considerate così poco pertinenti dallo stesso establishment, che, tanto il padrone di casa Macron, quanto  gli altri governi europei, sono partiti immediatamente a discutere di un eventuale seguito dedicato proprio e soltanto agli importanti temi esclusi dalla Conferenza. Per fortuna, tutti sembrano caldeggiare una qualche forma di prosecuzione dei lavori, vuoi sotto la forma di una nuova Convenzione per la modifica dei Trattati, vuoi sotto quella di una lotta politica per inserire i temi europei nei programmi delle prossime elezioni, sicché avremo tutto il tempo per rimediare alle carenze della Conferenza, attraverso adeguate attività pubblicistiche, di cui le presentazioni al Salone costituiscono una premessa.

In questo senso, il nostro volume “Progetti Europei nella Resistenza, Un primato italiano”(Presentazione 22 maggio, Casa del Quartiere San Salvario, ore 16) può fornire un indispensabile contributo, mostrando come già 75 anni fa, nel cuore della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia, e, innanzitutto, l’area alpina piemontese e valdostana avesse, a questo proposito idee ben più chiare degli apprendisti riformatori di oggi, che si richiamano abusivamente a quelle persone e a quelle idee, mentre ne costituiscono più spesso un tradimento.

D’altro canto, il Presidente Macron, nell’ ospitare la cerimonia a Strasburgo, è stato anche il primo a lanciare temi nuovi (dalla modifica dei Trattati, alla “confederazione” pan-europea, alla trattativa con la Russia), legittimando tutti a fare nuove proposte. Anche qui, l’Associazione Culturale Diàlexis aveva già dato un suo, a nostro avviso, fondamentale e profetico contributo con il nostro quaderno 3-2014 sulla prima guerra in Ucraina, che ripubblichiamo quasi integralmente sotto un titolo altamente esplicativo: “Ucraina, no a un’inutile strage”(presentazione 21 maggio, Sala Arancio, ore 12,5).

Macron ha riproposto la “Confederazione” delle Assise di Praga (1989)

1.Un po’ di storia della Conferenza

I cittadini europei hanno dunque elaborato 49 proposte di riforma dell’Ue. Inizio modulo

Sono stati coinvolti  attraverso una piattaforma multilingue dove ogni cittadino poteva caricare le sue idee e proposte, stimolando eventi nei ventisette Paesi. Poi, 800 cittadini estratti a sorte (la cosiddetta “democrazia deliberativa”) sono stati i diretti protagonisti del dibattito pan-europeo che ha riguardato diverse tematiche, dal cambiamento climatico alla migrazione (ma, come vedremo, non quelle essenziali).  

I cittadini erano stati divisi in 4 “panel” (200 membri ciascuno) elaborando una prima serie di 178 raccomandazioni. Quindi, 80 “ambasciatori” (20 per ogni panel) si sono uniti a eurodeputati, parlamentari degli Stati membri, rappresentanti delle istituzioni Ue, dei governi nazionali e della società civile (che hanno evidentemente orientato la Conferenza nel senso voluto dal vertice): la plenaria della Cofoe così composta ha dunque elaborato una relazione finale contenente 49 proposte. Tale relazione, nella speranza dei fautori della Cofoe, dovrà fungere da base per il lavoro legislativo di Commissione, Parlamento e Consiglio nei prossimi anni. Ciascuna istituzione esaminerà nel dettaglio il contenuto concreto delle proposte, valutando caso per caso cosa può essere fatto a trattati vigenti e capire come farlo. Il Parlamento, la settimana scorsa, ha annunziato l’imminente attivazione dell’articolo 48, con cui intende incaricare il Consiglio del lancio di una convenzione per avviare la revisione delle leggi fondamentali dell’ Unione.

Immediatamente si è formato un fronte di oppositori, composto da 13 Paesi (Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia e Svezia), cui potrebbero aggiungersene altri (magari l’Ungheria), che mettono in discussione questa interpretazione dei risultati della Conferenza: “Mentre non escludiamo alcuna opzione in questa fase, non sosteniamo i tentativi sconsiderati e prematuri di lanciare un processo verso il cambiamento del trattato”, si legge nel documento. Concludendo in modo molto discutibile: “Abbiamo già un’Europa che funziona. Non abbiamo bisogno di precipitarci in riforme istituzionali per ottenere risultati”.

Come commentato dal Professor Dastoli nella riunione della piattaforma italiana, anche se venisse avviato, il processo di riforma eventualmente innescato dall’avvio di una Convenzione potrebbe rimanere incagliato per anni: del resto, ce ne sono voluti diversi per sbloccare il contenuto del Trattato di Lisbona, e con la guerra alle porte dell’Europa e i costi della vita che schizzano alle stelle non sono poche le cancellerie insofferenti a sedersi al tavolo delle riforme istituzionali.

Eppure, come abbiamo avuto modo di ricordare alla piattaforma italiana, quelle azioni a cui ci invitano a partecipare i politici sul piano internazionale, come “fornire una garanzia all’ Ucraina”, creare una “Comunità Politica Europea”, “non umiliare la Russia”, si traducono tutti nella riscrittura dell’ intero impianto dei trattati esistenti (l’Organizzazione Europea, come l’ha definito l’On.le Gozi), non solo quelli europei, ma anche quelli NATO, OSCE, anti-nucleari, ecc…

Un compito immane, per cui non basterà neppure una Convenzione, ma che richiederà un vero movimento europeo rivoluzionario, che sappia travolgere vecchi schemi obsoleti nati in situazioni ben diverse da oggi.

Come non si stanca di affermare lodevolmente un numero crescente di pubblicisti e di personaggi pubblici (ricordo qui solo Carlo De Benedetti, Barbara Spinelli e Maurizio Belpietro…), l’andamento del conflitto ucraino  mostrerebbe infatti in un modo sempre più chiaro l’ urgenza di una svolta della storia dell’ Europa, che la liberi dalla sudditanza verso l’ America, la quale si sta rivelando più esiziale che mai, con la sua deliberata volontà di prolungare la guerra, d’imporre abusivamente alla NATO i propri diktat (che è solo uno fra i tanti alleati), e di far pagare all’ Europa il peso delle assurde sanzioni che paradossalmente giovano molto alla Russia, alla Cina e all’ Iran (incrementando il prezzo dei prodotti petroliferi ne favorendo l’”import substitution”),ma  indebolendo invece ulteriormente la capacità dell’ Europa di fare concorrenza all’ America.

Quindi, se una riforma dell’Europa s’impone, questa non dovrebbe andare verso un’imitazione crescente dell’America , bensì verso quell’ “Europe- Puissance” teorizzata da Giscard d’Estaing e richiamata ancora l’altro ieri da Macron, ma che in realtà né l’uno, né l’altro, hanno mai seriamente perseguito. Per non parlare del Governo Draghi, che mira a qualificarsi come il migliore alleato dell’America, così bravo, per l’affermazione stessa del presidente Biden, da avere realizzato la diversificazione energetica dell’ Italia “meglio di quanto avrebbe fatto Biden stesso”. In realtà, il suggerimento dato da Draghi alla Yellen di sequestrare i ricavi presso la Banca russa si sta rivelando per gli Europei un clamoroso autogoal, con l’obbligo di pagare le materie prime in rubli (accettato proprio da Draghi a Washington), a prezzi del 20% superiori a quelli praticati ai Paesi non allineati.

Queste considerazioni preliminari sono confermate dall’esame delle singole “proposte” della Conferenza.

L’idea della pace era già al centro dell’ ideologia imperiale romana

2.Una valutazione d’insieme

Abbiamo letto rapidamente le proposte, riscontrando ch’ esse, purtroppo, non si distinguono un gran che dai dossier già pendenti da decenni presso l’Unione, e mai da questa attuati. Questo deriva dall’impianto stesso della piattaforma, organizzata sulla base dei grandi “filoni” delle attuali attività delle Istituzioni (non già su quella delle esigenze di innovazione del sistema), e dal controllo e manipolazione politiche sulle organizzazioni coinvolte e sulle opinioni espresse. La “Democrazia Partecipativa” si dimostra infatti un tipico strumento di manipolazione, vale a dire l’erede diretto del “Centralismo democratico” del PCUS, che, adesso che in Est Europa non c’è più il comunismo, è migrato presso di noi (quanti leaders oggi “occidentalisti” hanno iniziato la loro carriera nei partiti comunisti orientali e occidentali, o in organismi fiancheggiatori!)

Quanto ai contenuti, le proposte denotano le stesse carenze della politica tecnocratica “mainstream”, volta alla conservazione degli attuali rapporti di potere fra USA ed Europa, GAFAM e società, funzionalismo e post-umanesimo, ignorando invece molte aree prioritarie, e perfino riconosciute tali dal mainstream in occasione della pandemia e della guerra in Ucraina. Non si capisce a che pro fare questo enorme sforzo di mobilitazione, manipolazione e discussione, quando nessuno ha ivi  affrontato alcuno dei grandi temi del pericolo nucleare, della crisi di valori, della dittatura dei GAFAM, della guerra in corso, della decadenza del Continente nel confronto mondiale, della crisi infinita, della disoccupazione giovanile, della deindustrializzazione, della repressione della cultura classica europea, del politicamente corretto…

Purtroppo, si vuole dare (anche con messe in scena trionfalistiche e sorrisini di circostanza), l’erronea impressione che tutto stia già andando nel migliore dei modi, mentre invece manca moltissimo di ciò che veramente servirebbe.

Più in dettaglio, mancano:

Nella Proposta 1, DEMOCRAZIA:

-il divieto  di ogni forma di censura;

-una definizione  della mitica “Rule of Law” secondo non secondo la Common Law, ma secondo il diritto continentale (visto che la Gran Bretagna non c’è più) (“Rechtsstaatlichkeit”? “Principio di legalità”?);

-un richiamo al “Modello sociale renano”, e, in particolare, alla co-gestione e al diritto del lavoro quale “ius activae civitatis”;

-l’indicazione che le liste multi-nazionali si debbono formare sulle questioni europee (federazione, confederazione, Est Europa, Esercito Europeo), non già su slogan vecchi di due/tre secoli (nazione, “diritti”, “welfare”);

-un’applicazione seria delle sentenze Schrems;

-un web europeo, alternativo ai GAFAM;

-l’”Unbundling” dei GAFAM;

-dei campioni europei sul modello di Arianespace ed Airbus;

Nella Proposta 3, RAPPORTI COMMERCIALI E INVESTIMENTI:

-una definizione convincente dell’ “etica” nell’economia contemporanea;

-il rifiuto dell’“esportazione della democrazia”;

Nella proposta 4, CAPACITA’ DECISIONALE:

-i poteri  di un Presidente Europeo quale “Commander in Chief” dell’ Esercito Europeo;

-l’idea francese della “confederazione” (o “comunità politica europea”);

Nella proposta 6, RUOLO DELL’ EUROPA NEL MONDO:

-la sovranità militare europea;

-il rifiuto della propaganda di guerra;

Nella proposta 7, RAPPORTI CON I PAESI TERZI:
-la lotta contro la Società del Controllo Totale;

-l’ideale multiculturale e multipolare.

Ricordiamoci che Ursula van del Leyen al sedicente “Vertice sociale europeo” di Lisbona, aveva detto: “Bisogna cambiare tutto perchè nulla cambi”, aveva detto, citando Tomasi di Lampedusa).Ne deriva un’esorbitante sproporzione nelle priorità politiche della Conferenza, che giustifica il disinteresse generalizzato per la stessa, che va dallo sprezzante commento del Presidente Mattarella (“una conclusione grigia”), al silenzio da parte dei media, per non parlare dell’ignoranza assoluta da parte dei cittadini. Si impone un coinvolgimento forte della società civile, ma anche un allontanamento dal “politicamente corretto”, per tener conto dell’ evoluzione effettiva del mondo contemporaneo.                                                                                                                                    

La buona notizia è che, non avendo la Conferenza concluso molto, ed essendosi, invece, proposto Macron energicamente quale riformatore dell’ architettura dell’ “organizzazione europea”, secondo l’originaria impostazione della Perestrojka (Giovanni Paolo II, Gorbaciov e Mitterrand alle Assise di Praga del 1989), egli ha sostanzialmente riportato indietro di trent’anni il dibattito sul futuro dell’ Europa, delegittimando non solo la Conferenza, ma anche le retoriche “occidentalistiche”, è ora possibile condurre una campagna a tutto tondo a favore di una nuova architettura di sicurezza, della federazione fra Unione Europea e Unione Eurasiatica, sulla base del vecchio principio dei “Due Polmoni”. La mossa è stata talmente spiazzante, che, a pochi secondi di distanza, Draghi ha creduto bene di riposizionarsi, con indubbia abilità manovriera, nel campo dei “Putinversteher”, nel tentativo di sottrarre a Macron il ruolo di negoziatore-capo dell’ Europa.

L’Europa dei popoli

3.I temi trattati nella nostra riunione

Sono stati esaminati i grandi temi del Futuro dell’ Europa:

-L’idea dell’ integrazione nel corso del tempo;

-La divisione dell’Europa;

-I limiti dell’Europa funzionalista;

-Le Conferenza quale ultimo anello nella storia dell’ Integrazione Europea;

-Le criticità dell’Europa attuale di fronte alle sfide del presente e del futuro;

-Una strategia degli Europei per gestire in modo proattivo le trasformazioni in corso.

Alleghiamo alcune slides proiettate durante l’incontro:

L’IDEA DELL’INTEGRAZIONE  NEL CORSO DEL TEMPO

E’ANTICHISSIMA. Risale all’ Impero Romano (Svetonio), al Sacro Romano Impero (De Monarchia, Tractatus Pacis Fiundae, Gran Dessin, Projets pour la paix Perpetuelle, Santa Alleanza, Paneuropa, Progetto Briand, Manifesto di Ventotene,Costituzione Italiana ed Europea di Galimberti)

NEL DOPOGUERRA:COMUNITÀ EUROPEE: Movimento Europeo(1948), Consiglio d’ Europa (1949), Dichiarazione Schuman(1950), Trattati di Parigi (1957), Trattati di Roma (1957)

TENTATIVI DI RIFORMA DELLE COMUNITÀ EUROPEE: Dichiarazione di Copenhaghen sull’Identità Europea (1973), Assise di Praga (1989), Trattato di Maastricht (1992), Trattato di Amsterdam (1997), Convenzione sul Futuro dell’ Europa (2021-2003)

TRATTATO COSTITUZIONALE approvato dalla Conferenza, ma bocciato dagli elettori francesi e olandesi (2005), Trattato di Lisbona (2009)

CONFERENZA SUL FUTURO DELL EUROPA (2019-2022)

LA DICHIARAZIONE SCHUMAN

Viene considerata il momento di avvio dell’integrazione postbellica. In realtà è un documento puramente teorico, che esprime l’applicazione, all’ integrazione europea, del “metodo funzionalistico” (poi adottato in effetti dalle Istituzioni Europee).

Il FUNZIONALISMO: è un movimento culturale (filosofico, psicologico, architettonico, giuridico, politologico, informatico) che sostiene che in ogni campo occorre guardare alle funzioni, che si possono anche trasferire fra substrati diversi)

IL FEDERALISMO: è un orientamento politologico di lungo periodo (dalla Grecia antica, al Medioevo, da Hamilton a Proudhon, dalle Americhe alla Russia, alla Germania e alla Jugoslavia), che mira all’ aggregazione paritetica fra Paesi diversi

IL FEDERALISMO EUROPEO: è un movimento che spinge per il trasferimento di maggiori competenze all’ Unione Europee (Spinelli, Galimberti)

IL FEDERALISMO INTEGRALE: un movimento, ereditato dal costituzionalismo dell’Ancien Régime (Althusius, Montesquieu), che mira a inserire il federalismo territoriale in una pluralità di rapporti federali, di carattere sociale, culturale, economico. (Proudhon, Alexangre Marc, Jovan Djordjecic)

LA CONFERENZA

TEMPISTICHE:La Conferenza sul futuro dell’Europa è un’iniziativa proposta nel 2019, che avrebbe dovuto iniziare il 9 maggio 2020, ma che, a causa della pandemia di COVID-19, era stata rinviata al 9 maggio 2021, nella giornata dell’ Europa, e, infine, prorogata fino ad oggi.

OBIETTIVI:La conferenza avrebbe dovuto servire a rilanciare il progetto dell’Unione Europea, coinvolgendo tutti i cittadini Europei e la società civile, senza non precludere una revisione dei trattati fondanti la stessa UE, considerando anche che l’ultima revisione dei Trattati risale al 2007 con la firma del Trattato di Lisbona.

RESPONSABILI: Dopo mesi di stallo causati dalla pandemia, il 3 febbraio 2021, tutti i 27 Stati membri avevano  accettato la proposta del presidente portoghese António Costa (Presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea) secondo cui la conferenza dovrà essere unitamente organizzata dalle tre principali istituzioni europee (Commissione europeaParlamento europeo e Consiglio europeo) e da un comitato esecutivo.

PIATTAFORMA:E’ stata aperta per un anno una piattaforma digitale in cui i cittadini hanno potuto inserire proposte circa gli argomenti di competenza dell’ Unione, raggruppati in nove tematiche. Abbiamo già una cinquantina di proposte selezionate da appositi comitati, ma si tratta di argomenti marginali, che non affrontano i problemi fondamentali.

Reiteriamo qui di seguito il programma delle presentazioni al Salone del Libro.

SALONE IN

21 maggio, Lingotto, Sala Arancio, 12,15

UN PONTE FRA EST E OVEST 

PRESENTAZIONE DEL LIBRO:

UCRAINA; NO A UN’INUTILE STRAGE

Con: Virgilio Dastoli, Riccardo Lala, Marco Margrita Alessio Stefanoni, Enrico Vaccarino

SALONE OFF 

Sabato 21 maggio Centro Studi San Carlo, Via Monte di Pietà 1, ore 15,00

PRESENTAZIONE DEL LIBRO:

“ INTELLIGENZA ARTIFICIALE E AGENDA DIGITALE”,
PENSARE PER PROGETTARE IL FUTURO

Con: Marcello Croce, Ferrante De Benedictis, Riccardo Lala ,Marco Margrita, Enrica Perucchietti, Roberto Saracco

Domenica, 22 Maggio,

Casa del Quartiere  di San Salvario, Via Morgari 10, ore 16,00

PRESENTAZIONE DEL LIBRO:

“PROGETTI EUROPEI NELLA RESISTENZA”
DAL PASSATO AL FUTURO DELL’EUROPA

Con Pier Virgilio Dastoli, Marcello Croce, Marco Margrita. Aldo Rizza, Alessio Stefanoni

L’IDEA DELL’INTEGRAZIONE  NEL CORSO DEL TEMPO

E’ANTICHISSIMA. Risale all’ Impero Romano (Svetonio), al Sacro Romano Impero (De Monarchia, Tractatus Pacis Fiundae, Gran Dessin, Projets pour la paix Perpetuelle, Santa Alleanza, Paneuropa, Progetto Briand, Manifesto di Ventotene,Costituzione Italiana ed Europea di Galimberti)

NEL DOPOGUERRA:COMUNITÀ EUROPEE: Movimento Europeo(1948), Consiglio d’ Europa (1949), Dichiarazione Schuman(1950), Trattati di Parigi (1957), Trattati di Roma (1957)

TENTATIVI DI RIFORMA DELLE COMUNITÀ EUROPEE: Dichiarazione di Copenhaghen sull’Identità Europea (1973), Assise di Praga (1989), Trattato di Maastricht (1992), Trattato di Amsterdam (1997), Convenzione sul Futuro dell’ Europa (2021-2003)

TRATTATO COSTITUZIONALE approvato dalla Conferenza, ma bocciato dagli elettori francesi e olandesi (2005), Trattato di Lisbona (2009)

CONFERENZA SUL FUTURO DELL EUROPA (2019-2022)

LA DICHIARAZIONE SCHUMAN

Viene considerata il momento di avvio dell’integrazione postbellica. In realtà è un documento puramente teorico, che esprime l’applicazione, all’ integrazione europea, del “metodo funzionalistico” (poi adottato in effetti dalle Istituzioni Europee).

Il FUNZIONALISMO: è un movimento culturale (filosofico, psicologico, architettonico, giuridico, politologico, informatico) che sostiene che in ogni campo occorre guardare alle funzioni, che si possono anche trasferire fra substrati diversi)

IL FEDERALISMO: è un orientamento politologico di lungo periodo (dalla Grecia antica, al Medioevo, da Hamilton a Proudhon, dalle Americhe alla Russia, alla Germania e alla Jugoslavia), che mira all’ aggregazione paritetica fra Paesi diversi

IL FEDERALISMO EUROPEO: è un movimento che spinge per il trasferimento di maggiori competenze all’ Unione Europee (Spinelli, Galimberti)

IL FEDERALISMO INTEGRALE: un movimento, ereditato dal costituzionalismo dell’Ancien Régime (Althusius, Montesquieu), che mira a inserire il federalismo territoriale in una pluralità di rapporti federali, di carattere sociale, culturale, economico. (Proudhon, Alexangre Marc, Jovan Djordjecic)

LA CONFERENZA

TEMPISTICHE:La Conferenza sul futuro dell’Europa è un’iniziativa proposta nel 2019, che avrebbe dovuto iniziare il 9 maggio 2020, ma che, a causa della pandemia di COVID-19, era stata rinviata al 9 maggio 2021, nella giornata dell’ Europa, e, infine, prorogata fino ad oggi.

OBIETTIVI:La conferenza avrebbe dovuto servire a rilanciare il progetto dell’Unione Europea, coinvolgendo tutti i cittadini Europei e la società civile, senza non precludere una revisione dei trattati fondanti la stessa UE, considerando anche che l’ultima revisione dei Trattati risale al 2007 con la firma del Trattato di Lisbona.

RESPONSABILI: Dopo mesi di stallo causati dalla pandemia, il 3 febbraio 2021, tutti i 27 Stati membri avevano  accettato la proposta del presidente portoghese António Costa (Presidente di turno del Consiglio dell’Unione europea) secondo cui la conferenza dovrà essere unitamente organizzata dalle tre principali istituzioni europee (Commissione europeaParlamento europeo e Consiglio europeo) e da un comitato esecutivo.

PIATTAFORMA:E’ stata aperta per un anno una piattaforma digitale in cui i cittadini hanno potuto inserire proposte circa gli argomenti di competenza dell’ Unione, raggruppati in nove tematiche. Abbiamo già una cinquantina di proposte selezionate da appositi comitati, ma si tratta di argomenti marginali, che non affrontano i problemi fondamentali.

La crisi ucraina nasce con il “Fuck Europe”
di Victoria Nuland

I LIMITI DELL’EUROPA FUNZIONALISTA

ELUSIONE DELLA CULTURA

OCCIDENTALISMO

SUBORDINAZIONE ALLE IDEOLOGIE SETTE-OTTOCENTESCHE

LA DIVISIONE DELL’ EUROPA

IL FALLIMENTO DELLA CASA COMUNE EUROPEA

IL FALLIMENTO DELLA CONVENZIONE E DELLA CONFERENZA

FALLIMENTO DELLA CONFEDERAZIONE DEGLI STATI INDIPENDENTI E DELL’UNIONE EURASIATICA ;YALTA NON E’ FINITAL’EUROPA

L’UCRAINA QUALE “PONTE FRA EST E OVEST”

Considerazioni sulla conferenza internazionale proposta dal Movimento Europeo

Teleconference Macron, Scholz
Xi Jinping

Oggi, il Presidente Xi Jinping ha avuto una teleconference con Macron e Scholz, con cui questi hanno praticamente investitoo, i modo informale, il Presidente cinese del ruolo di mediatore per conto dell’Europa. Per quanto la cosa possa sembrare esorbitante sotto tutti i punti di vista (a che titolo parlano Macron e Scholz? Perché l’ Europa non può mediare da sola? Cosa ci sta a fare Borrell?), l’iniziativa  dovrebbe essere foriera di sviluppi molto positivi.

La cosa va letta come l’ultimo episodio di un’evoluzione avviatasi già nei giorni passati. Al termine dei colloqui fra il Segretario di Stato Blinken e il primo ministro cinese Wang Yi, l’agenzia di stampa Xinhua aveva emesso un comunicato, in cui, tra l’altro, “la Parte Cinese“ also encourages the United States, the North Atlantic Treaty Organization (NATO), and the European Union to engage in equal dialogue with Russia

E’ importante rilevare come, secondo la Cina, anche l’Unione Europea e la NATO debbono partecipare alle trattative in esito alla guerra in Ucraina, per una soluzione globale delle tensioni di lungo periodo nell’ area europea (“ face up to the frictions and problems accumulated over the years”), e, in particolare all’ allargamento a EST della NATO “pay attention to the negative impact of NATO’s continuous eastward expansion on Russia’s security”, e per costruire un nuovo meccanismo europeo di sicurezza: “ and seek to build a balanced, effective and sustainable European security mechanism in accordance with the “indivisibility of security” principle”.

In una successiva dichiarazione, Wang Yi ha anche affermato:” Relations with Russia and those with the European Union were two separate issues, ….China’s relationship with Europe was not dependent on or related to any third party.”

Insomma, la Cina non vuole, né trovarsi imbarazzata dalla sua amicizia con la Russia, né essere ostacolata, nei suoi rapporti con l’ Europa, da interferenze americane. Di fatto, è in una posizione ideale per mediare, tenendo conto dell’ interesse del mondo intero per un’Europa pacifica ma anche forte.

Infatti, ha annunziato un prossimo summit fra Cina e UE, ed ha affermato che “Beijing firmly supported Europe’s “strategic autonomy””.Autonomia che però, nonostante le dichiarazioni retoriche, le Istituzioni della UE di fatto non stanno affatto perseguendo in concreto, e che non sarà probabilmente conseguita senza un sostanzioso aiuto cinese.

Alle “avances” cinesi corrisponde infatti la richiesta del Movimento Europeo di convocare una Conferenza per la sicurezza in Europa.

Mentre tutti i commentatori si concentrano sugli aspetti apparentemente più macroscopici della guerra in corso, dall’enormità sostanziale del conflitto, alle confliggenti interpretazioni e versioni dello stesso favorite dai diversi Governi, ai devastanti impatti economici, noi desideriamo qui concentrarci invece su queste  trasformazioni desiderabili e possibili degli attuali assetti europei che si potrebbero, e dovrebbero, perseguire in occasione delle future trattative, per una soluzione in profondità e di lungo periodo dei  molti, gravissimi e urgenti problemi del mondo.

In effetti, l’”Operazione Speciale” in Ucraina non è certo la linea più diretta e auspicabile per affrontare la questione della sicurezza europea (che sarebbe ovviamente compito prioritario degli Europei, e non di altri, e che dovrebbe essere stata affrontata diversamente da gran tempo). Però, come al solito, “oportet ut scandala eveniant”.

E comunque la Russia e l’Ucraina non possono essere gli unici interlocutori di una questione che riguarda evidentemente anche e soprattutto l’Unione Europea e la NATO. I cui trattati istitutivi sono da anni giustamente soggetti a critiche, che questa crisi potrebbe e dovrebbe aiutare a superare. Ma riguarda altrettanto la Cina, che, con le sue Nuove Vie della Seta, rivendica per sé un ruolo attivo in tutte le vicende dell’Eurasia, che impattano profondamente sulla sua economia e sulla sua società, largamente dipendenti dagli scambi internazionali. Basti pensare alle ferrovie che attraversano la Russia, l’Ucraina, la Polonia….E difatti, anche Borrell ha espresso il desiderio che la Cina promuova un negoziato, e Wang Yi ha affermato chiaramente che essa si sta predisponendo a farlo.

Gli Stati Uniti, che si erano illusi di avere soffocato le Vie della Seta – con il terrorismo islamico, con i moti di Hong Kong, con le ingerenze con i Governi europei (e in primis quello italiano), con le sanzioni contro la Cina- se la vedono oggi rispuntare sotto forma di mediatrice necessaria nel conflitto ucraino.

Ed è  su questa svolta che si potrebbe innestare il discorso più vasto sull’architettura europea.

Mitterrand a Praga

1.La Confederazione paneuropea (Assise di Praga del 1989).

Infatti, oggi, il problema immediato sentito da tutti, ma finora irrisolto, è quello di proporre una soluzione della crisi ucraina che sia accettabile a tutte le parti, e dotata di una sua intima coerenza. Tuttavia, una siffatta proposta non avrebbe, né chances, né un seguito, se non poggiasse su una solida base di riflessione e una proposta di più ampio respiro.

E, innanzitutto,  occorre chiedersi perché l’unica soluzione lineare, quella proposta in passato, la Confederazione Europea di Mitterrand, discussa nel 1989 alle Assise di Praga, sia stata sempre scartata senza discussione, per le opposizioni degli Stati Uniti e delle classi dirigenti atlantiste:” à partir des accords d’Helsinki, je compte voir naître dans les années 1990 une Confédération européenne au vrai sens du terme qui associera tous les États de notre continent dans une organisation commune et permanente d’échanges, de paix et de sécurité.».

Si noti bene che le Assise di Praga erano un incontro non limitato ai politici, bensì aperto alla società civile di tutta Europa.

Fino a pochi anni fa (almeno fino al 2008), l’obiettivo di politica europea della Russia (sotto Gorbaciov, Elcin e Putin) sembrava rimasto appunto proprio quello di una strutturazione dell’Europa sulla base di una confederazione con l’Unione Europea, quale  già adombrata negli statuti del Consiglio d’ Europa e dell’ OCSE, (anche attesa l’indisponibilità della UE, espressa a Putin dal Presidente Prodi, ad una adesione della Russia alla UE, quale invece già richiesta da Elcin).

Invece, l’obiettivo dell’”establishment” occidentale era radicalmente diverso: “bloccare la storia” in modo da rendere irreversibile il suo”impero nascosto”  esteso a tutto il mondo: “La caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la successiva dissoluzione dell’Unione Sovietica fecero emergere la falsa convinzione che la fine della guerra fredda e dell’imperialismo comunista avrebbe aperto la strada ad un mondo sostanzialmente unipolare nel quadro dell’egemonia degli Stati Uniti d’America e del libero mercato.I passi in avanti compiuti dal processo di integrazione europea, dall’Atto unico europeo del 1987 al Trattato di Lisbona del 2009 sono ben lontani dall’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa ribadito nel 1984 su Le Monde e il mondo unipolare immaginato nel 1989 ha lasciato il posto ad un pianeta sempre più ingovernabile con tensioni crescenti fra Stati che rivendicano al loro interno il principio della sovranità assoluta e all’esterno il ruolo di attori internazionali.(P.V. Dastoli, “Est-ce qu’il faut une troisième guerre mondiale pour créer les Etats-Unis d’Europe ?”) .

Come conseguenza, di fronte al “muro di gomma” degli Europei (vedi dichiarazioni di Prodi) e all’invasività delle sempre rinnovate politiche americane (Guerra del Kossovo, Operazione “GUAAM”, Euromaidan, erosione delle tradizionali neutralità di Svizzera, Austria, Svezia e Finlandia), la Russia è stata costretta, nei decenni, anziché a procedere, come avrebbe voluto, sulla strada dell’integrazione paneuropea, a difendere in tutte le direzioni in modo sempre più aggressivo la propria autonomia politica attraverso tattiche negoziali e militari alternate (interventi in Transnistria, Kossovo, Ossetia, Abkhazia, Donbass), ora sfociate nella guerra con l’Ucraina, più acuta ed evidente delle precedenti, ma qualitativamente non diversa.

Nel frattempo, tradizioni giuridiche secolari e sancite da trattati internazionali, come l’ “Immerwaehrende Neutralitaet” svizzera e austriaca, venivano (e vengono) erose con cavilli formalistici dalla NATO e dalla UE.

Per molto tempo, in quegli anni, Putin aveva parlato e operato a favore della UE, della democrazia e del mercato, ma, dopo tante delusioni, la sua visione politica è cambiata radicalmente:”dopo tanti anni di politica estera e di incontri con tanti presidenti americani ho capito che mai con gli USA ci potrà essere vera pace perchè sono contro di noi per il semplice motivo che esistiamo”. Per questa convinzione, egli ha progressivamente militarizzato la Russia, nell’ ideologia, nella cultura, nel diritto, nella società…, come risulta particolarmente evidente in questi giorni.

Tutte le potenze che sono intervenute nel conflitto con ambizioni di mediazione hanno tentato, per ora inutilmente, di delineare un’ipotesi di strutturazione dell’area est-europea che soddisfi le esigenze di tutte le parti in causa, ivi comprese le ”legittime preoccupazioni della Russia”. Per quanto ci riguarda, la confederazione paneuropea resta però l’unica prospettiva che permetterebbe di uscire in modo stabile da una conflittualità che oggi appare senza rimedio, non solo sull’ Ucraina, ma anche per ciò che concerne tutta l’Europa, e una conferenza internazionale, quale quella proposta dal Movimento Europeo,  sembra l’unico strumento veramente adeguato.

Attraverso le diverse pubblicazioni della Casa Editrice Alpina e dell’Associazione Culturale Diàlexis (in particolare, Ucraina, no a un’inutile strage, del 2014) avevamo già tentato da circa un decennio di delineare uno scenario complessivo che avrebbe permesso di raggiungere questo risultato.

Proprio il fatto che trovare una soluzione politica non sia facile potrebbe costituire in realtà un’opportunità per la UE, la quale, desiderando (a quanto da essa stessa dichiarato) fondare una visione nuova, basata sulla “sovranità europea” di cui parla Wang ( ma per cui non oggi esistono sufficienti basi materiali e spirituali), non può che giovarsi di uno scenario mobile, che offra il destro di uscire dal “Pensiero Unico”. Senza una forte spinta dal basso (e dall’ esterno), l’Unione non sarà mai all’altezza di quell’ obiettivo.

Tra l’altro, la crisi ucraina sta infatti coincidendo temporalmente con la fase terminale della Conferenza per il Futuro dell’Europa, che non sembra abbia raggiunto alcuna conclusione operativa (per dirla con il Presidente Mattarella, si sta concludendo in modo “grigio”). In particolare, non c’è nessuna proposta concreta sulla politica estera e di difesa dell’ Europa, che, come si può vedere proprio nel caso dell’ Ucraina, non esiste, perché tutte le cose importanti (per esempio la “no flight zone”, la fornitura dei MIG, la linea di successione di Zelenski, la mediazione cinese…) vengono ancor sempre decise, in realtà, fra Stati Uniti, Russia e Cina. Come difficoltà aggiuntiva c’è il fatto che, in una materia così fluida come quella militare, ci si debba sempre consultare in 27.

Sarebbe il caso che il Movimento Europeo, stigmatizzando in modo energico l’assenza di idee nella Conferenza, si esprimesse molto più chiaramente per una ripresa della proposta di Mitterrand e di Gorbaciov. L’attuale svolgimento della Conferenza (burocratico, autoreferenziale, e privo di entusiasmo, dialettica e concretezza) è, infatti, quanto di più lontano dalle realtà di quest’Europa scossa dalla pandemia, dalle sanzioni, dalla crisi economica, dalla guerra).La stessa presidenza di turno, quella francese, stretta fra la guerra e le elezioni, non ha fatto praticamente nulla per l’Europa, salvo ora la videoconferenza con Xi Jinping.

E’ dunque chiaro che:

il primo messaggio all’ Europa, è: datevi un “comandante in capo” in grado di trattare con poteri corrispondenti a quelli di Biden, Putin e Xi Jinping;

-Il secondo messaggio è: datevi una forza nucleare veramente europea. Certo, c’ è già quella francese, ma, a parte la sua debolezza rispetto a quelle russa e americana, è ad esclusiva discrezionalità del Presidente francese, che non è in grado di usarla politicamente. La Presidenza francese dovrebbe mettere la Force de Frappe a disposizione dell’Europa, precisandone le condizioni, e l’Unione che dovrebbe dotarsi di un meccanismo di gestione delle crisi che garantisca il comando unico;

-Terzo messaggio: datevi un profilo chiaro (una dottrina strategica comune), in modo da poter formulare risposte univoche;

-Quarto messaggio: spendete meglio i vostri soldi, licenziando praticamente tutti gli alti ufficiali, la maggioranza degli ufficiali, metà dei sottoufficiali e molti soldati, e dotatevi, al loro posto, di analisti, agenti segreti, ingegneri informatici, nucleari e spaziali, addestratori di milizie civili, contractors, come hanno gli altri eserciti. Sviluppate computer quantici, missili ipersonici, “gliders”, ecc…

Mariupol, centro del conflitto del Donbass

2.Il ruolo dell’ Ucraina nel futuro dell’ Europa

Gorbačëv aveva parlato di una “Casa Comune Europea” ispirandosi al papa Enea Piccolomini , Elcin, Putin e Erdoğan hanno continuato a caldeggiare, oramai da un ventennio, e con una pazienza veramente encomiabile,  l’adesione alla UE dei rispettivi Paesi, ricevendone risposte evasive o sdegnate. La realtà è che, come si era lasciato sfuggire Prodi con Putin,  Russia e Turchia sono troppo grandi, e potrebbero dettare le loro condizioni, anziché accettare supinamente quelle della UE.

E non si dica che non sono “democratici”. La storia di questi ultimi decenni ci insegna che Solidarnosc, FIDESZ, AKP, Edinaja Rossija, sono nate dalle vittoriose rivendicazioni antitotalitarie contro regimi liberticidi, come i Partiti Comunisti dell’ Est e i militari polacchi e turchi. Se i loro leaders hanno dovuto incrementare, nel corso di questi decenni d’indipendenza,  i poteri propri e dei loro Governi, ciò è stato dovuto alle pesanti forme di destabilizzazione subite, nonostante le loro origini e i loro meriti,   da parte dall’ America e dalla UE, come per esempio  la colonizzazione dei media e della cultura di Polonia e Ungheria da parte di gruppi finanziari e lobbistici occidentali, le Rivoluzioni Colorate serba, georgiana e ucraina preparate a tavolino secondo il manuale di Gene Sharp e finanziate dall’ Endowment for Democracy; il colpo di stato sobillato dal telepredicatore islamista Gülen  con sede in USA.

In conclusione, una proposta europea per l’Ucraina potrebbe situarsi lungo cinque linee di azione:

un nuovo tipo di confederazione dell’Unione Europea, da un lato con l’Unione Eurasiatica, e, dall’ altra, con la Turchia, secondo la vecchia proposta di Mitterrand (utilizzando “come veicolo” il Consiglio d’ Europa e/o l’ OSCE?);

-la “federalizzazione” dell’ Ucraina (ma anche della Turchia), come prevista dagli Accordi di Minsk, utilizzando ad esempio le esperienze della Finlandia, del Belgio e della Svizzera, oltre che le già esistenti 12 Euroregioni dell’Ucraina. Ricordiamo che il Belgio ha una Comunità neerlandofona, una francofona e una germanofona, più una “Città Capitale” che è anche la “capitale” della UE e della NATO;

-la trasformazione dell’ Ucraina nel “territorio confederale”, e, di Kiev, nella sua “capitale”. Intanto, per rispetto verso  i nostri partners orientali, e, in secondo luogo, per dare, all’ Ucraina un ruolo, “una missione”, come quella che giustamente rivendicava la “Confraternita Cirillo-Metodiana”tanto amata dai nazionalisti ucraini, che non sia solo quella di “Antirussia”;

-la neutralizzazione del territorio ucraino, con adeguate garanzie internazionali reciproche (come proposto, fra gli altri, da personaggi come Kissinger e Brzezinski). Non si capisce perché ciò che si è fatto, e si continua a fare, per quasi la metà degli stati europei, membri (Irlanda, Svezia, Finlandia, Austria, Malta) dell’ UE, e non-membri (Svizzera, Liechtenstein, Serbia, Georgia , Azerbaidjan, Islanda, Moldova) non possa essere fatto anche per l’Ucraina;

-una collaborazione urgente fra l’ America, la Russia e l’Europa, su  un progetto generale di controllo degli armamenti, non limitato alle armi nucleari  e alle difese antimissilistiche, bensì allargato a un’applicazione generalizzata del Principio di Precauzione. Infatti, le “garanzie” dell’equilibrio degli armamenti sono, prima che giuridiche, tecniche: vale a dire trasparenza delle tecnologie, efficacia dei controlli,ecc …;

-il passaggio della “Force de Frappe” francese sotto il controllo europeo;

-uno scadenziario preciso di trasferimento delle competenze militari (ivi compresi gli acquisti di materiale militare e le attuali basi NATO e americane), dagli USA e dalla NATO alla UE. E non si dica che un Esercito Europeo non sarebbe in grado di difendere l’ Europa, quando perfino l’esercito ucraino si sta rivelando capace di sostenere l’assalto di quello russo. Gli Europei stanno spendendo già adesso il doppio dei Russi, ma stanno semplicemente sprecando i loro soldi. E poi, non avendo noi l’ambizione di dominare il mondo, non avremmo bisogno di spendere quanto gli Americani. Semmai, bisognerebbe spostare un certo numero di stanziamenti verso l’AI, l’intelligence, il missilistico e il nucleare.

Si tratterebbe insomma semplicemente di ritornare all’ impostazione originaria del Movimento Federalista Europeo, che considerava la CSI come una realtà federale positiva e utile, con cui collaborare nell’ambito del Federalismo Mondiale. 

Occorre  sottolineare che, a causa della grande varietà di tradizioni delle diverse parti dell’ Ucraina, un aspetto importante dell’ Ucraina è la sua vocazione naturale  al  federalismo. Pensiamo ad aree altamente omogenee sotto tanti punti di vista, come Galizia Orientale (Leopoli), Podlessia (Cernihiv), Regione Kievana, Donbass (Kharkiv), Novorossija-Zaporizzhia (Dnipro), Bessarabia (Odessa), Rutenia Transcarpatica (Uzhgorod). Volendo, anche Crimea (Simferopol).

La “federalizzazione” era stata invocata fin dalla creazione del nuovo Stato, e già parzialmente attuata in Crimea. Essa costituiva il nucleo del programma del Partito delle Regioni che aveva vinto le elezioni. Questo progetto è già perfino accettato, negli Accordi di Minsk II, ma mai concretizzato per l’opposizione dell’ Ucraina. Esso è anche consono allo spirito federalistico dell’ Unione Europea. Non per nulla, l’Ucraina aveva fatto oggetto della creazione, grazie alle sue successive amministrazioni,  delle sue 12 Euroregioni. Come in altre parti d’Europa, le Euroregioni dell’ Ucraina non funzionano, ed era stato proprio Jatseniuk a lamentarsene quando era stato Ministro degli Esteri.

Da dove vennero i primi Indoeuropei

3.L’Ucraina  cuore dell’ Europa

A noi pare che la  materia più  delicata del contendere sia proprio quella  simbolica: la pretesa di centralità rispetto a una tradizione condivisa: quella della Rus’ di Kiev. La Russia non può permettere che Kiev, suo mitico luogo di origine, cada in mano a forze antirusse (l’”Antirussia” contro cui si scaglia ancora il Presidente Putin). Ne verrebbe sconvolto lo  stesso equilibrio culturale e psicologico del Paese (che punta tutto sulla propria continuità storica da Rjurik ,se non dagli Sciti, a Putin, sicché gli Slavi Orientali dovrebbero essere per i Russi non già dei partners, più o meno affidabili, bensì dei “fratelli”=“bratjà”).  Di converso, i nazionalisti ucraini (e dei Paesi vicini), che finalmente, dopo molti secoli, sono riusciti, anche se in modo discutibile e in ritardo sugli altri Europei, a crearsi una loro “identità nazionale”, non vogliono neppur essi “mollare la presa”, lasciando ai “Moscoviti” (i “Moskali”) la leadership dello Slavismo, che, secondo la “Comunità Cirillo-Metodiana”, sarebbe spettata all’Ucraina. È un vecchio conflitto, quello fra “Ucrainofili” e “Russofili”, che, per quanto limitato nello spazio e nel tempo, aveva già fatto molte vittime, per esempio in Galizia durante e dopo la 1° Guerra Mondiale. Ci sembra grave che, invece, non vengano mai ricordate le altre importanti tradizioni culturali dell’ Ucraina (greco-romana, turco-tartara, Polacco-Lituana, Ungherese, Rutena, Askhenazi, Karai).

Quella che noi suggeriamo è un’ulteriore  contromossa . Per noi, il Maidan non è il centro dell’ Ucraina Occidentale, né dell’Ucraina in generale: è il cuore dell’ Europa. Fin dagli inizi, l’Europa è stata molteplice: non per nulla, già Diocleziano aveva diviso l’Impero Romano in quattro parti. In Europa, vi sono almeno tre, se non quattro, “Rome”: oltre che la “Roma” propriamente detta, ci sono Istanbul e Mosca. Nessuna di queste può essere “il” centro dell’Europa. Fisicamente, il “centro” si situerebbe  proprio in Ucraina Occidentale (forse, in Bucovina, vicino al Castello di Hotyn).Secondo John Anthony, l’area si origine dei Proto-Indoeuropei si situerebbe lungo il medio corso del Don, nell’ Oblast di Samara, da dove essi sarebbero poi migrati verso l’Ucraina e la Romania. Quindi, non più Kiev origine degli Slavi Orientali (la Rus’ di Kiev), bensì la Russia meridionale quale origine degli Indo-Europei.

In Kiev, parzialmente slava e ortodossa, parzialmente cattolica, parzialmente medio-orientale (di cui è simbolo la Chiesa Cattolico-Orientale), come dice lo stesso nome “Maidan” (Turco, Arabo, Persiano, Urdu, Hindi) si potrebbe stabilire il “centro” dell’Europa, intesa, non già come semplice Unione Europea, bensì come Confederazione fra UE, Comunità Eurasiatica e Turchia.

Tuttavia, per fare questo, occorrerebbe che, al di sopra delle identità regionali e nazionali, emergesse con chiarezza la natura dell’ Identità Europea quale espressione della Dialettica dell’ Illuminismo nell’ era delle Macchine Spirituali. Tale dialettica si configura, oggi, come tensione fra, da un lato, la Rivoluzione Biopolitica perseguita dal Complesso Informatico-Militare, e, dall’ altra, l’aspirazione al superamento della Modernità nel nome delle tradizioni culturali e religiose. Quest’aspirazione, che oggi trova la sua incarnazione soprattutto nel dialogo interculturale ed ecumenico, dovrebbe trovare espressione anche in un movimento politico internazionale volto al controllo degli abusi delle nuove tecnologie, siano esse civili o militari.

A quel punto, la “radice” non sarebbe più nella Rus’ di Kiev (il “Russkij Mir”), bensì nelle culture di Yamnaya e di Tripollie (origine degli Europei),da cui si sarebbe dipartita anche la “Cultura di Sintashta” (dove Anthony vede similitudini con la cultura vedica).

L’ Europa, la Russia e l’Ucraina, per il loro carattere di “ponte” fra le culture occidentali e orientali, dovrebbero divenire il supporto politico di questo movimento. Per fare ciò, esse devono però riconoscere le loro radici comuni (i “due Polmoni” di cui parlava Papa Wojtyła), sviluppando forme di sinergia e di associazioni che accrescano il loro peso in quanto polo di trasformazione della società mondiale.

Ci si obietterà che ciò è irrealistico, in quanto, oggi, si andrebbe piuttosto verso una conflittualità crescente fra Occidente ed Eurasia. Si osserverà anche che questo è il momento di un forte “revival” di ogni tipo di nazionalismo:

-campanilistico-economicistico , come quello del “Made in Italy”;

-geopolitico-finanziario,come quello dell’”austerità” tedesca;

-populisico volgare, come quello anti-immigrati e anti-euro;

-quello sciovinistico novecentesco, come quello “sovranista”;

-quello del “ressentissement”, come quelli dei “popoli senza storia” contro gli “Herrenvölker;

-quello piccolo-nazionale, come quelli basco, catalano, scozzese o Fiammingo;

-quello letterario e aulico, come quello delle grandi “nazioni aristocratiche”;

-quello  opportunistico e filo-NATO, come quelli degli establishment militari;

-quello neo imperiale, come quello russo.

Noi crediamo invece che, in una visione pluricentrica e pluriculturale, tutte le forme di identità, comprese quelle nazionali, possano trovare uno sbocco e una fioritura, purché si inquadrino nell’ obiettivo storico dell’ Europa del XXI Secolo.

Così, la Russia potrebbe perseguire il suo ruolo di catalizzatore delle infinite forze dell’Eurasia; il mondo nordico potrebbe  continuare a costituire il cuore economico dell’ Europa; quello mediterraneo la colonna vertebrale di una rinnovata Società della Conoscenza intesa come Società della Cultura e delle Fedi; quello Centro-Orientale, una “cerniera” intorno alla quale si muovono tutte queste altre realtà. E, ancora all’ interno di ciascuno di quei “mondi”, si possono inserire le Macroregioni Europee (baltica, atlantica, alpina, adriatica, danubiana, ecc…) , ciascuna con delle sue specificità (quale ecologica, quale marinare, quale turistica, quale multiculturale, quale storica…).E, poi, ancora, nazioni, regioni, città, in un’Europa delle Identità in cui ogni anello della catena ha una propria vita.

Tuttavia, senza una nuova classe dirigente che approfondisca, maturi, formalizzi, consolidi, concretizzi, diffonda e difenda questa visione, l’ Europa va inesorabilmente verso il declino, l’irrilevanza, il conflitto e la distruzione: Complesso Informatico-militare contro democrazia; NATO contro Russia; nazionalismo russo contro revanscismo baltico e ucraino; arroganza tedesca contro Paesi mediterranei; Stati Nazionali contro micronazionalismi; nazionalità titolari contro minoranze etniche…

E’ chiaro che questo non è fino ad ora avvenuto perché tutte le componenti dell’ establishment non vogliono perseguire quell’ obiettivo, vuoi perché non informate, vuoi perché non lo condividono, vuoi perché paralizzate da  un’opinione pubblica succube dei “media”, vuoi perché eterodirette dall’ America.

Il problema politico sarà dunque come fare a conseguire quegli obiettivi nonostante quest’ ambiente circostante ostile.

Per quanto la pace in Ucraina sia un obiettivo immediato e la federazione eurasiatica un obiettivo di medio termine, le strategie per conseguirlo non devono contraddirsi reciprocamente, e devono tenere conto dei vincoli del realismo.

La strage di Srebrenica, sotto gli occhi dei Caschi Blu

4. Il federalismo mondiale non è un mondo angelico

La nascita del federalismo europeo si confonde, fin dai più lontani precedenti, con quella delle organizzazioni internazionali. Esso le ha sempre  sostenute  lealmente, anche perché esse costituiscono, per essa, il canale privilegiato per esercitare il suo ruolo nel mondo. Coerentemente con le impostazioni classiche del federalismo, il completamento dell’integrazione europea dovrebbe permettere anche la realizzazione del federalismo mondiale.

Tutto ciò presuppone però, a monte, una rivoluzione culturale, in quanto, nel dibattito culturale e politico, non sono ancora stati approfonditi adeguatamente concetti essenziali per tale riforma, come per esempio “Superpotenza”, “Confederazione”, “Impero”, “Imperialismo”, “Grande Potenza”, “Federazione”, “Stato”, “Stato Nazionale”, “Nazionalismo”, “Stato Federale”, “Federalismo”, che, infatti, tanto nella letteratura specialistica, quanto nei media, sono utilizzati in modo assai promiscuo. Intanto, quando si parla di federalismo mondiale, si pensa spesso a uno scenario utopico: tutti concordi su un unico modello, senza conflitti: la Fine della Storia. Questa però non sarebbe una federazione mondiale, bensì un impero mondiale, se non, addirittura, una tirannide universale (Rousseau, Kant).

Perciò. Il federalismo mondiale, la confederazione fra UE e Eurasia e lo stesso federalismo europeo potranno funzionare solo se interiorizzeranno la critica anti-utopica.Perfino all’ interno di un solo Stato ci sono insurrezioni, rivoluzioni e guerre civile. Uno Stato mondiale in cui tutte queste fossero rese impossibili sarebbe la fine dell’uomo. Non per nulla i cultori dello Stato Mondiale sono anche gli zelatori della Fine della Storia e della Singularity Tecnologica.Al contrario, il federalismo mondiale si pone in contraddizione estrema con il modello attualmente vincente, quello della globalizzazione tecnocratica (che aspira, appunto, a un  impero mondiale, e/o universale). Secondo tale modello di globalizzazione, dovrebbe esistere un unico centro (il Complesso Informatico-Militare), che imporrebbe a tutti gli Stati il livellamento delle loro culture per obbedire a direttive unitarie, che mirano a un modello si sviluppo finalizzato alla egemonia della tecnica (standardizzazione, concentrazione, conformismo, atomizzazione).

Il federalismo mondiale invece, aspirando a far partecipare al governo del mondo tutte le parti dello stesso, si sforza, al contrario, di organizzare una pluralità di soggetti politici, e di aggregarli, per rafforzarli, all’ interno di grandi “contenitori”  continentali o semi-continentali, come l’ India, l’ Europa, l’Africa, le Americhe, il Medio e l’Estremo Oriente, ecc…Esso prende atto del fatto che esistono, nel mondo, molti modelli culturali e politici (Kupchan, De Masi). Per questo motivo costituisce non già, come pretendono taluni teorici, la fine di tutti i conflitti, bensì l’avvio di conflitti di nuovo tipo. La causa immediata delle attuali tensioni a livello mondiale (corsa agli armamenti, conflitti locali) è costituita per esempio dal fatto che le forze della globalizzazione, non accettando questo pluricentrismo, lo sottopongono a pressioni di ogni genere.

Nell’ambito di questo conflitto generalizzato, si collocano conflitti più localizzati, vertenti sulle modalità secondo cui si vorrebbero organizzare i singoli soggetti continentali e/o subcontinentali (p.es., Palestina, Ucraina, Kashmir, isole Daoyu). Questo “pensare per continenti” che prende l’avvio dalla “Dottrina Monroe”, si sviluppa con l’”eurasiatismo” e “Paneuropa” per sconfinare nell’imperialismo (vedi “la Grande Asia” giapponese o “il Grande Medio Oriente” di Bush).

Esso ha, certo, paradossalmente, una certa parentela con lo “Scontro di Civiltà” di Huntington, solo che l’obiettivo è diverso: là, si trattava di una grande coalizione per vincere la Terza Guerra Mondiale; qui di un accordo multilaterale fra tutti i maggiori attori, per disinnescare il rischio della guerra mondiale (Habermas). Basti pensare che Huntington voleva dividere l’ Europa al confine coll’Ortodossia (paradossalmente, qualcosa di simile alle attuali rivendicazioni russe).

Anche per fare ciò, i politici dovrebbero acquisire una visuale culturale più ampia, comprensiva di  un’eccezionale competenza culturale comparata, cercando di vedere come certe soluzioni riescano a conciliare esigenze obiettive e pulsioni identitarie di soggetti diversi. L’ostacolo principale al raggiungimento di questo obiettivo è la “colonizzazione culturale” dell’ Europa da parte dell’ideologia californiana, che sta tentando d’ imporre, come fosse l’“Identità Europea”, l’egemonia culturale transumanista, introducendo in Europa una “cancel culture” che si traduce in un “Cancel Europe”. E, infine, nel “Cancel Mankind”.Il caso della persecuzione della cultura russa in tutto il nostro Continente è più che eloquente.

La retorica byroniana copriva le stragi della Guerra di Liberazione greca

5.Le Nazioni Unite dovranno “cambiare pelle”

Sono nate come alleanza vincitrice della 2° Guerra Mondiale, e ne mantengono l’ impronta e l’ideologia (il “One-Worldism” diffuso dagli Stati Uniti all’ inizio della Seconda Guerra Mondiale). L’Europa vi è rappresentata da  uno Stato Membro, ma non ha un proprio seggio. Anche il suo nome è obsoleto, si richiama alla Guerra antinapoleonica e alla  Battaglia di Waterloo, alla  Seconda Guerra Mondiale e agli Stati Uniti, dov’essa ha sede: “Millions of tongues record thee, and anew/Their children’s lips shall echo them, and say,/’Here, where the sword united nations drew,/Our countrymen were warring on that day !’ (Lord Byron, Childe Harold’s Pilgrimage).

Infine, dovrebbero essere trasferite in un Paese neutrale. Non sembra infatti ammissibile che, come nel recente caso del team russo, gli Stati Uniti possano negare l’accesso alle Nazioni Unite ai rappresentanti degli Stati membri.

Anche le Organizzazioni specialistiche sono obsolete. Esse non riescono a svolgere loro funzioni più fondamentali che mai, come, in primo luogo, un’applicazione giuridicamente vincolante a livello mondiale del Principio di Precauzione e del Principio della difesa dell’Identità Culturale. Vanno fuse e coordinate fra di loro e con le Nazioni Unite.

L’incontro di Pratica di Mare fra Putin e Bush

6.La NATO e l’OCSE potrebbero costituire la base di una Alleanza  del Nord del Mondo

A nostro avviso, essendo attualmente la NATO e l’OCSE le organizzazioni dei Paesi del Nord-Ovest del mondo, esse potrebbero diventare, fondendosi, un regime-quadro federale dei rapporti fra Europa, America e Medio Oriente. Quest’affermazione non è, a nostro avviso, contraddetta, bensì rafforzata, dalle recenti vicende ucraine. Infatti, la rivalità russo-occidentale è stata creata artificialmente per giustificare la sopravvivenza della NATO stessa come tale, mentre  Gorbačëv e Elcin avevano deliberatamente smobilitato il Patto di Varsavia nella speranza di essere accolti subito in Europa, venendo però respinti.

Come ha affermato l’Arcivescovo Emerito di Torino, Monsignor Bettazzi, dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia, la NATO stessa avrebbe dovuto essere sciolta, e sostituita da qualcosa di europeo.La NATO dovrà dunque mantenere solo i suoi compiti politici, abbandonando quelli militari, divenuti ormai obsoleti dopo la fine della Guerra Fredda e la creazione di una Politica Estera e di Difesa. Tra l’altro, i compiti dell’OCSE comprendono già precisamente il controllo degli armamenti, provvedimenti di sicurezza, diritti umani, minoranze etniche, democrazia, antiterrorismo e ambiente, anche se vengono in questo momento talvolta strumentalizzati.

Potrebbero essere membri della nuova organizzazione gli Stati Uniti, il Canada, il Consiglio d’Europa, la Conferenza degli Stati Islamici e Israele. E’ ovvio che ciascuno di questi soggetti potrebbe associarsi agli altri pur mantenendo la propria identità, ma abbandonandone le interpretazioni escatologiche ed assolutistiche. Compito principale: coordinare verso l’esterno le difese dell’area nord del mondo contro attacchi esterni (p.es., terroristici), e difesa antimissilistica. Svolgere una funzione arbitrale circa eventuali conflitti “interni” (p.es., il caso ucraino). Accordi ben precisi dovrebbero essere stabiliti fra questi organismi, le Nuove Vie della Seta e l’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai.

Evitandosi (o, almeno, allontanandosi  dalla nostra area) la competizione fra i sistemi nucleari americano e russo, l’Europa potrebbe divenire veramente l’area più pacifica e sicura della terra, anche se ciò non eliminerebbe certo l’esigenza di un Esercito Europeo, e di una cooperazione di difesa con gli Stati Uniti e con il Medio Oriente, ma con finalità diverse da quelle attuali.

Questa autonomizzazione dell’Europa sarebbe facilitata da un sistema antimissilistico comune e dalla creazione di un Esercito Europeo capace di bilanciare quello russo, in attesa di integrarsi progressivamente con questo.

Roma, Costantinopoli, Mosca

7.Il Consiglio d’Europa potrebbe divenire la “Federazione delle Tre Europe”

Il Consiglio d’Europa è l’unica organizzazione che raggruppi tutti i Paesi d’Europa.  Potrebbe costituire l’ambito di cooperazione federale fra una ricostituita Comunità Europea, la costituenda Comunità Eurasiatica e una nuova auspicabile realtà federale anatolica o panturcica. In tal modo, senza scontentare gli oppositori di una più stretta integrazione europea di Russia e Turchia, si permetterebbe a questi due Stati di contare di più anche formalmente nelle politiche europee (cosa a cui fermamente essi aspirano, e che si è voluto fino ad ora ad essi negare). Si terrebbe così anche conto che le “tre Rome” eredi della Tetrarchia romana, quella “occidentale” (romana e germanica)  , quella balcanico-medio orientale (bizantino-turca), e quella “scitico-sarmatica” (Russia, Mar Nero, Siberia, Asia Centrale) costituiscono tutte insieme l’eredità storica dell’ Europa, senza che alcuna di esse possa vantarne il monopolio, così come Kaifeng, Xi’an, Nan Qing e Pechino condividono l’eredità del Tian Ming. Tutte insieme costituiscono il nostro Stato-Civiltà. Questo richiederebbe un ravvicinamento delle culture delle diverse aree. Volendo, si potrebbe anche pensare alle forme di partecipazione di una “Quarta Roma”, l’America. Certo, questo presupporrebbe un ulteriore cambiamento di cultura, quale quello auspicato a suo tempo dagli “Euroamericani” (Eliot, Pound, Dos Passos, Frantzen).

Modernità e post-modernità sono innervate dalla “lotta per il riconoscimento”: dal principio di eguaglianza presente nelle “carte atlantiche”, alla “Missione dei Popoli”, alla decolonizzazione, alle politiche di genere. Tuttavia, non è stato ancora dato un riconoscimento pieno alle tendenze culturali diverse dall’“Occidente”. Nel caso dell’Europa, alle tendenze “asiatiche” o “eurasiatiche”al suo interno(popoli delle steppe, ebraismo, Cristianesimo orientale, Euroislam, Costantinopoli, Slavismo), con l’abbandono, da parte dell’Europa e dell’ America, della cosiddetta “Arroganza Romano-Germanica” denunziata a suo tempo da Trubeckoj, e ancora aleggiante, tra l’altro,  nei programmi scolastici e in quelli dei partiti politici europei.

Quanto sta accadendo appunto con Russia e Turchia crea, certamente, dei nuovi ostacoli su questa strada. Da un lato, il Consiglio d’ Europa dovrà formulare  una sua nuova politica di partenariato con Russia e Turchia, che garantisca loro la partecipazione all’ Europa con un ruolo paritario e  la sicurezza, non solo nucleare, ma anche contro ogni forma di destabilizzazione. A quel punto, si vedrebbe che le questioni aperte, in primo luogo quelle dei missili e delle minoranze etniche, si risolverebbe automaticamente.

L’Unione ha perso qualcosa dell’ispirazione originale?

8.L’Unione Europea dovrebbe tornare a chiamarsi “Comunità Europea”.

Essa potrebbe articolarsi, al suo interno e verso l’alto, secondo il principio della “Multilevel Governance” (l’Europa a più Velocità, l’”Europa delle Regioni”). Barbara Spinelli ha auspicato che l’Europa divenga un “impero non imperialistico”. Espressione contorta per indicare l’atteggiamento di certi imperatori del passato, i quali deliberatamente avevano deciso, come Adriano,  di  rinunziare all’ espansionismo per concentrarsi sul governo dei propri territori. Questi “imperi non imperialisti” furono, in fin dei conti, la regola nel passato, in quanto ciascun impero (Sacro Romano Impero, Impero Russo, Ottomano, Mughal, Cinese) di fatto si concentrava su uno specifico “semicontinente”. Solo gl’imperi persiano ed islamico, e, oggi, quello “democratico”, avevano fatto dei  seri tentativi per divenire imperi mondiali. All’interno, gli Imperi sono caratterizzati dal carattere fluido delle diverse identità collettive (Città e Nazioni, Province ed Etnie, ecc..), che non vengono definite in senso rigido e gerarchico come nel caso degli attuali Stati Nazionali. Oggi, abbiamo a disposizione, per tutto questo,  l’espressione “Stato-Civiltà”

Come arrivare a questa soluzione?

Mitterrand e Gorbaciov a Praga

9.Le trattative per la fine della guerra ucraina: l’ occasione per una trattativa globale?

L’idea di una trattativa globale, che coinvolga anche gli Europei e le grandi potenze, sta oramai prendendo piede. Tutti sembrano rivolgersi alla Cina come possibile grande mediatore. Ora, non dobbiamo dimenticare che la Cina:

-ha come colonna portante della sua attuale politica le Nuove Vie della Seta”;

-ha come principale alleato la Russia;

-ha come importanti partner commerciali l’Ucraina e i Paesi di Visegràd (16+1);

-ha già espresso il suo desiderio che l’Europa sia più indipendente;

-è in attesa del prossimo meeting con la UE per rendere operativo il trattato finalizzato a fine 2021.

Agli Europei non resterebbe che inserirsi, in modo propositivo, creativo, indipendente ed energico, in questa dialettica.

Il Movimento Europeo propone giustamente una Conferenza Europea per la Pace e la Sicurezza, a favore della quale ci siamo già pronunziati nei nostri precedenti post:

“Si tratta di una questione essenziale per gli interessi strategici dell’Unione europea, che dovrebbe essere posta al centro delle prossime sessioni plenarie della Conferenza sul futuro dell’Europa i cui tempi e le cui modalità di decisione dovrebbero essere rivisti alla luce di quel che sta avvenendo in Ucraina”.

L’unico problema è che la nostra classe dirigente non è, né propositiva, né creativa, né indipendente, né energica, come dimostra il suo ininterrotto e monotono allineamento, culturale, militare, politico ed economico con i pregiudizi e gl’interessi americani. Si tratta perciò di costruire dal basso un’alternativa, fondata su una cultura veramente paneuropea e sovrana, capace di confrontarsi con quelle di tutto il mondo, senza demonizzare, né Confucio, né il Corano, né Dostojevskij.

DALL’ ARCO DI TRIONFO ALLE TRATTATIVE SULLA SICUREZZA

Continuano le umiliazioni della Francia (e dell’ Europa).

La bandiera europea all’ Arco di Trionfo

Il Presidente Macron avrebbe voluto fare, del Semestre Francese, una marcia trionfale verso la rielezione, facendo leva sull’ enfatizzazione della propria posizione europeistica, e, in particolare, sulla (sacrosanta) concezione  della “Sovranità Europea” ribadita a partire dal “Discorso della Sorbona”,  un’idea tipicamente francese, erede di quelle , gaulliana, di “Europa dall’ Atlantico agli Urali”, giscardiana, di ”Europe Puissance”e, mitterrandiana di confederazione con l’URSS (“Conferenza di Praga” e “Carta Europea”).

Purtroppo, i fatti stanno dimostrando che, nell’ Europa di oggi, né il clima culturale, né i rapporti di forza, sono (ancora) tali da permettere una politica di questo tipo. Anzi, nel corso dei decenni, ci siamo allontanati sempre di più da quest’ obiettivo. Del resto, neppure De Gaulle, né Giscard, né Mitterrand, erano riusciti a tenere fede alle loro promesse, perché nessuno li aveva seguiti su questa strada. Friedman aveva dato atto sul New York Times che “i gaullisti non avevano mai minacciato gl’interessi strategici americani”. Ed invece proprio ciò significherebbe un’eventuale “sovranità europea”, che scalfirebbe definitivamente il mito degli Stati Uniti quale “nazione necessaria”(Madeleine Albright). La “riprogettazione” dell’Europa avvenuta a Yalta era stata così radicale, da rendere difficilissimo discostarsene, anche per chi Yalta la contestava. Come aveva affermato, con grande scandalo di tutti, Alexander Rahr, “gli Americani ci hanno asportato il cervello”.

L’esempio più eclatante di questo eterno fallimento del sovranismo europeo è costituito proprio dal tentativo di De Gaulle si costruirsi una “force de frappe” autonoma, cioè “à tous les azimuts”, poi naufragata sotto Chirac con il rientro della Francia nella NATO. Un secondo esempio particolarmente evidente è stato, nel 1989, alla caduta del Muro di Berlino con e l’intesa fra Gorbačev e Papa Wojtyla (la “Casa Comune Europea”), il progetto di Confederazione europea di Mitterrand, subito bloccata dai Cecoslovacchi e dall’ America.

Lo stesso rischia di capitare ora a Macron, il cui piano di una “Politica Industriale UE”, fondamentalmente quella praticata a suo tempo da De Gaulle e teorizzata da Servan-Schreiber, è già stato declassato ad una semplice serie di “alleanze” di dubbie prospettive (e già presenti per altro nel programma del Rassemblement National), escludendo innanzitutto qualsiasi ipotesi di un “DARPA europeo” e di “GAFAM Europei” (due temi abbozzati a suo tempo dallo stesso Macron). Ciò anche e soprattutto alla luce della sconvolgente esperienza della prima di queste “alleanze” (GAIA-X), di cui abbiamo parlato in un precedente blog.

E’ quindi sempre più attuale la nostra proposta di un’ “Agenzia Tecnologica Europea”(“European Technology Agency”, di cui avevamo discusso, tra gli altri, con il Presidente Sassoli (cfr. precedente blog).

Quanto ora accaduto con la bandiera europea scacciata dall’Arco di Trionfo e con le trattative sull’ Ucraina rischia di confermare le più cupe previsioni circa l’irrilevanza dell’”europeismo sovranista” di Macron. Non parliamo poi del fatto che, dalle varie presentazioni del Semestre Francese, sono quasi completamente scomparsi i suoi due elementi essenziali: la Conferenza sul Futuro dell’ Europa e la Sovranità Tecnologica.

Adesso, abbiamo le campagne del Ministero della Pubblica Istruzione francese contro l’imperversare dell’ Inglese e per lo studio delle lingue classiche, che fa concorrenza alla campagna di Zemmour per l’abbandono dell’ Inglese nelle Istituzioni europee. Vedremo come vanno a finire anche queste campagne sovraniste dei Francesi, che, secondo me, poggiano anch’esse su basi troppo fragili.

L’Impero Francese sotto Napoleone era l’ Europa

1.La Sovranità Europea

Il problema della Sovranità Europea è innanzitutto una questione culturale.  Il ritardo nella creazione del primo embrione delle Comunità Economiche Europee, a ben 12 anni dalla creazione della NATO e del COMECON, dimostra lo scarso entusiasmo degli stessi Padri Fondatori (per non parlare degli altri), i quali, proprio in quegli anni, erano tutto tranne che sovrani (basi pensare alle vicende di Olivetti e di Mattei, nonché della concessione, da parte di De Gasperi, delle basi americane). Non parliamo poi della schiacciante documentazione oramai disponibile su come l’America abbia manipolato il Movimento Europeo, isolando i più ferventi sostenitori di un’Europa culturale e politica (Coudenhove Kalergi, Spinelli, Marc, Sandys e lo stesso Churchill), e mandando avanti dei mediocri  burocrati proni ai suoi voleri (Richard J. Aldrich,University of Nottingham,1 Marzo 1997).

Quando De Gaulle aveva lanciato la propria idea dell’Europa dall’ Atlantico agli Urali (coerente seguito della proposta di Chruśćev di adesione dell’ URSS alla NATO), era stato aggredito da tutti come “antieuropeo”, anche se in realtà era l’unico a progettare un futuro veramente “europeo”. L’idea che l’Europa potesse essere autonoma tanto dall’URSS quanto dagli Stati Uniti si presentava infatti allora, a sprazzi, oltre che nel Governo francese, solo in sparute minoranze giovanili di estrema destra e sinistra, le quali tutte si guardavano bene da dare un seguito coerente alle proprie proposte (per altro anch’esse carentemente motivate: l’“Europe Nation”).

Nell’ era della tecnica dispiegata, né le “nazioni borghesi” otto-novecentesche, né l’inedito “Occidente”, costituiscono oramai un sufficiente baluardo contro l’omologazione tecnocratica, che è oggi l’unico vero ostacolo alla libertà e alla stessa sopravvivenza dell’Umanità (il “rischio esistenziale”,cfr. De Landa, Joy,Hawking, Rees). S’impongono strutture più grandi, fondate non già su “ideologie” moderne di corto respiro, bensì su tendenze “di lunga durata” (Tian Ming, Translatio Imperii), capaci di sintetizzare e rivitalizzare la storia culturale d’ intere civiltà, mobilitandole nella lotta per il controllo sulla tecnica dispiegata. S’impone soprattutto un nuovo “Stato Civiltà” come l’ Europa, che, se profondamente rinnovata, potrebbe condurre sul serio una vera battaglia per l’“Umanesimo Digitale”, che oggi ancora non s’intravvede, nonostante le tonnellate di carta prodotte.

Queste esigenze erano già presenti dall’ inizio del ‘900, ma, in realtà, nessuno aveva mai voluto che si studiassero  a fondo le ragioni d’essere del “Denken für Kontinenten”, avviato dal tanto vituperato Haushofer, del “Paneuropeismo” di Coudenhove Kalergi, né del concetto cinese di “Stati-Civiltà”, presente già fin dal 1950 in tutti i libri  scolastici cinesi.Né, tanto meno, nessuno ha mai voluto, e continua a non volere, che si approfondiscano gli aspetti tecnico-militari della sicurezza europea, che passano attraverso le tecnologie digitale, spaziale e quantica, dove non risulta che l’Europa stia facendo un bel nulla (e gli stessi esperti brancolano nel buio, cfr.Marcello Spagnulo, L’Italia spaziale, da terzo grande a satellite di chi?, in Limes, 12/21).

Ricordo quando, al Parlamento Europeo, Pat Cox aveva addirittura negato la parola a Elcin, il presidente russo più filo-occidentale della storia. Tanta è stata da sempre la paura che la Russia chiedesse, come suo diritto, di far parte delle Istituzioni europee (con la conseguente rivoluzione delle rappresentanze nazionali). Orbene, è evidente che un’autentica sovranità europea non potrebbe essere possibile se non coll’ eliminazione delle tensioni fra Europa, Russia e Medio Oriente, oggi usate come leva per mantenere forzatamente gli Europei nella NATO. Già la “Casa Comune Europea” di Gorbaciov e Giovanni Paolo II presupponeva infatti, e ancora presuppone,  che la Paneuropa non resti l’area di confine fra due sistemi, bensì un unico sistema che riprenda i lati migliori di quelli che lo avevano preceduto. Come aveva affermato allora Giorgio Shevardnadze, “un sistema migliore di quelli capitalista, socialista e feudale”.

Il monumento a De Gaulle a Mosca

2.La bandiera europea sotto l’Arco di Trionfo

Poche vicende rivelano bene come questa la sostanza copertamente anti-sovranista, tanto del Rassemblement National, quanto della politica Macron.

Quanto al primo, anziché essere fiero del fatto che la Francia abbia la presidenza dell’Europa e possa perciò dare ancor più peso ai temi che le sono cari, ha presentato addirittura un ricorso giudiziario contro l’esposizione della bandiera europea sotto l’Arco di Trionfo, dimenticando che Napoleone, che aveva voluto quell’ arco, era sdtato, di fatto, l’Imperatore dell’Europa. Quanto al secondo, lungi dal possedere l’assertività, non diciamo di Napoleone, ma perfino di De Gaulle, si è fatto intimidire da una mediocre manovra causidico-propagandistica  della candidata  rivale.

L’uso dei micro-nazionalismi in chiave anti-europea è una trovata relativamente recente, da quando, con la caduta del Muro di Berlino,  si è manifestata una fondata aspettativa che l’Europa unificata possa costituire un’alternativa agli USA. A questo fine  erano tornati utili Farage e Le Pen, Lukašenka e Meloni , che un tempo non si volevano neppure sentir nominare.

Infatti, prima dell’ ‘89, né l’europeismo, né i micro-nazionalismi, avevano alcun peso, perché imperavano, da un lato, l’egemonia culturale marxista, e, dall’ altra, l’atlantismo maccartista, abbondantemente sufficienti, dal punto di vista dei poteri forti, per stroncare ogni velleità di autonomia paneuropea. Non per nulla, le Istituzioni vivacchiavano sotto la cappa dell’ideologia funzionalistica. Dal 1989 in poi, venuta meno la credibilità di quei due orientamenti geopolitici fintamente contrapposti, non si è trovato nulla di meglio che suscitare una falsa dialettica fra i sovranismi piccolo-nazionali e europeo. Con gran divertimento degli USA, e con la tentazione della Russia di “ricrearsi l’URSS”, vale a dire una realtà speculare all’ Impero Americano, ma che in realtà lo puntellava egregiamente.

Francois Mitterrand tentò di lanciare una Confederazione Europea con l’URSS

3.”Ricostituire l’ Unione Sovietica”?

Le vicende alle frontiere bielorussa e ucraina, e l’intervento alleato in Kazakhstan, dimostrano che il disegno di una “Yalta 2”  è in fase di attuazione, e che l’America e la NATO sarebbero ben felici che la Russia “ricreasse l’Unione Sovietica”, in modo da impedire ulteriormente la “Casa Comune Europea”(e da vendere all’ Europa il gas americano).

Secondo Putin, “coloro che non rimpiangono l’ Unione Sovietica sono senza cuore, ma coloro che vogliono ricostituirla sono senza cervello”. Quindi, l’associazione d’idee fra l’URSS e il “Russkij Mir” (concetto preferito da Putin) è arbitraria, perché la strategia attuale di Mosca non risponde affatto all’idea internazionalistica dell’ex URSS, bensì segue molto da vicino il progetto panrusso di Sol’zhenitzin (“Kak obostruit’ nam Rossiju”=”Come ristrutturare la nostra Russia”), di cui il lungo articolo di Putin del Luglio del ‘21(“Ob istoričeskom edinstve Russkih i Ukraintsev”=”Sull’unità storica fra Russi e Ucraini”) costituisce in gran parte un’esplicitazione. Sol’zhenitzin non voleva difendere l’Unione Sovietica, anzi fu colui che per primo ne propose la dissoluzione, ma opponendosi nettamente alla scissione fra i tre popoli slavi orientali: Russi, Ucraini e Bielorussi, e postulando la restaurazione del sistema di autogoverno locale (“zemstvo”), tipico degli ultimi anni dello zarismo. Un discorso a parte Sol’zhenitsin lo dedicava al Kazakhstan, nel nord del quale Stalin aveva trasferito, per motivi vari, milioni di Russi, Ucraini e Bielorussi, oltre a parti di popoli minori, come i Tedeschi del Volga, i Tatari di Crimea, i Ceceni e i Mescheti. Secondo Sol’zhenitsin, questa parte del Kazakhstan (intorno alla nuova capitale Astana, e con lingua veicolare il Russo) avrebbe dovuto rimanere con gli Slavi Orientali.

In parole povere, la visione della Russia di Sol’zhenitsin e di Putin (“Russkij Mir”) è speculare a quelle dei “Brexiteers” per l’arcipelago britannico, del Gruppo di Visegràd per i “nazionali” dell’ Europa Centrale, del “Neo-Ottomanesimo” per l’AKP: rinverdire l’identità degli antichi imperi , regni o Repubbliche, che avevano dominato l’ Europa per secoli. Il problema dell’Europa, se non vuole andare a pezzi, è quello di recuperare tutte le sue grandi “regioni” all’ interno di un disegno più vasto con una sua missione specifica (la “Casa Comune Europea”, la “Confederazione Europea”), tenendo conto soprattutto delle esigenze tecnologiche e di difesa. Quelli (insieme  all’ attuale “nocciolo duro carolingio”, e al “Grande Nord”) sono veri e propri “Stati membri”complessi dell’ Europa, che è qualcosa di molto più grande (geograficamente e concettualmente) dell’ Unione Europea, e va gestito con più ampio respiro. E’ fra quelle grandi “macroregioni europee” che va trovato un vitale equilibrio, mentre l’attuale Unione, federalizzata,  dovrebbe fungere da cuore pulsante dell’ intero sistema (la vera “Europa a cerchi concentrici”).

Il programma di Sol’zhenitsyn è stato ripreso da Putin

4. La “democrazia” quale strumento di discriminazione

E’paradossale che le discriminazioni nei confronti dei Paesi dell’Est Europa siano motivate, essenzialmente, dalla loro presunta mancanza di “democrazia” secondo un modello idealizzato degli USA, i quali  sono, invece, l’esempio più palese di non-democrazia proprio nei suoi elemento primari: il diritto di voto (da sempre soggetto a restrizioni di ogni tipo), la libertà di espressione (soggetta alla censura dei GAFAM e del “politically correct”); la libertà personale (Patriot Act, CLOUD Act).Anche il continuo richiamo a presunti “valori europei” che solo gli  altri starebbero violando non regge di fronte alle continue dimostrazioni dell’ incoerenza degli Europei,dove il richiamo formale a presunti valori condivisi (ripudio della guerra, libertà individuale e nazionale, pluralismo, misericordia) è  espressione d’ipocrisia e di “doppio standard” (pensiamo alle guerre neocoloniali ancora in corso; alle testate nucleari americane sul nostro territorio; alle “extraordinary renditions”;al trattamento di profughi, Catalani, russofoni; alla violazione  di fondamentali sentenze della Corte di Giustizia; alla disapplicazione del GDPR…).Tutto ciò delegittima anche l’ Unione Europea nel ruolo di fustigatrice per procura degli USA, ch’essa si arroga, della maggioranza degli altri Stati. Ciò che accomuna “i due Occidenti” è in sostanza l’ipocrisia puritana, di chi predica valori troppo sublimi in modo da mascherare le peggiori infamie.

Così stando le cose, non ci si venga a dire che certe parti d’ Europa non sono con noi compatibili perché hanno storie e tradizioni (parzialmente) diverse dalle nostre (limitatamente agli ultimi 2 secoli). C’è da chiedersiallorache cosa intende il nostro “mainstream” per “multiculturalismo”? Che tutti i Paesi, vicini e lontani, devono diventare come noi? Oppure che tutti quelli che non sono come noi devono starci lontani? Ma allora, che senso ha tutto (il -falso-) interesse dimostrato per gl’immigrati? Non sono questi (in genere) ancora più diversi dei Polacchi, dei Russi e dei Turchi? E anch’essi hanno o non hanno il diritto di rimanere diversi? In base a quale criterio la parte sud-occidentale dell’Europa si sente in diritto di giudicare ciò che sta a Nord, Est, a Sud-Est, e, soprattutto, a Sud? E, poi, si può dire che Solimano, Pushkin o Mickiewicz siano molto diversi da Lorenzo il Magnifico, Foscolo o Goethe?

L’”Occidente” si è sempre sforzato di negare e controbilanciare la naturale affinità e complementarietà fra Europa e Russia (che  comprende anche, fra l’altro, il boom di esportazioni italiane e tedesche e i due North Stream), per fare in modo che Europa Occidentale ed Orientale siano portate automaticamente (e innaturalmente) a respingersi, sicché l’ Europa non possa mai unificarsi veramente (“tenere i Tedeschi sotto, gli Americani dentro e i Russi fuori”). Lo stesso “trucco” usato con la Russia è stato usato anche con gli altri Paesi dell’Europa dell’ Est, dove il sostegno alle idiosincrasie micro-nazionalistiche (spesso attraverso emigrati in America), ha permesso di rinfocolare le rivalità fra Lituani e Russi, Polacchi e Bielorussi, Ungheresi e Slovacchi, e addirittura fra Bruxelles e gli Est Europei in generale, quando invece sono sempre state più importanti le affinità. In questo modo, diventa difficile non solo un sentimento paneuropeo, bensì perfino una solidarietà fra gli stessi Europei dell’Est. E dire che il pezzo forte dell’ideologia panslavista sempre stata costituita dall’origine eurasiatica degli Slavi (cosa comune ai Germanici e agli uralo-altaici); che la base del “Pensiero Russo” è il “Bizantinismo” costantinopolitano; che il pensiero di un  “Romanticismo Slavo” nasce con Böhme, Herder e Tommaseo; che il costituzionalismo polacco non è meno antico di quello inglese…

Questi continui rifiuti verso la Russia da parte dell’Europa (assolutamente immotivati) a partire dal 1991 hanno trasformato l’originario entusiasmo per l’apertura all’ Occidente in una (comprensibile) volontà di difendersi da calunnie, sanzioni, destabilizzazioni -e missili-), costringendo la Russia a consolidare il proprio spazio (culturale, politico, commerciale, militare) anche verso Est. Fenomeno non dissimile da quanto accaduto in Turchia, nel Regno Unito e, parzialmente, in Polonia, le quali, per poter sopravvivere come culture, sono state costrette ad opporsi ad una Bruxelles sempre più intollerante ed autoreferenziale. E si noti che, prima, esse tutte avevano fatto uno sforzo enorme di trasformazione legislativa per poter accedere all’ Unione. Basti riascoltare il discorso programmatico televisivo di Putin la notte di capodanno del 2000, in cui s’impegnava ad introdurre in Russia tutti i principi concordati con i Paesi Europei in sede OSCE, in totale contraddizione con l’immagine che ne hanno sempre dipinto i media occidentali.

Le “macroregioni europee” ricordano gli Stati del ‘600

5. Le attuali trattative sul sistema di sicurezza europeo

Questa settimana si sono svolti incontri USA-Russia, NATO-Russia e OCSE-Ucraina per discutere i due trattati proposti dalla Russia  sulla sicurezza in Europa (“Agreement on Measures to Ensure the Security of the Russian Federation and Member States of the North Atlantic Treaty Organization;  “Treaty between the United States of America and the Russian Federation on Security Guarantees), che ricalcano, da un lato, quelli vigenti fino a poco tempo fa e ripudiati dagli USA,  e, dall’ altro, quanto da più di 30 anni la Russia sostiene essere stati gli accordi verbali fra Baker e Gorbaciov, e si riallaccia, infine,  implicitamente, alla Conferenza di Praga e alla Carta europea di Mitterrand e Hàvel.

Naturalmente, le proposte russe non sono state neppure prese in considerazione dagli USA, con la conseguente escalation da parte dei Russi (si parla di testate ipersoniche posizionate nel continente americano, come i famosi missili di Cuba, grazie ai quali l’URSS aveva ottenuto l’allontanamento di quelli in Turchia).

In questo bailamme, il compito minimo dell’Unione Europea sarebbe ora quello di delineare un progetto condiviso da tutta l’Europa, proporlo ai singoli Stati, membri o non membri della UE, e, infine, costruire strade per realizzarlo. Se Putin ha potuto scrivere sul suo sito un articolo di 39 pagine sull’ unità fra Russi e Ucraini, e tutta la stampa dell’Europa Orientale ha potuto scrivere fior di controrepliche allo stesso, perché nell’ Unione non si sa produrre nulla sulle identità degli Europei? L’Europa, nell’ ambito della Conferenza sul Futuro dell’ uropa, avrebbe dovuto elaborare una sua posizione su questi temi.

Invece, un siffatto progetto manca completamente: non soltanto si è lasciata da 23 anni senza risposta la domanda di adesione della Turchia; non soltanto ci si è urtati sempre più (come si è visto) con la Russia, ma perfino il più modesto compito dell’adesione dei Balcani Occidentali, previsto nel “Piano Janša” proposto dalla presidenza slovena alla Conferenza di Lubiana del 2021 è rimasto senza seguito, arenatosi nelle rivalità fra Serbo-Bosniaci e Bosgnacchi e fra Bulgari e Macedoni. Il fatto è che gli Europei, pur essendo confusamente insofferenti dello “status quo”, sono incapaci perfino ad immaginarsi un futuro alternativo.

L’obiettivo occulto è destabilizzare l’Europa Orientale, spezzettando le maggiori formazioni per poi inglobare alle proprie condizioni i nuovi micro-Stati, come successe con la disgregazione degl’Imperi Centrali e di quello russo dopo la IIa Guerra Mondiale. E’ proprio questa tendenza di lungo periodo dell’ “Occidente” che si sta scontrando contro la resistenza della Russia, della Turchia e, in minor misura, della Polonia.

Ciò detto, chi arriva con delle proposte (buone o cattive che siano) al tavolo delle trattative sul futuro dell’ Europa Centrale e Orientale  è, ora come sempre, la  Russia,  e gli USA rispondono senza nemmeno consultare gli Europei. Sono  due Stati veramente sovrani, che hanno una loro politica estera e un loro completo arsenale nucleare, e, pertanto, si arrogano (non senza ragione)  il diritto di decidere sul futuro dell’ Europa. Altro che Conferenza!

Le due bozze di trattato sono dunque state elaborate dalla Russia e respinte senza discussione dall’America, senza che gli Europei abbiano detto nulla. Eppure, si tratta del nostro territorio, del nostro futuro, perfino del nostro gas! Se non è questa una questione di Sovranità Europea, quale altra lo è?Cosa intendiamo dunque per “sovranità europea”?

La realtà è che il nostro Continente è visto solo come un campo di battaglia, oggi per attacchi ibridi (come le rivoluzioni colorate, le Repubbliche secessioniste, le crisi migratorie); domani, per invasioni militari come in Kazakhstan; dopodomani, per guerre nucleari, chimiche e batteriologiche, senza che gli Europei possano farci nulla. C’è di più: oggi, in barba alle premesse pacifistiche del Diritto dello Spazio, le grandi potenze stanno militarizzando lo spazio siderale, senza che, di nuovo, l’ Europa possa farci nulla.

Noi abbiamo “delegato agli USA” semplicemente la gestione di tutti i rischi esistenziali del XXI° Secolo. Quindi, se “sovrano è chi decide sullo stato di eccezione” (Carl Schmidt), noi non siamo sovrani.

Possibile che l’Europa di Macron, che, pretenderebbe di darsi una politica estera e di difesa “sovrana”, non abbia nulla da proporre, e lasci la discussione agli eterni “federatori esterni”, USA e Russia? Così stando le cose, come fare a impedire che i cittadini prendano le distanze dall’ Unione? Come ha scritto nella sua newsletter il Movimento Europeo, “appare stupefacente il gap fra il desiderio di grandeur che traspare dal programma della presidenza francese e la parte assolutamente marginale che svolgerà Parigi durante i sei mesi di presidenza.

Nonostante il volontarismo del Presidente Macron – preannunciato nella Conferenza stampa di dicembre, reiterato nell’incontro dell’Epifania con la Commissione europea al Palazzo dell’Eliseo e certamente più marcato quando parlerà davanti al Parlamento europeo il 18 gennaio – sarà difficile immaginare che in sei mesi potranno essere raggiunti risultati concreti e definitivi”.

Eppure, ce ne sarebbero di cose da dire! Sui rischi di una nuova guerra mondiale, con le testate nucleari in casa nostra e la militarizzazione dello spazio. Sull’ unità di tutta l’Europa. Sulla regolamentazione internazionale del digitale. Sul ruolo delle grandi aree macroregionali, come quella nord-atlantica, quella latina, quelle centrale e orientale, quelle artica e balcanica…Purché si lasci parlare chi le idee le ha, e non si strozzi preliminarmente il dibattito, come accade sempre più frequentemente.

FARE I CONTI CON LA STORIA (ECONOMICA)

Ricchezza dell’ Italia Preromana

COMMENTO ALL’ARTICOLO DEL 10 DICEMBRE DI CARLO BASTASIN SU LA REPUBBLICA

L’articolo del 10 dicembre, con cui l’autore richiede una “Conferenza di Alto Livello sull’ economia italiana degli ultimi 70 anni”, s’ inserisce in un trend giornalistico di fine 2021,  in cui penne di primissimo piano dell’ establishment hanno espresso (finalmente) una crescente autocritica nei confronti dell’attuale sistema politico-sociale italiano, chiedondone una rivisitazione radicale (Bastasin, appunto, sulle scelte sistemiche; Giannini, sulla distruzione della cultura del lavoro; Di Nicola, sulle chiusure aziendali, Fabbrini, sulla gestione delle emergenze;Cacciari, un poco su tutto).

Concordiamo fermamente con la richiesta di Bastasin, perché quella rivisitazione è proprio ciò che avevamo costantemente proclamato essere urgente fin dall’ inizio delle nostre attività:-nell’ industria, nell’ editoria e nella pubblicistica-, senza essere mai ascoltati proprio da quest’”establishment” che ora reclama una generale autocritica. Purtroppo, quella che stanno facendo ora è una sorta di “cura omeopatica”, che inietta dosi di potenziate di critica, per garantire che la sacrosanta ribellione non raggiunga mai il livello critico.  

La villa romana, campo di applicazione primaria dell’ Oikonomìa

1.Assenza di una visione complessiva (filosofica)

Obiettivo centrale della campagna di autocritiche: prevenire l’emergere, nel pubblico della consapevolezza che, a monte di tutte le valutazioni di carattere sociale, sono necessarie  delle valutazioni filosofiche, o, ancor meglio, storico-filosofiche (che ora mancano), e che, pertanto, senza una storia e una filosofia “autentiche”, non inficiate dalle lobbies e dalla politica, non si riuscirà a capire,  intanto,  non solo perché ci sia quest’interminabile crisi, ma, anche e soprattutto, come dovrebbero essere, invece, l’ Italia e l’ Europa.

Per Aristotile, tutta l’ economia si divideva in due branche fondamentali, l’ “Oikonomìa” propriamente detta, vale a dire la gestione del proprio fondo agricolo, e la “Chrematistiké”, la tecnica finanziaria. Ambedue costituivano parti dell’etica, che, a sua volta, era una branca della filosofia. Infatti, il perchè di una scelta economica (o finanziaria) andava ricercato in considerazioni di valore (cfr. Grecchi, “Il Filosofo e la politica”). Ovviamente,  non vi era, allora, fra queste valutazioni fatte nel contesto delle repubbliche aristocratiche greche ( di orientamento militaristico e schiavistico) alcuna considerazione per la crescita del PIL, bensì altre considerazioni, relative al cosiddetto “bene vivere”(“eu zen”).

Anche per i teologi medievali, la validità delle scelte economiche era legata a considerazioni superiori, di carattere etico, mediate dal concetto di una  “missione” dei vari ceti sociali (Bellatores, Oratores, Aratores (Adalberone di Laon).

Nell’ antica Cina, i “legisti” suggerivano ai sovrani le riforme economiche sostanzialmente in funzione dell’efficienza bellica (cfr. Han Fei, il Signore di Shan). I primi a studiare l’economia come scienza autonoma, anche in base ai dibattiti intervenuti  in Cina, furono i Gesuiti e, di riflesso,  gl’Illuministi, come Quesnais, che suggeriva d’imitare l’efficienza dello “stato minimo” cinese, estremamente centralizzato ma basato su un numero proporzionalmente limitato di funzionari (“Du Despotisme de la Chine”).

Nella cultura borghese anglosassone, la ricchezza e le virtù borghesi viaggiavano accoppiate (l’”etica protestante e lo spirito del capitalismo” di Weber). Proprio sulla base dell’esperienza americana, Saint-Simon credette di poter costruire una “Nuova Società Organica” fondata sulla religione della scienza (le “Cathéchisme des Industriels”, o “Nouveau Christianisme”), che è ancora al fondo del nostro mito dello “Sviluppo”, che, nonostante tutte le smentite, è tutt’ ora duro a morire. Secondo Marx, un approccio scientifico alla realtà avrebbe portato, con il socialismo, a una moltiplicazione inedita della produttività, la quale avrebbe permesso, a sua volta, di soddisfare tutti i bisogni umani, creando così sostanzialmente proprio la “Nuova Società Organica” profetizzata da Saint-Simon: il comunismo.

Questo determinismo marxiano fu poi ripreso surrettiziamente nella Teoria dello Sviluppo di Thurow, la cui “interpretazione autentica” è stata alla base  della competizione fra le varie scuole economiche del ‘900: liberismo, keynesismo,neo-marxismi.

A mio avviso, nessuna società assomigliò mai a nessuno degli schemi teorici di quelle tre scuole, né mai vi assomiglierà. Infatti, nelle società liberaldemocratiche, il controllo dello Stato sull’ economia oscilla comunque intorno al 50% (imposte, demanio dello Stato, Pubblica Amministrazione, sicurezza, industria aerospaziale e della difesa, reti e telecomunicazioni, incentivi, welfare, trasferimenti territoriali,  aiuto allo sviluppo), sicché esse sono,  a dispetto dell’ ideologia, delle “economie miste”. Nelle società socialdemocratiche, il “deficit spending” keynesiano genera un crescente debito, che normalmente viene distrutto alla fine mediante la guerra (i casi della Germania nazista e, sopprattutto, degli Stati Uniti, apparentemente divergenti, convergono in realtà su questa constatazione: è il  “keynesismo militare”, oggi nuovamente al centro dell’ economia mondiale per effetto del conflitto USA-Cina-Russia).

Com’ è già stato detto abbondantemente, il cosiddetto “comunismo” dei Paesi del “blocco socialista” era in realtà un capitalismo di Stato; per poter accrescere la produttività (com’è avvenuto invece poi in Cina), gli mancavano: le economie di scala; una  cultura millenaria; un leader incontrovertibile; l’informatica; l’interazione fra Stato e mercato, fra economia nazionale e commercio internazionale. Anche lì, la centralizzazione non poteva essere totale: vi era la proprietà privata degli appartamenti; la proprietà cooperativistica; la proprietà delle Repubbliche, delle Repubbliche Autonome, degli Oblast, delle città; le società del commercio internazionale; in alcuni Paesi, le imprese autogestite..

Tra l’altro, l’identificazione fra “socialismo reale” e “comunismo”, legittimata dalla titolazione del “Manifesto dei comunisti”, non è mai stata propriamente marxiana, perché per Marx, comunismo primitivo, società feudale, capitalismo, socialismo e comunismo, erano fasi ben distinte della storia umana, fra loro ben distanti nel tempo. In particolare, per arrivare al comunismo, si sarebbero ancora dovute attraversare le rivoluzioni nazionale e  borghese, il capitalismo, la rivoluzione socialista e la fase dell’estinzione dello Stato : un periodo ben lungo e complesso-.

L’Italia medievale, centro
della ricchezza d’Europa

2. La ricchezza dell’ Italia

Se i sistemi economici non sono mai corrisposti agli schemi artificiali elaborati dagli economisti e dai politici, neppure le ideologie economiche  hanno mai  costituito delle valide metodologie per lo studio delle realtà effettuali, per  il quale servono maggiormente la statistica e lo studio dei documenti storici (oltre che dell’ esperienza pratica nella gestione delle imprese).

Le ideologie (siano esse sviluppista, marxista, keynesiana, neoliberista, ordoliberale), non sono mai riuscite a spiegare in modo convincente i due opposti e convergenti paradossi dell’(apparente)  benessere degl’Italiani e della crisi permanente a partire dal 1973

La (passata) ricchezza dell’ Italia non derivava, come assurdamente ci è stato fatto credere, dal Piano Marshall e dal Miracolo Economico, bensì da una millenaria tradizione, che ha fatto dell’Italia, come delle Pianure Centrali della Cina, un baricentro dell’ economia intercontinentale. Semmai, il Miracolo Economico era stato quello degli Stati Uniti, che, grazie alla guerra vinta, avevano raddoppiato il PIL.

Del resto, basta muoversi attraverso una campagna o una città italiana per incontrare segni di un’opulenza antica, che nulla ha a che fare con il “Miracolo Economico”, ma piuttosto con la vita nelle “domus” romane o con i quadri di Piero della Francesca.Ovunque, troviamo ancora campagne coltivate come opere d’arte sul modello delle pitture pompeiane e medievali, ruderi greci e romani, borghi annidati nei punti più panoramici, castelli medievali, chiese  antiche, ville rinascimentali, musei locali, parchi e giardini …

Risulta evidente che già molte migliaia di anni fa vivevano in Italia  prosperi nomadi, potenti castellani, sapienti contadini, raffinati chierici, mercanti cosmopoliti, artisti di valore universale: un popolo intero attento alla natura e alla bellezza. Già nel 2° Millennio a.C. l’Italia veniva considerata (per esempio nell’Odissea), un paese mitico, popolato da dee e giganti, verso cui s’indirizzavano i naviganti fenici e micenei. Nel 1° millennio, vi fiorirono una delle prime grandi civiltà urbane (quella nuragica),  l’industria metallurgica etrusca, una pluralità di centri politici e di civiltà.

Nel 1° Secolo d.C., l’Impero Romano veniva già considerato dalla stessa Cina come un Paese dello stesso livello di grandezza e potenza del Paese di Mezzo (“Da Qin”), che tutti (Bizantini, Germani, Arabi, Slavi, Turchi) avrebbero continuato a imitare (la “Seconda Roma”; l’Impero di Nazione Germanica; “Rum”; la “Tretij Rim”;il ”Beylerbeylik-e-Rumeli”) ; nel Medioevo, l’Italia era il baricentro dei commerci con l’ Islam e con l’Estremo Oriente (Caffa; Galata; Cipro; Creta); nell’ Età moderna, il centro della Chiesa e della cultura europea, e il luogo di partenza dei grandi esploratori, come Giovanni da Pian del Carpine, Odorico da Pordenone, Marco Polo, Giovanni da Montecorvino, Cristoforo Colombo, Giovanni Pigafetta, Amerigo Vespucci, i Fratelli Caboto, Matteo Ricci, Giovanni Castiglione).

Quando si decise di creare un unico Stato italiano, questo già era divenuto fin da  subito uno dei principali attori della politica internazionale, partecipando alle due Guerre Mondiali anche come uno dei maggiori produttori di armamenti.

Lo sforzo autarchico dei Governi dell’ era nazionalistica, secondo cui ogni nazione doveva avere la sua banca centrale e il suo esercito, la sua industria pesante e la sua industria leggera, le sue banche e le sue assicurazioni (“Terra, Mare, Cielo”), portò a una forzatura delle vocazioni tradizionali (agricole, commerciali, culturali, religiose, militari) dell’ Italia , creando, di converso, l’eredità di un ingente patrimonio industriale, materiale e immateriale (produzione di navi, aerei, carri armati, divise, scorte, surrogati “autarchici”), che dopo la IIa Guerra Mondiale, poté essere convertito rapidamente in industria di largo consumo (nautica da diporto, lanciatori, automobili, abbigliamento, materiali sintetici), permettendo così (come illustrato brillantemente da Eichengreen),una ricostruzione rapida dell’ economia, per altro parallela a quella dei Paesi vicini, anche se con un’ incidenza quantitativamente più ridotta, di quella dei Paesi vincitori (USA  e Unione Sovietica).

Invece, la dottrina economica “mainstream” ci ha descritto e continua a descrivere tutto ciò come l’effetto congiunto del liberismo americano e del Piano Marshall, in modo da magnificare gli effetti taumaturgici dell’economia “occidentale”. Comunque, questa spinta si esaurì in ogni caso entro 30 anni (le famose “Trente Glorieuses”), con la crisi energetica del 1973, senza che l’Italia, a differenza della Francia e della Germania, si creassero le basi per una potenza duratura dell’industria nazionale.

Quindi, lungi dal costituire un modello da imitare, quegli anni rappresentano una grande occasione sprecata per dare all’ Italia una solida base economica. Tali solide fondamenta, basate su una visione realistica delle debolezze dell’ Europa in un Occidente dominato dagli USA,  che a me sembra siano strettamente legate alla scelta, da parte del “capitalismo renano” (Albert),  della cogestione delle aziende, che ha permesso di impedire la delocalizzazione dei centri pensanti dei grandi gruppi, e delle tecnologie d’avanguardia e militari. Significativi i casi della Volkswagen, della Daimler e della PSA, le quali, da ambite prede per i mercati finanziari, si sono trasformate nei gruppi più forti a livello mondiale, semplicemente gestendo i grandi mergers and acquisitions, non già nell’interesse dei gruppi finanziari di riferimento, bensì in quello nazionale. E’ significativo, infatti, che, fra FCA e PSA, il comando spetti a quest’ultima, come pure che , “alla faccia” delle accuse di protezionismo rivolte alla Cina, la Volkswagen e la Daimler controllino al 100% le loro fabbriche cinesi, mentre è stato bloccato l’accesso di gruppi stranieri al controllo delle holding tedesche.

Quindi, non è affatto vero che la delocalizzazione porti necessariamente alla chiusura delle grandi imprese europee, che, o delocalizzano, o vengono acquisite da imprese extraeuropee.Anzi, è possibile il contrario, con le holding delle grandi imprese francesi e tedesche che restano nei loro territori e acquisiscono società produttive un po’ ovunque, quindi anche in Italia, dove quelle politiche protettive non ci sono mai state.

Che senso ha in Europa la politica autarchica?

3. Il divieto delle delocalizzazioni

Per i politici italiani, l’unico problema delle delocalizzazioni sembrerebbe essere costituito dalla (inevitabile) chiusura di singoli stabilimenti, con la conseguente loro perdita d’immagine. Invece, lo spostamento all’ estero della nazionalità o residenza degli azionisti, poi della sede fiscale, legale e operativa, del gettito fiscale, del team dirigenziale, degl’impiegati amministrativi, tecnici e commerciali, sembrano politicamente irrilevanti, e, anzi, vengono agevolati, com’è successo nel caso della FIAT, dove prima si è cambiata la nazionalità degli azionisti, poi si sono scelti manager stranieri, si sono spostate le varie sedi senza conseguenze fiscali rilevanti, si sono fatte le riunioni in America, poi si è ceduto tutto ai Francesi, chiudendo quel che rimane in Italia.

Il caso più schiacciante è quello dello stabilimento Aspera di Riva di Chieri, chiuso qualche giorno fa dopo 30 anni di sopravvivenza senza giustificazione. L’Aspera Frigo, fabbricante di compressori per frigoriferi, era stata acquistata dalla FIAT perché questa, dopo la IIa Guerra Mondiale, produceva pure i frigo. Avendo cessato da tempo questa produzione, la FIAT la cedette per gradi, negli anni ’80 dell’ Ottocento, al principale colosso americano, la Whirlpool. Anche questa, per altro, era scarsamente interessata ai compressori, e pertanto cedette lo stabilimento alla controllata brasiliana Embraco, la quale, contrariamente a quanto si dice, non trasferì la produzione in Slovacchia, bensì costruì vari nuovi stabilimenti, fra i quali il principale è quello cinese. La produzione nello stabilimento slovacco incrementò semplicemente perché equidistante fra Brasile e Cina, e quindi logisticamente più comodo.Infine, l’Embraco è stata ceduta ai Giapponesi, che hanno accettato l’acquisto a condizione dell’esclusione dello stabilimento di Riva di Chieri, considerata non utile. Come si potrebbe definire, questa,  come una “delocalizzazione”? Nessuno ha deciso di spostare altrove lo stabilimento di Riva di Chieri, che, avendo produzioni da anni ’70, nel 2022 non sarebbe più interessante per nessuno(quand’anche i macchinari non fossero già stati venduti), e di conseguenza, tenendo presente la protezione dei lavoratori, è stato semplicemente depotenziato lentamente nel corso dei  decenni dai suoi svariati proprietari, fino alla definitiva chiusura. Tra l’altro, si era anche tentato di trovare industriali interessati a produzioni diverse, ma i nuovi investimenti non si sono mai concretizzati.

Questo dimostra che la legge in via di gestazione per rendere difficili le delocalizzazioni ben difficilmente si applicherebbe a  casi come quello dell’ Embraco, che sono molto frequenti, perché qui non c’è nessun produzione da spostare, e quindi non si può addebitare alcuna multa.

In effetti, come dicevamo, per evitare le delocalizzazioni si potrebbero fare tante cose, ma questa è una delle più inutili:

a)creare nuove produzioni, più adatte ai tempi;

b)riqualificare i lavoratori per le nuove professioni digitalizzate;

c)aiutare le imprese italiane a delocalizzare la produzione rafforzando il management, lòa finanza, pa progettazione, la logistica, il trading, ecc…;

d)nazionalizzare le imprese che si vogliono semplicemente dismettere, cedendo le azioni ai lavoratori.

Le eccellenze italiane non sono state sostenute, bensì boicottate

4.Ma l’Italia è la sede giusta per le industrie chimiche e metalmeccaniche?

Ciò detto, la questione di fondo resta: perché mai imprese manifatturiere inquinanti e a basso valore aggiunto dovrebbero avere sede in un Paese, come l’Italia, che vanta il suo peso culturale, politico, ambientale, turistico, agroalimentare? La Slovacchia o la Polonia non sono più adeguate dell’Italia per le industrie chimiche e metalmeccaniche? L’Italia non dovrebbe concentrarsi sulla cultura, il digitale, la finanza, il commercio internazionale, il recupero urbanistico, la transizione ambientale?

Non ci vorrebbe forse una programmazione economica europea, che guidasse gli Stati e le imprese verso le localizzazioni più adeguate per specifiche attività?

Certo, “riportarci in casa” le produzioni strategiche: ma come Europa, non come Italia.

Mentre i leader europei si incontrano praticamente tutti i giorni, per discutere questioni assai poco urgenti, perché non ci si focalizza su queste importanti tematiche?

Quest’ anno, la presidenza francese avrebbe voluto inserire nel suo programma elementi di una politica economica europea, che per altro, ad ora, sembrano incredibilmente più vaghi dei seppur elastici discorsi programmatici circolanti da circa due anni in Francia e in Germania.

Questo tema, delle specializzazioni territoriali, non è stato evocato neppure distrattamente, e va sicuramente inserito.

Nello stesso modo, va inserito nella Conferenza sul Futuro dell’ Europa.

CHI E’ EUROPEISTA? CONSIDERAZIONI AL MARGINE DEL LIBRO DI ROMANO PRODI “L’EUROPA”

Finalmente un libro ben fatto sull’ Europa!Certo, possiamo non condividerne tutti i contenuti, ma ciò non ci impedisce, né di elogiare  gli aspetti che ci sembrano ben centrati, né di svolgere critiche costruttive a ciò che ci sembra carente.

Infine, cogliamo  l’occasione per fare il punto circa le culture del federalismo e dell’ europeismo.

Il Duca di Sully

1. I pregi.

Il pregio principale del libro è l’equilibrio, che da sempre caratterizza l’azione politica di Romano Prodi,  per cui lo avevamo appoggiato ai tempi della sua elezione. Pur entro i ristretti margini di manovra del secolo scorso, Prodi ha fatto il massimo possibile per l’ Europa. Tuttavia, ora siamo nel 21° secolo ben inoltrato, sicché si richiederebbe ancora qualche sforzo in più.

Parlando di equilibrio: Equilibrio editoriale (fra libro istituzionale, opera storica e programma politico); equilibrio ideologico (avendo scelto, come inizio dell’  Europa, il Medioevo cristiano, e non, come altri fanno, la Rivoluzione Francese o la Seconda Guerra Mondiale); equilibrio politico (in quanto non identifica l’ Europa, né in un progetto messianico, né nella “Festung Europa”, né in un esperimento keynesiano, né in una società liberistica, né nella roccaforte di determinate ideologie ).

Soprattutto, era ora di creare qualcosa di accattivante per i lettori, sfatando l’idea che si possa parlare di Europa solo in un gergo oscuro e cupo.

Azzeccata l’osservazione di Prodi che il preteso fondamento della UE nella ricerca della pace (per quanto da lui condiviso) lascia oramai tutti scettici; quella sulla schiacciante debolezza dell’Europa nel contesto mondiale e soprattutto in campo digitale; il richiamo alla filosofia mussulmana di al-Andalus; il  significato mariano della bandiera europea; l’importanza del turismo, dei media  e dello sport; il bisogno di leadership.

Ottima, in generale, l’idea di associare testi semplici, ma meditati e critici, ad immagini significative. Ottimo anche esprimere, dove proprio necessario, dubbi e critiche, che normalmente oggi il “mainstream” non osa fare.

L’Abate di Saint-Pierre

2. Le lacune

La principale lacuna consiste nella deliberata autolimitazione concettuale e geografica dell’ Europa, che è poi la ragione per cui questa non riesce ad entusiasmare i propri cittadini. Ricordo anche, a questo proposito,  lo scambio di battute fra Prodi (quand’era presidente della Commissione) e Putin, in cui Prodi dimostrava una non comune larghezza d’idee per ciò che concerne i confini dell’ Europa. Per il Prodi di allora, la Russia avrebbe dovuto avere in comune, con l’Europa, “tutto tranne le istituzioni”. E Putin aveva ribattuto rivelando una semplice verità, vale a dire che questa limitazione deriva solo “dalla paura degli Europei per la grandezza della  Russia”.

Capiamo perfettamente le ragioni  delle autolimitazioni di Prodi: in una politica retta, come quella attuale,  in gran parte dai principi del marketing, è molto rischioso voler uscire dalle “bolle” del mercato ereditate dal passato (vedi partiti politici). Ogni ricostruzione sensata del contesto della storia europea, dovendo spezzare le barriere fra le vecchie narrazioni, corre perciò il pericolo di una crisi di rigetto da parte dell’opinione pubblica. Un pericolo che però, a nostro avviso, occorre correre, per  motivi che illustreremo nella seconda parte di questo articolo.

Inoltre, tutti i politici europei sentono sempre “il fiato sul collo” dell’ America, per cui nessuno ha mai il coraggio di assumere obiettivi un po’ più ambiziosi del solito.

Tornando all’autolimitazione nelle narrazioni storiche, ho assistito, perfino in America, a inattesi diverbi sull’ Europa preistorica, dove, secondo taluni, le recenti scoperte della paleoetnologia confermerebbero vecchie teorie razziali, e secondo altri distruggerebbero, al contrario, il concetto stesso di “razza”. Non parliamo poi della “gylania” di Maria Gimbutas e del carattere guerresco dei popoli dei Kurgan. Meglio quindi  non parlarne proprio?

Ogni riferimento al mondo greco-romano viene poi  accusato di essere improntato allo sciovinismo dei popoli del Sud, così come una visione a tutto tondo della religiosità del Medio Evo potrebbe urtare laicisti, islamici, ebrei o tradizionalisti. Un’analisi più approfondita dei veri contenuti dell’Illuminismo (monarchico ed elitario, come nei casi di Rousseau, di Montesquieu, di Leibniz, di Voltaire, di Boulanger) verrà sicuramente respinta nel nome della democrazia; i nazionalismi degli Stati Membri possono essere soggetti solo a critiche di stile (il “fascismo”), ma non di fondo, perché essi servono ancor oggi per  puntellare l’esistenza delle attuali classi dirigenti e il loro controllo sull’ Europa.  Gli aspetti oppressivi dell’occupazione americana, poi, (come per esempio la vicenda Assange, oggi in pieno svolgimento) non possono  essere, ovviamente, neppure citati.

E’ per questi motivi  che il libro di Prodi non comincia là dove, secondo noi, avrebbe dovuto cominciare: dal grande “melting pot” europeo del neolitico; dalle civiltà medio-orientali; dal mondo greco-romano; sì che l’Europa cristiana sembra nata per partenogenesi, e diventa semplicemente una “radice”, mentre le radici dell’ Europa sono invece le società preistoriche ed arcaiche,  sopravvissute nel Cristianesimo e vive ancor oggi (Elisabeth Rees,Simboli cristiani e antiche radici).

Coerentemente con la versione storica “mainstream”,  il libro prosegue con visioni stereotipate, tanto dell’ Illuminismo (le “idee chiare e distinte” che diventano un dogma, non un faticoso esperimento), quanto del primo dopoguerra, dove l’affermarsi  del Piano Marshall e delle  “Trente Glorieuses” (o “Miracolo Economico”) sembrerebbe un’esperienza senza ombre. Si glissa poi sui problemi irrisolti da settant’anni: Esercito Europeo e NATO; questione linguistica e imposizione dell’ Inglese; assenza dal digitale e dall’ industria culturale; non volontà d’integrare Russia e Turchia; responsabilità per la guerra civile in Libia; contraddizioni nelle politiche migratorie, dei trasporti e del turismo.

Se ci sono ancora ranti problemi aperti, esistono certamente delle cause profonde, che vanno spiegate ben al di là delle “tradizionali inimicizie” fra i popoli europei (non certo maggiori che quelle fra i Cinesi e i popoli delle steppe, o fra Industani, Dravidi e Islamici dell’ India, o, infine e soprattutto, fra Puritani, Inglesi, Afroamericani, Nativi Americani, Québecquois, Confederati, Latinosnegli USA). Dove sono le “tradizionali inimicizie” fra Europei nella Politica Estera e di Difesa? Dove nell’ uso dell’Inglese (visto che non c’è più il Regno Unito)? Dove nei rapporti con i GAFAM?

Immanuel Kant

3.L’articolo di Dastoli su Linkiesta (Salsa gollista;La differenza fra il federalismo e il grottesco sovranismo europeo di Meloni)

Il problema è che, con tutta la buona fede e la buona volontà, le culture politiche postbelliche (nelle loro varie declinazioni, marxista, cattolica, liberale, conservatrice, nazionalista) non sono state in grado, né di spiegare la nostra storia, né di proporre un progetto onnicomprensivo per il Futuro dell’Europa di cui si sta discutendo nell’ omonima Conferenza.

Nessuna di esse ha preso atto della Società del Controllo Totale, che ha travolto le tradizionali nozioni d’individuo, di persona, di pensiero, di parola, di libertà, di Stato,di Nazione, di lavoro, di economia,   a cui quelle ideologie facevano riferimento. Contro il potere illimitato dei GAFAM, s’impone un tipo nuovo di uomo, di formazione e di politica, che, nel nostro Continente, possono essere rappresentate solo da un’Europa più forte e più conscia della propria identità.

Oltre ad essere poco spinta dai suoi stessi promotori, ciascuno a suo modo demotivato,l’integrazione fu vista con fastidio dai partiti di tradizioni liberale, socialista e cristiano democratica, erano inseritisi tardivamente e malvolentieri nel progetto d’integrazione,  perché troppo radicati, chi nell’idea nazionale, chi nell’internazionalismo apolide, e comunque più attirati da altri temi. La questione appena ricordata, dell’insufficienza delle ideologie novecentesche, risulta ben chiara leggendo  l’articolo di Pier Virgilio Dastoli, che scrive “ che la cultura federalista non è ancora e pienamente parte integrante delle correnti di pensiero del popolarismo cristiano universalista, del socialismo internazionalista, del liberalismo cosmopolita e ora dell’ambientalismo. E, questo, si noti, dopo ben 70 anni dalla Dichiarazione Schuman. Prova di una palese irriducibilità. Nessuno voleva creare un soggetto politico europeo che incarnasse l’identità europea nella politica internazionale. Questo continua ad essere vero anche oggi, e il vero “miracolo europeo” è che l’ Europa vada avanti lo stesso, anche se a passo di lumaca, quando l’”establishment”,in tutte le sue ramificazioni, non ne è mai stato minimamente attirato.

Anche i fondatori delle Comunità Europee (sia Monnet che Spinelli che Churchill) riprendevano quasi pedissequamente il “Grand Dessin” che si trascinava di secolo in secolo nelle corti europee (Dubois, Podiebrad, Sully, Saint-Pierre, Rousseau, Kant, Coudenhove-Kalergi), risultato di una dialettica secolare fra tradizione imperiale e monarchie nazionali.

E’ vero, “il processo di unificazione del continente …..è stato avviato con il confronto fra tre scuole di pensiero politico…quella funzionalista…di Jean Monnet”…quella federalista… di Altiero Spinelli e quella confederale… di Winston Churchill”

In realtà, come abbiamo visto, le radici dell’idea d’integrazione d’Europa  sono a monte di questa tripartizione, che non è perciò così fondativa.

Per esempio, ’Unione Europea funzionalistica che abbiamo oggi sotto gli occhi è stata un sottoprodotto, più che del “confederalismo” di Churchill ,che era un grande aristocratico fautore dell’ Impero, e pertanto poco motivato fin dall’ inizio, fino a che non fu esautorato dai finanziatori americani, della Teoria della Modernizzazione  di Rostow (bisogna eliminare i confini per permettere l’espansione della scienza e della tecnica). Ma anche, Jean Monnet era essenzialmente un manager cosmopolita (oscillante fra America e gollismo) e Hallstein, sostenuto dall’ America,  proveniva dall’establishment economico nazionalsocialista. Nessuno particolarmente affascinato dall’ Identità Europea. Ecco perché c’è poco slancio nel processo d’integrazione.

Richard Coudenhove Kalergi

4.L’integrazione europea e i partiti

Per questi stessi  motivi, la classe politica europea non è riuscita fino ad ora a gestire in modo adeguato la transizione postmoderna (o non ha voluto farlo), sì che, di conseguenza, l’Europa arranca sempre più dietro Cina e Stati Uniti, vedendo così compromesso il futuro delle prossime generazioni.

Si dice: “molti Stati Membri non vogliono integrarsi”.Ricordiamoci che in democrazia gli Stati dovrebbero fare ciò che chiedono i cittadini. Evidentemente, non siamo riusciti a convincere i cittadini.

L’incompatibilità fra il federalismo e i partiti era e resta reciproca. I progetti europei di  Coudenhove Kalergi, Spinelli e Galimberti furono progetti di outsiders (scritti da soli o al massimo in tre persone), non dei già partiti, che erano rimasti tutti ermeticamente chiusi nei confini nazionali, quando non marionette di realtà internazionali come l’Internazionale Comunista o la Chiesa.

Non parliamo poi di che Galimberti, di Simone Weil e di Olivetti, che i partiti li volevano  semplicemente abolire, né del fatto che, nel, nel Manifesto di Ventotene, si dicesse apertamente che  né i comunisti, né i democratici, sarebbero stati capaci di creare la federazione europea.

In realtà, essendo l’ Europa un progetto geopolitico, è difficile far entusiasmare una parte considerevole dei cittadini, che per natura pensa al “particulare”, al massimo elevando il pensiero alla città o all’ impresa, mentre già solo il concetto di “nazione” è quanto mai fumoso.Non per nulla, Podiebrad era il re di Boemia, Dubois e Sully erano ministri, Saint-Pierre un diplomatico, Kant un filosofo, Coudenhove Kalergi un aristocratico, Galimberti un comandante partigiano e Spinelli un rivoluzionario di professione.

Se i grandi partiti di massa erano già anacronistici a metà del ’900 (e infatti  sono stati scavalcati, negli anni, da movimenti nuovi, come il gollismo, il gauchismo, l’ambientalismo e Solidarnosc), oggi, essi sono addirittura dei cimeli storici, tanto che, per poter continuare funzionare, hanno dovuto addirittura cambiare i loro nomi, che non dicevano più nulla all’ opinione pubblica (divenendo “Renew”, “Democratici” e  “Popolari”).

Il liberalismo era nato come reazione nobiliare alle monarchie assolute; era prosperato come difesa delle élites contro la “ribellione  delle masse” e alla fine aveva tentato di riciclarsi come “partito di classe” della borghesia, ma era stato condannato al declino dalla fine di quest’ultima, sostituita dal “ceto medio” e ,ora, da un proletariato di “déracinés”.

Il socialismo era nato, con Owen e Fourier, come espressione delle forze innovative dell’industrializzazione, era stato teorizzato da Marx come fase intermedia fra capitalismo e comunismo, e, infine, era stato realizzato effettivamente nei Paesi del “socialismo reale”, non riuscendo, però,  a sopravvivere nell’ era dei computer e degli Stati-Civiltà.

La Democrazia Cristiana, nata all’ inizio del ‘900 dalla constatazione dell’inutilità del Non Expedit, aveva avuto un exploit con il vuoto di potere succeduto al crollo del Fascismo e con l’alleanza fra Chiesa e Stati Uniti. Oggi è sostanzialmente ancora l’unico movimento vivo e vitale, identificandosi esso con la Chiesa, ma, essendosi omologato al “mainstream” occidentale, rischia di esserne fagocitato, come dimostra anche l’atteggiamento incerto della Chiesa su molte delle questioni vitali per il nostro tempo (teologia, politiche sociali, questioni di genere).

Per un motivo o per l’altro, questi movimenti non hanno proprio la capacità intellettuale d’interpretare la transizione dall’epoca industriale a quella digitale, dominata da un’enorme centralizzazione, tecnicizzazione e dematerializzazione del potere, e incentrata sugli “Stati-Civiltà”:  i loro slogan suonano come aria fritta. Per questo sono condannati ad essere sostituiti da qualcun altro.

Lo stesso può dirsi, a mio avviso, anche del post-fascismo, del gollismo, del gauchismo, dell’ambientalismo e del populismo: essi esprimono non più idee ottocentesche, bensì almeno novecentesche. Anch’essi sono  comunque obsoleti.

Duccio Galimberti

5.Confederazione e populismo

Secondo Dastoli, nessuno “ha mai pensato di considerare i sostenitori del metodo confederale fra gli “europeisti” perché chi vuole trasformare l’Unione europea in una Confederazione vuole di fatto e di diritto smantellare le basi essenziali del sistema comunitario.” Ma in realtà l’Unione Europea di oggi è meno di una confederazione. L’unica oggi esistente è la Svizzera, che un fior d’esercito federale.

L’unico avversario  di una futura Federazione Europea  sembrerebbe essere il neo-nazionalismo dei cosiddetti “Sovranisti”, in quanto questi sarebbero “confederalisti”.  Anch’essi sono un movimento datato, nato con le Rivoluzioni Atlantiche, rafforzatosi durante il Risorgimento (“Fratelli d’ Italia”), e esploso con il fascismo. Anch’essi, nonostante gli attuali exploits elettorali, sono tagliati fuori dalla comprensione del 21° Secolo. Le uniche cose parzialmente attuali sono quelle ch’ essi traggono “a piacere” dalla tradizione gollista, che però interpretano malissimo, deformando perfino l’idea gaulliana di lotta per l’indipendenza dell’Europa, in un ossequio formale all’ America (vedi l’accoglienza riservata a Bannon), quando non, come nel caso della Polonia, nella precisa volontà di boicottare l’Europa a favore della NATO. Anch’essi si distinguono per l’inconcludenza politica, dimostrata ancora recentemente dall’ incapacità di creare un solo gruppo politico al Parlamento Europeo (cfr.precedente articolo di Dastoli su Linkiesta).

Dastoli continua: Secondo il modello confederale, il governo europeo deve essere anarchico e cioè deve essere affidato alla decisione o meglio alle non-decisioni dei governi degli Stati-nazione di cui ciascuno deve mantenere una apparente sovranità assoluta” .Orbene, l’approccio “anarchico” all’ Europa, attribuito ai “populisti”, è proprio quello tenuto fino dall’ inizio dagli Stati membri e dalle Istituzioni:

-Uno Stato (l’Italia) ha potuto firmare con la Libia un trattato di non aggressione, comprensivo del divieto di fornire basi per attacchi contro il proprio territorio, e poi due altri Stati Membri hanno attaccato proprio la Libia;

-L’Unione ha decretato il bando del North Stream 2, ma la Germania lo ha realizzato egualmente;

-Nell’Unione, tutti si fanno i loro trattati bilaterali (Francia-Germania; Polonia-Ungheria-Slovacchia Cechia; Italia Francia) con il deliberato obiettivo d’ imporre la loro volontà agli altri Stati membri.

La “colpa” di tutti questi comportamenti “anarchici” non è mai stata dei “populisti” (che non sono mai stati al potere, salvo recentemente in Polonia e in Ungheria), bensì dei vari Berlusconi, Sarkozy, Blair, Merkel, Havel…

Per questo, non si capisce perché i “populisti” si agitino tanto contro “Bruxelles”,  visto che l’Europa delle coalizioni di centro-sinistra è già stata così come essi la vorrebbero.

Tra l’altro, contrariamente a quanto dicono i media, i Paesi di Visegràd stanno performando benissimo dentro quest’Europa, proprio grazie a quest’Europa “anarchica”. La Repubblica Ceca ha perfino superato  quest’anno il reddito pro-capite dell’Italia(cosa di cui non stac parlando nessuno):Secondo l’ultima indagine del Fondo monetario internazionale (FMI), la Repubblica Ceca ha superato Spagna e Italia in termini di PIL pro capite.. …

Secondo il FMI, il PIL pro capite nella Repubblica Ceca quest’anno è di 38.120 dollari internazionali a prezzi costanti e convertito in parità di potere d’acquisto………..In Italia, quest’anno, il PIL pro capite è risultato pari a 37.905 dollari internazionali del 2017 e in Spagna a 36.086“.

Secondo Dastoli, “Secondo il modello federale, il governo dei temi di interesse comune deve essere sopranazionale, deve avere poteri limitati ma reali e deve rispondere ad una autorità legislativa e di bilancio su una base paritaria  composta da una Assemblea parlamentare che rappresenti le cittadine e i cittadini e un Consiglio o Senato che rappresenti gli Stati e che decide a maggioranza e non all’unanimità.”

In realtà, una vera “Confederazione”, dotata di un suo Presidente, di un suo esercito, di suoi servizi segreti, di un suo fondo sovrano, di suoi campioni nazionali, di una propria politica economica e culturale sarebbe comunque meglio, e dell’ attuale Unione (che queste cose non le ha), e perfino di una “Federazione” che avesse il tanto decantato principio di maggioranza, ma non tutte quelle altre cose.

Basti vedere la Confederazione Elvetica, uno dei sistemi politici più efficienti in assoluto.

Altiero Spinelli

6.Chi è europeista?

In definitiva, oggi, avrei dei grandi dubbi a stabilire chi sia veramente “Europeista”. Uno dei miei massimi crucci è proprio che, dopo aver frequentato, nella mia vita, cattolici e liberali, comunisti e missini, gauchisti e tradizionalisti, democristiani e funzionari europei, federalisti e funzionalisti, non ho trovato da nessuna parte molti “Europeisti”. Come, per Mao Zedong, un rivoluzionario cinese avrebbe dovuto trovarsi fra il popolo “come un pesce nell’ acqua”, così io penso che un Europeista dovrebbe trovarsi ovunque  in Europa “come un  pesce nell’ acqua”, in confidenza, cioè,  con archeologi e umanisti, filosofi e teologi, scienziati e tecnologi, imprenditori e lavoratori, sindacalisti e manager, startupper e politici, cattolici e atei, protestanti e sciiti, ebrei ortodossi e riformati, Spagnoli e Tartari, Nunavik e Curdi, Bretoni e Ceceni, Baschi e Estoni, Islandesi e Turchi, Maltesi e Danesi, Occitani e Bielorussi, Alto-Atesini e Frisoni, Russi e Catalani, Arbereshe e Casciubi, Irlandesi e Aseri, Macedoni e Sorbi, Lussemburghesi e Aleviti, Ucraini e Siciliani, Bavaresi e Pomiacchi, Gorane e Montenegrini.., conoscendo le loro lingue, le loro storie, i loro costumi, le loro idee, i loro problemi. Un vero multiculuralismo poliedrico. Certo, cosa molto difficile, ma senza il quale non ci può essere nessun’ Europa.

Le  riflessioni di Dastoli servono però egregiamente, a nostro avviso, a mettere in evidenza che, se vuole servire a qualcosa, il Movimento Europeo dovrebbe smetterla di cercare la propria legittimazione nei partiti novecenteschi e nelle loro beghe elettoralistiche, e accorgersi finalmente della reale importanza storica del federalismo europeo, l’unica idea  che possa guidare l’ Europa del XXI Secolo nella sua resistenza contro la Società del Controllo Totale e nella competizione con USA e Cina, al di fuori e, se necessario, contro i partiti e gli Stati Membri.

Se, all’ interno di un’Europa democratica, è giusto che vi sia una dialettica fra partiti, l’attuale dialettica, e fra i partiti attuali, non ci potrà mai portare, né alla federazione (vedi il referendum del 2005), né all’indipendenza (vedi la politica estera e di difesa comune), né, tanto meno, alla salvezza dalla società del controllo totale (vedi la disapplicazione verso i GAFAM delle sentenze Schrems, delle risoluzioni dell’ EPDB, delle legislazioni antitrust e fiscale).

Il sommergibile nucleare francese

7.Una Federazione Europea all’ altezza del 21° Secolo

Siamo proprio sicuri che questo modello di federazione, nato 70, se non 250, anni fa, possa funzionare, di per sé,   nell’Europa di oggi, o bisognerebbe renderne le regole molto più mirate e più efficaci? Dove la mettiamo la presenza ingombrante NATO, che presidia capillarmente le nostre città, a cominciare da Bruxelles? Dove il mondo mediterraneo, con cui pure affermiamo di voler cooperare? Dove le Macroregioni Europee, all’ interno delle quali potrebbero trovare posto le pulsioni identitarie delle grandi aree? Dove le Regioni, le Città, che ci permettono di sfuggire all’omologazione degli Stati borghesi? Dove i conflitti dell’ Europa Orientale?

A chi attribuiremo la competizione tecnologica, la difesa nucleare, la cyberguerra, le “covert operations”? Può oggi una realtà politica continentale funzionare senza tutto ciò, o è condannata a “delegarlo” a qualcun altro (oggi gli USA, domani la Russia, dopodomani la Cina)?

Dove sono i poteri del Presidente, del Capo di Stato Maggiore, dei Servizi Segreti, dov’è la gestione politica delle nuove tecnologie e dei Campioni Europei? Chi comanderà la Force de Frappe?

Assistiamo impotenti ai dialoghi (e agli accordi) fra USA e Russia, USA e Russia e Cina e Russia “sul futuro dell’ Europa”. Tutte cose che dovrebbero essere discusse nell’ apposita Conferenza.

Il problema è che, tanto i partiti tradizionali, quanto gli Stati nazionali, quanto, infine, lo stesso ordinamento giuridico europeo, sono stati creati decenni fa nell’aspettativa di amministrare un’Europa “a regime”, con la Guerra Fredda e senza brusche scosse antropologiche. Invece oggi, per constatazione unanime, e per dichiarazione esplicita dei massimi protagonisti, siamo avviati a una velocità vertiginosa (la “Legge di Moore”) verso il “Secolo Finale” (Sir Martin Rees). Per una situazione di emergenza ci vuole un governo di emergenza, non una “federazione” in cui bisognerebbe votare a maggioranza dei due terzi perfino la eventuale risposta a un attacco nucleare. D’altra parte, chi mai ha votato la dislocazione in Italia delle testate nucleari?

Le cooperazioni rafforzate, suggerite da Prodi e Amato, ci sono già, come per esempio la BEI, Schengen, l’Euro, l’ ESA, l’Agenzia Europea degli Armamenti, Eurocorpo…, ma nessuno neppure se ne accorge. Una cooperazione rafforzata nel settore difesa, altro cavallo di battaglia di Prodi, presupporrebbe di mettere in comune l’intelligence e la Force de Frappe francese. Chi è pronto a questo salto?

Se gli USA installassero in Ucraina missili ipersonici, questi impiegherebbero 5 minuti per raggiungere Mosca. Nessun Maggiore Petrov, manco fosse Superman, potrebbe fermare, questa volta, come nel 1983, la “Mutually Assured Destruction”. E’ di questo che hanno discusso l’altro ieri Putin e Biden. Qualcuno in Europa lo sta considerando?

Solo se riuscisse a gestire questi temi la Federazione Europea potrebbe risultare una vera rappresentante dei cittadini europei, e la loro estrema difesa, e, di converso, potrebbe suscitare la loro adesione e il loro entusiasmo.

KULTURKAMPF

L’arresto di Assange a Londra due anni fa

Eventi disparati succedentisi in questi pochi ultimi giorni stanno confermando che è in corso in tutto il mondo una guerra culturale “senza limiti” (Kulturkampf),  combattuta prima di tutto con un uso congiunto di retoriche ideologiche e delle nuove tecnologie ( che funzionano come  prolungamenti dell’ideologia). E’quella che Sunzu aveva già definito “Conquistare il Tian Xia senza uccidere nessuno” e Nietzsche avevachiamato “L’Ultima Grande Battaglia” fra “grande e piccolo, ricco e povero”).

L’ultima versione ufficiale di tutto ciò è la “Dottrina Biden”, che Massimo Giannini ha descritto ironicamente sulla prima pagina de “La Stampa”: “La Dottrina Biden è ormai nota: è in atto una ‘recessione globale delle democrazie’e un’aggressione sistematica delle autocrazie. La Cina e la Russia, la Turchia e l’ Iran. La minaccia è ovunque. E gli eserciti nemici, come l’Impero del Male teorizzato a suo tempo da Bush, incedono su più fronti. A colpi di armamenti e/o di investimenti.”

A nostro avviso, la situazione è in  realtà più complessa, come tentiamo di spiegare qui di seguito.

Colombo contestato in America

1.”Il “summit delle democrazie”: un sintomo dell’erosione del sistema americanocentrico

Non è infatti casuale che ora l’ America, scossa oggi in tante sue vecchie certezze (Fine della Storia, della concordia  fra le “sue razze”, e della leadership tecnologica) senta il bisogno di rilanciare così platealmente la sua politica di egemonia sugli Stati che si pretendono “democratici”. Come scrive appunto Giannini, il  “Summit for Democracy” si è rivelato però perdente, già anche perché (aggiungiamo noi), su 249 Stati indipendenti del mondo  gli Stati Uniti se la sono sentita di invitarne solo 110, a causa del tacito presupposto che, dopo 70 anni dalla Dichiarazione di San Francisco e 32 anni dopo la caduta del Muro di Berlino, l’”esportazione della democrazia” è ancora in alto mare, visto che gli altri 138 (la maggioranza) non sono stati considerati come democratici.Scrive Giannini:”Questo ‘Club delle democrazie’ finora non ha saputo opporre granché di concreto ai suoi avversari esterni””Sulla Cina si balbetta. Sulla Russia si nicchia (a parte qualche rituale altolà, e ora l’annuncio di sanzioni Ue in arrivo per la famigerata Brigata Wagner, accusata di violazioni dei diritti umani in Ucraina, in Siria e in Libia)”.

In secondo luogo, l’affermazione che “le democrazie sono le più efficienti” (che avrebbe dovuto essere il Leitmotiv dell’ evento) è stata smentita degli schiaccianti dati dei morti di Covid (USA 796.000, Cina 4.636).Un dato che ha alitato su tutta la manifestazione, e che ha creato non poco imbarazzo in molti oratori (come Draghi), che sembravano recitare, ma con scarsissima convinzione, un copione scritto, o meglio prescritto:“..le nostre nazioni allarmate non hanno le carte in regola per denunziare la ‘recessione democratica’ altrui, se prima non si interrogano su ciò che sta succedendo a se stesse.”(Massimo Giannini, La Stampa).

Infine, sulle prime pagine erano comparse, in contemporanea, le immagini del processo per l’estradizione di Assange, richiesta dagli USA, con la scandalosa decisione della corte inglese di concederla, e ora compaiono notizie sul fallito colpo di Stato di Trump.Il tutto concorre a dimostrare che le “democrazie occidentali” non sono soltanto inefficienti, ma anche (qualunque cosa possa voler dire) “antidemocratiche”, o, più correttamente, “illiberali”.

Giorgio Washington, Gran Maestro della Massoneria americana.

2.Alle radici del messianesimo americano

Fino dalla “scoperta” dell’ America da parte di Colombo, che si considerava investito di una missione affidatagli da Dio, si sono succeduti una serie di eventi che facevano, già ai loro tempi, pensare ad un’unica, colossale, lotta ideologica, fra, da una parte,  una serie di cosiddetti “utopisti”, come Tommaso Moro, Ruggero Bacone, Vieira, e  Harrington, che ambientavano i loro progetti apocalittici in America, e , dall’ altra, i loro antagonisti, come De Las Casas, Montaigne, Rousseau, Voltaire, Kierkegaard, nonché fra varie versioni dell’utopia  “atlantica”: la Fine della Storia “all’americana”, quella trockista, quella ariana….

Pochi sanno che Colombo, nel Libro delle Profezie, annoverava  sé stesso nella discendenza dei profeti di Israele, ed enumerava le corrispondenze delle Sacre Scritture con l’impresa da lui compiuta – identificandosi via via con Ezechiele, gli Apostoli, i Re Magi, l’Arcangelo Michele, Salomone, Re Davide e Cristo stesso. La sua visione del futuro veniva presentata, come poi ribadito da Viera nell’ “Història do Futùro”, come l’ultimo capitolo della Storia Sacra, destinata a culminare nella Fine del Mondo, ovvero nel Secondo Avvento di Cristo. che la Chiesa aveva dilazionato nel tempo, mentre gli eretici non mancavano di predirlo come imminente di secolo in secolo, e Colombo considerava avverato da se stesso.

E’ dunque con Colombo che nasce l’idea, espressa poi da Lessing, di portare sulla terra le speranze escatologiche (morali e materiali) della religione.

Venendo a tempi più recenti, queste fantasie apocalittiche sono state i riprese nei Magnalia Dei Americana, nel Testamento di Washington, nelle opere di Emerson, di Saint-Simon,di Whitman, di Enfantin, di Friske e di Kipling, nella lettera di Mazzini a Lincoln, nei “Leaves of Grass” di Whitman,  nella “Filosofia dell’ Opera Comune” di Fëdorov, in von Neumann, in Kurzweil e nel primo Fukuyama.

Queste utopie hanno un contenuto “olistico” per eccellenza: sono, da un lato, spirituali (la fine del “peccato”), e, dall’ altra, materiali (un mondo di abbondanza e di facilità), che, secondo l’idea manichea e poi positivista, sono intrinsecamente legate. E’ l’ “Eterogenesi dei fini”, temuta dal pensiero classico e dai Padri della Chiesa, ma fatta propria anche da illuministi come Vico, Wundt, Mandeville e Kant.

La volontà di realizzare l’utopia  in pratica ha provocato, fra l’altro, in America, grandi calamità come la guerra d’indipendenza americana, il Trail of Tears, le guerre con il Messico, i Confederati e la Spagna, e, di riflesso, in Europa e in Asia, tutte le guerre degli ultimi 2 secoli.

L’Europa divisa a Yalta non è ancora riunita

2.”Occidente” e “Blocco Socialista”:  due volti della stessa rivoluzione

La cosiddetta “Guerra Fredda”, conseguenza dell’ espansione mondiale delle “Rivoluzioni Atlantiche”, è stata una lotta globale fra due versioni di quella  stessa utopia messianica: da un lato, la deterministica Teoria dello Sviluppo di Rostow; dall’ altra la Coesistenza Pacifica intesa da Hruśčëv come  una sorta di ordalia per stabilire chi (USA o URSS) fosse veramente in grado di realizzare il mondo giusto e ricco fantasticato da Bacone. Sempre per via dell’ “Eterogenesi dei Fini”, quell’ordalia fu più sanguinosa di quanto normalmente si riconosca Essa provocò, tra l’altro, le guerre di Corea, del Vietnam e dell’ Afghanistan, i colpi di Stato in Ungheria, Turchia, Iran, Grecia, Brasile, Cile, Argentina e Polonia, e le guerre civili in Europa Orientale, Sudamerica e Asia Sud Orientale.

Mentre il primo Fukuyama era convinto che  quella battaglia sarebbe stata ormai vinta inevitabilmente dall’ America, Huntington era più scettico, ipotizzando ancora uno Scontro di Civiltà fra “The West” e “The Rest”: precisamente ciò che  vorrebbe realizzare Biden , con il suo “Summit delle Democrazie”, dove i politici sostenitori del sistema americano, autodefinentesi, a torto o a ragione, “democrazie”, si sono incontrati apparentemente con lo scopo di coalizzarsi per sconfiggere  tutte le altre forme di società oggi esistenti (138 Stati indipendenti!), definite collettivamente e dispregiativamente  come “autocrazie”. Ambedue definizioni non del tutto appropriate, ma tuttavia comprensibili  purché le si legga attentamente alla luce della filologia classica.

L’America, senza un nemico da combattere, perderebbe la sua ragion d’essere e si dissolverebbe, perché, come diceva Chesterton,  essa non ha un’ideologia, bensì è un’ideologia (e, aggiungiamo noi, è un’ideologia bellicosa e apocalittica).La lotta fra “la” democrazia e tutti gli altri (le “autocrazie”) non  è infatti che il nuovo volto della rivoluzione permanente portata avanti dagli Americani(Emerson, Whitman, Ledeen), prima contro il “Selvaggi Indiani”, poi contro i Francesi”papisti”, il Re fedifrago,  gl’ignavi Messicani, i “colonizzatori” spagnoli, i “Crucchi”, i “Musi Gialli”, i “Comunisti”, gl’”Islamisti”…

I due  concetti  facenti parte  dell’ antitesi propria alla c”dottrina Biden (democrazia e autocrazia) hanno come secondo membro il termine “crazia” ( che Luciano Canfora precisa, nel suo articolo “La democrazia non è liberale”) significa “potere”. Nel primo caso, il potere sarebbe “dei poveri” (come dice Aristotele, ma io direi oggi, piuttosto anacronisticamente, “delle periferie”, significato originale di “demos”),nel secondo, del “libero arbitrio” (cfr. Platone).Giustamente, Canfora scrive dunque che, per questi motivi,  “Quando parliamo di democrazia non sappiamo di che cosa parliamo. E’ una parola come la clava di Eracle, che si scaraventa contro l’interlocutore per intimidirlo”. Ma lo stesso si può dire, a maggior ragione, di “autocrazia”, che, a sentire gli Americani, unirebbe sistemi così diversi come Cuba, il Venezuela, l’Ungheria, la Turchia, la Russia, l’ Egitto, l’ Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, Singapore,  l’Iran, la Cina, il Vietnam e la Corea del Nord (vale a dire tutti e soltanto quei Paesi che non obbediscono ciecamente agli USA) .In effetti, in Greco, “autokratèia” significa padronanza di se stessi, indipendenza, sovranità. Le “autocrazie” sono quelle che, essendo indipendenti dall’ Impero Mondiale e “padrone di se stesse”, possono esercitare il proprio “libero arbitrio”. L’”autocrazia”, anziché essere sinonimo di dispotismo centralizzatore, ha una vocazione personalistica ed individualistica, che mira alla difesa della personalità contro la spersonalizzazione delle società di massa.

E’ per questa ragione politica che, sul piano filosofico, è ora in corso un attacco generalizzato contro il “libero arbitrio” (cfr. Galimberti).E qui si spiega anche la campagna contro il Greco e il Latino (Cingolani), che, invece, sono fondamentali, almeno per le élites pensanti, per capire criticamente le basi vere del “Kulturkampf” in corso. “Last but not least”, la martellante propaganda buonistica per persuaderci che, finalmente, con la nuova cultura dell’ eguaglianza, dell’accoglienza, dell’ibridazione, della fluidità, il male, macchia delle società passate, scomparirà dal “Legno Storto dell’ Umanità”, grazie alla razionalità imposta dalla tecnica e incarnata nell’ Intelligenza Artificiale (Ferraris).

La guerra fredda fra USA e Cina è
una guerra d’informazione e tecnologica

3.La Nuova Guerra Fredda

Secondo Oskar Lange, il socialismo avrebbe potuto realizzarsi solo con un uso massiccio dei computers. E’ ciò che si sta verificando oggi, e questo favorisce, da un lato, lo sviluppo dell’ inedito “Socialismo con catratteristiche cinesi”, e, dall’ altro,  la convergenza fra capitalismo e socialismo nell’ Ideologia Californiana.

La caduta del Muro di Berlino  ha avuto infatti come primo effetto lo svilupparsi l’ egemonia incontrollata  dei GAFAM americani, prima confinati allo spionaggio e alla guerra elettronica, e ora spazianti su qualunque attività umana, e poi una serie di nuove guerre (Nagorno Karabagh, Cecenia, Transnistria, Jugoslavia, Donbass), e la destabilizzazione permanente degli avversari (Irak, Libia, Siria, Serbia, Ucraina, Tibet, Xinjiang, Hong Kong). Tuttavia, l’effetto più appariscente è stato quello culturale, dove il crollo del Socialismo Reale ha comportato anche una metamorfosi in tutto il mondo dell’egemonia culturale marxista, apparentemente superata dalla rivoluzione tecnologica,  perché ha reso obsoleto i vecchi piani quinquennali. I molti eredi del movimento internazionale comunista hanno scelto ovunque di ri-posizionarsi rapidamente nella nuova realtà (così come avevano  fatto i fascisti nei partiti “antifascisti”), mantenendo comunque il loro potere: chi, come in Corea del Nord, radicalizzandosi, che, come a Cuba, divenendo più flessibili, chi, come in Vietnam, rimanendo se stesso ma alleandosi con gli USA.

La Cina ha continuato sulla propria strada diversa, segnata da Kang You Wei, Sun Yat Sen e Mao Zedong, mentre la Russia ha mantenuto (e mantiene) il partito erede del PCUS, anche  seridotto a maggior partito d’opposizione, di Russia e d’ Europa (9 milioni di elettori).

Altrove, i post-comunisti, mescolandosi con rivoluzionari non marxisti, con socialdemocratici, e cattolici del dissenso, con sciiti, radicali, democristiani, liberali, conservatori, tradizionalisti, populisti e post-fascisti, e soprattutto con i “post-umanisti”, anno portato ovunque gli slogan progressisti, egualitari, materialisti ereditati dal gauchismo (egualitarismo, antiautoritarismo, fluidità sessuale) . L’egemonia culturale marxista si è mescolata così alle lobby “californiane”  avanguardie del “Kulturkampf”, e sta estendendosi  anche al centro e alla destra. L’apparente “ammucchiata”, che ha trovato la sua massima espressione nel “Natale dei Conservatori” di Atreju costituisce la plastica rappresentazione di questa sostanziale convergenza, che, se, apparentemente,costituisce una grande vittoria di una destra dichiaratamente postfascista e finalmente sdoganata, rappresenta nella realtà il successo  postumo collettivo del ’68 : da un lato, la “testimonianza” tradizionalista  di evoliana memoria, e, dall’ altro, la “Lunga Marcia attraverso le Istituzioni” di Rudi Dutschke, il cui esito finale è stato che i “radical chic”, così estremisti da essere in realtà conservatori, dettano la linea culturale e politica  a un’ intera classe dirigente deculturalizzata. Per esempio, che cos’altro è l’ideologia “gender” se non quella fluidità sessuale che, secondo il Marcuse di Eros e Civiltà (libro cult del ’68), avrebbe caratterizzato il felice stato dell’ uomo primitivo?

In questo contesto, i  GAFAM restano nonostante tutto il “nocciolo duro” del progetto baconiano incarnato dall’ America (l’isola di Bensalem piena di motori e di telefoni ), ed hanno anche preso formalmente il controllo della società americana (comitato NSCAI, Endless Frontier Act) e, attraverso di essa, cercano di prenderlo di tutto il mondo (cfr. Schmidt e Cohen, The New Digital Age). Al di fuori della Cina e dei suoi BATX, non esiste oggi nessun Paese libero dall’ ecosistema digitale americano.

Il “politicamente corretto” oggi imperante è  precisamente l’effetto  della “manovra a tenaglia” fra post-comunismo in cerca di nuovi padroni, messianismo americano disorientato e controllo informatico dei GAFAM, che sta restringendo sempre più i margini di libertà e di creatività in tutto il mondo, in preparazione di una IIIa Guerra Mondiale informatica contro l’ ecosistema digitale cinese, e del superamento dell’ Umanità da parte delle macchine. Che questa previsione non sia azzardata, è che hanno parlato di concrete possibilità di guerra soggetti tanto diversi quanto Biden, Lukashenko e Orbàn.-

 

La Cina persegue il “ringiovanimento della nazione”

4.Le reazioni delle culture “altre”

Ovviamente, questo processo di espansione del potere tecnocratico occidentale, per quanto camuffato,  non può avvenire in modo totalmente indolore, ed è per questo che lo si descrive in termini edulcorati, come “esportazione della democrazia”. Tutta l’attività dell’ “establishment” è volta semplicemente a mascherare la transizione, dall’oligarchia costituzionale del II° Dopoguerra, allo Stato Mondiale del Controllo Totale.

Vi sono vari tipi di reazione, dipendenti dalla natura dei vari Paesi e delle varie culture.

Come si è visto, la prima “contro-azione”, è stata quella della Cina, la quale, nel corso di esperienze traumatiche come le guerre dell’ oppio, quelle  anti-giapponese, di Corea e del Vietnam, le insurrezioni dei Taiping e dei Boxer, e quelle contro le occupazioni occidentale e giapponese, le lotte contro i secessionismi, l’egemonia sovietica, le infiltrazioni occidentali e le sanzioni americane, ha resuscitato  un fortissimo senso della propria identità, tradizione e grandezza, e ne ha tratto la forza per uno sviluppo autonomo nonostante la disperata posizione iniziale- bruciando in 70 anni le tappe da Paese sottosviluppato a dittatura “sviluppista”, a Paese in via di Sviluppo, a “Fabbrica del Mondo”, e, ora, a leader della tecnologia e dell’ economia mondiali-. Essa è, per questo motivo, oggetto di un attacco violentissimo dell’America, che non vuole perdere la propria leadership, alla quale  deve il proprio benessere e la propria stessa esistenza.

Il “Socialismo con Caratteristiche Cinesi” è più avanti dell’ Occidente (di forese 50 anni) sulla strada verso una società compiutamente tecnocratica, tanto che,  in molti casi, come la preservazione della cultura tradizionale, la tutela dei consumatori e l’educazione dei giovani, sta già sperimentando , grazie alla persistenza dei suoi valori ancestrali dei correttivi che in Occidente ancora non si vedono. In questo senso, essa può dare quelle risposte alle domande poste in questi giorni da vari autori ai “conservatori” europei e russi, e per le quali una risposta non è ancora pervenuta.

La Russia, che non si era mai identificata al 100% con l’URSS, e, anzi, aveva provocato il crollo di quest’ultima con atteggiamenti quali quelli di Sol’ženitsin e di Elcin, si era però resa conto ben presto che gli USA stavano approfittando della debolezza delle ex Repubbliche e dei Paesi dell’ Europa Centrale per attaccare la stessa Russia (cfr. casi della Serbia, della Transnistria, della Georgia, dell’ Ucraina), e che, da parte sua, l’Europa non aveva alcuna intenzione di accoglierla nell’ Unione come richiesto da Gorbačëv e da Elcin. Come conseguenza, essa ha usato tutti i mezzi ancora a sua disposizione (esercito, arma nucleare, minoranze etniche, solidarietà storiche, diplomazia, gas) per compensare la perdita dell’influenza ideologica e strategica dell’ ex URSS. Nell’ ultimo decennio, Putin ha sottolineato l’appartenenza della Russia all’ Europa e alla religione cristiana, puntando a divenire il leader dei conservatori, ma senza dare uno sviluppo compiuto a questa parabola culturale brillantemente avviata.

I Paesi medio-orientali, scossi da profonde tensioni interne, hanno comunque in comune il fatto di sottolineare la comune eredità islamica ( almeno per ciò che riguarda il culto, l’educazione, l’etica sessuale, la lingua sacra, la difesa della Palestina, i simboli identitari), e questo permette loro di difendere, anche se disordinatamente, la loro identità.

L’interazione  fra l’offensiva culturale e sociale occidentale-americana e delle contro-azioni  dei vari Continenti, ha dato luogo a una serie di sotto-conflitti minori, come quello fra Woke e suprematisti bianchi, fra EU e Visegrad, fra Visegrad e Bielorussia, fra Russia e Ucraina, fra Aseri e Armeni, Cinesi di Hong-Kong di varie fazioni, ecc…).

Anche in Europa si sono manifestati, di tanto in tanto, movimenti disordinati di reazione all’invasione di concetti, armi, organizzazioni, movimenti, imprese, americani, come per esempio il neo-liberismo, l’americanizzazione della lingua, la costruzione di nuove basi militari, le “guerre Umanitarie”: gollismo, Serbia, Erdoğan, “Sovranità Europea”. Tuttavia, si ha l’impressione che nessuno sia disposto a tirare molto la corda per timore di fare la fine di Olivetti, Mattei, Gorbaciov.

Sul piano culturale, gli Stati Uniti sono ancora forti, perché le culture ufficiali di tutto il mondo, nate in un modo o nell’ altro sotto la spinta dell’Occidente imperiale, faticano a riscoprire una serie di approcci delle loro tradizioni (come “Tian Xia”, paneuropeismo, euroislam), che le aiuterebbero a mantenere una maggiore indipendenza, e continuano a puntare su forme di sincretismo che, alla fine, si rivelano, come già il vecchio “Wakon Yosei” giapponese, perdenti. Occorre urgentemente costruire, un discorso culturale mondiale che non sia quello dei GAFAM, riuscendo a rintracciare quei “valori spessi” che accomunano, secondo Hans Kueng, tutte le civiltà del mondo (mentre quelli “sottili” sono specifici delle singole culture). Fra  i primi non c’è la “democrazia” americana, che rientra invece semmai fra i secondi.

Capek ha descritto fino dal 1923 la rivolta dei robot

4. La dittatura informatico-digitale

Il “vertice mondiale sulla democrazia” è iniziato il giorno stesso in cui  una corte inglese, su richiesta degli Stati Uniti, ha deciso che Julian Assange può essere estradato negli Stati Uniti, dove potrebbe essere condannato a più di 170 anni di reclusione soltanto per le sue attività giornalistiche, cioè per avere reso accessibili al pubblico di Internet tutti gli e.mail scambiati negli ultimi anni fra Governi ed ambasciate, oltre che i filmati di uccisioni mirate di droni pilotati dall’ Esercito Americano da basi europee.

Non si capisce perché solo gli Stati Uniti abbiano tanta voglia di processare Assange se questi ha rivelato i segreti di tutti gli Stati del mondo, e nessuno di questi ultimi intenda processare Assange (salvo l’ Inghilterra che lo tiene prigioniero e si accinge a consegnarlo agli USA).Evidentemente, gli Stati Uniti si considerano i tutori e i maggiori beneficiari dell’attuale ordine mondiale, e soprattutto della dittatura digitale, sì che, non solo chi lo attacca, ma perfino chi ne rivela i lati negativi, così, come scriveva Foscolo, “temprando lo scettro ai regnator” , diviene il “nemico numero uno” dell’ America, che si arroga  anche il diritto, con la sua “applicazione extraterritoriale del diritto”, di giudicare chiunque in qualunque parte del mondo, come se fosse un vero sovrano universale.

Anche non è proprio, come ha affermato uno speaker russo, “come se la tenutaria di un bordello pretendesse d’ impartire lezioni di morale a giovani fanciulle”, questo è piuttosto rivelatore di che cosa sia veramente la “democrazia” americana -.

Essa invera l’ipocrisia puritana (l”uomo bianco ha la lingua biforcuta”),  , ma, soprattutto, dimostra la verità di quanto affermato da Canfora là dove scrive che “la democrazia non è liberale”. Infatti, “i romani si ritenevano il luogo della libertas. Libertà e democrazia erano per loro agli antipodi. Ancora nella lingua italiana del Trecento maggioranza significava sopraffazione.”

L’invasione digitale impedisce l’innovazione sociale perché favorisce la mediocrità dell’ utente e impedisce l’eccellenza del creatore: un Pericle, un Orazio, un Cesare, un Sant’Agostino, un Dante, un Machiavelli, un Goethe, un Nietzsche, non sarebbero possibili nella blogosfera. Come aveva scritto Antoine de Saint-Exupéry, “mettendo in bella” le idee di Tocqueville, “E’ triste quando un individuo schiaccia la maggioranza, ma è più grave quando la maggioranza schiaccia l’individuo”, che è ciò che si verifica nelle presenti società di massa.

Infatti, l’unico modo per garantire l’eguaglianza è distruggere l’ “autokratèia”,il “libero arbitrio” personale o nazionale, per trasferire tutto il potere alla cosiddetta “intelligenza dello sciame”, che è quell’intelligenza digitale che impone pavlovianamente il “Politically Correct”.  Soprattutto, l’”intelligenza dello Sciame” gestita dai GAFAM non è né liberale, né democratica, bensì totalitaria e post-umana.

Dall’ invasione digitale americana, si capisce perché tutti gli Stati del mondo cerchino disperatamente di tenere gli Americani fuori dalle loro società: perché, una volta   risucchiati nella rete americanocentrica, non si riesce più ad uscirne, come la mosca dalla tela del ragno.

La tanto decantata legislazione digitale europea non funziona

5.La sovranità europea ridotta a slogan elettorale

Purtroppo, le energie di buona parte dell’”establishment” in molte parti del mondo è volta innanzitutto a nascondere l’evidenza di quanto descritto in questo articolo.

Ad esempio, nel presentare il programma del Semestre Europeo Gennaio-Giugno 2022, il Presidente Macron ha indicato, fra i propri obiettivi, la tanto declamata e attesa “Sovranità Europea”.

Però, come al solito, non si vedono proprio, nel programma,  gli elementi di questa sovranità, bensì al contrario la volontà di “vendere” come successi quelle che sono in realtà delle vergognose rese.

Per uno “Stato-Civiltà” come l’ Europa, “Sovranità” potrebbe significare:

a)Sovranità culturale: avere un’identità diversa da altri Stati-Civiltà;

b)Sovranità internazionale: Non essere condizionata da poteri esterni;

c)Sovranità interna: Avere la prevalenza sulle realtà politiche [LR1] parziali che la compongono;

d)Sovranità religiosa (autocefalia);

e)Sovranità militare: non essere occupata da eserciti stranieri e poter comandate proprie truppe, adeguate a fronteggiare le sfide circostanti;

f)Sovranità tecnologica: Disporre di tutte le più moderne tecnologie;

g)Sovranità economica: essere potenzialmente autosufficiente, e comunque non avere una bilancia dei pagamenti, commerciale, energetica o alimentare sbilanciata.

Oggi, solo 5 Stati sono sovrani sotto almeno 6 di questi profili: USA, Cina, Russia, Israele e Iran. Fra questi non vi è l’ Europa, e, a meno che non si enunzi e persegua una strategia di emergenza, non lo sarà almeno per i prossimi 20 anni.

Come al solito, Macron non ha affrontato i nodi che bloccano tutte queste sovranità dell’ Europa: il mito del progresso; l’atlantismo; la limitazione dell’UE, dopo Brexit,  a 500 milioni di Europei; la NATO; i GAFAM; l’assenza dei Paesi dell’ Europa Orientale.

I leader dei GAFAM non sono affatto spaventati dalle normative europee

6. “Con le big tech la multa non basta”

Sempre in contemporanea con il “Summit della democrazia” è giunta la notizia che l’Antitrust italiano, unendosi in ciò a quello europeo, ha comminato alla Amazon una multa milionaria.

Queste e simili notizie relative ad analoghe sanzioni da parte di altre autorità in Europa hanno fatto parlare, da parte di politici e di giornalisti, di  una reazione adeguata allo strapotere dei GAFAM. Come abbiamo scritto infinite volte, non siamo d’accordo, perché i GAFAM (così come, anche se meno, i BATX cinesi), non sono “imprese” (che possano essere contrastate isolatamente da vari settori del diritto), bensì organizzazioni “politiche” che perseguono un programma di trasformazione globale dell’Umanità, operando sui campi antropologico, psicologico, teologico, estetico, biologico, familiare, medico, spionistico, tecnologico, politico, commerciale, finanziario, lavoristico, elettorale, fino a svuotare gl’individui, le imprese e gli Stati, e instaurando un unico sistema macchinico di controllo mondiale. Come ha scritto su “La Stampa”, il 10 Dicembre 2021,Innocenzo Genna, contro i GAFAM una multa non basta: la presa di controllo sui GAFAM da parte di cultura e politica dev’essere globale.

I GAFAM sono saldamente installati negli Stati Uniti, e vivono in simbiosi con lo Stato e le 16 agenzie di intelligence, mentre le Forze Armate americane occupano saldamente l’Europa. Pretendere di controllarli con strumenti archeologici come l’ antitrust (nato 150 anni fa), o la fiscalità internazionale (che non è ancora nata), è come voler svuotare il mare con un cucchiaino.

Come dimostra l’esperienza della Cina, porre sotto controllo i giganti del web è un’impresa ciclopica, che richiede uno Stato enorme, con una sua chiara visione del mondo; un Governo fortissimo, mezzi illimitati; un approccio per fasi, ma ravvicinate, senza guardare in faccia nessuno.

Internet era stata introdotta in quel Paese nel 1994, e, nel 2008, essa era diventata  quello con il maggior numero di internauti. A partire dal 2000, erano nate imprese digitali nazionali come Baidu, Alibaba e Tencent, che, pur avendo un mercato solo “nazionale” (ma di un milione e mezzo di abitanti”), rivaleggiano ormai con quelle americane. Certamente sono state favorite dal Governo, tra l’altro, ma non solo, con la censura dei loro concorrenti americani.

Vent’anni fa, i GAFAM erano forti in Cina come in Europa: oggi, essi  sono praticamente usciti dal mercato nazionale, dove oggi operano invece i BATX, governati dalla legge cinese e rispettosi degli interessi nazionali, della concorrenza e dei diritti dei consumatori. Il che dimostra che la sovranità digitale è possibile, e anche in tempi brevi.

Oggi, la Cina è l’unico Paese del mondo con una legislazione digitale che comprende tutti i settori:

-societario;

-valuta digitale;

-sicurezza;

-tutela della “privacy” e  del segreto di Sato;

-rete;

-internet providers;

-concorrenza;

-tasse;

-finanza;

-banca e borsa.

Nonostante che le ultime norme siano entrate in vigore solo il 1° novembre di quest’anno, esse sono state immediatamente applicate, con una raffica di sanzioni contro tutti. Sono state bloccate varie gigantesche operazioni borsistiche dei dei BATX, in Cina e a Wall Street, che avrebbero fatto di essi qualcosa di molto simile ai GAFAM. Le varie Authorities preposte al settore hanno sollevato obiezioni relative all’interesse dei consumatori, alla tutela dei dati e alla trasparenza finanziaria.

Gli osservatori occidentali sono stupiti di questi interventi “ai danni” delle multinazionali cinesi,  perché in America nessuno nasconde che le Autorità chiudono ambo gli occhi quando si tratta dei GAFAM, col pretesto di non agevolare i concorrenti cinesi. E perfino in Europa il garanter della privacy, il polacco Wewiòrowski, ha affermato che è meglio condividere i dati con gli alleati piuttosto che con gli avversari.

I cinesi invece non vedono questa connessione stretta  fra il mercato esterno e quello nazionale. Intanto, perché è ovvio che (esattamente come in Occidente), la salvaguardia della tutela della privacy cessa quando entra in azione la difesa nazionale, ed è quindi garantita indipendentemente dalla legislazione sul civile. Come precisa un’altra legge, le Forze Armate hanno infatti accesso ai dati dei cittadini (come i nostri Servizi Segreti).

Per tutto il resto, invece, la tutela della legge è ferrea. Le grandi imprese nazionali non possono, né ledere i diritti dei cittadini, né bypassare la legge, né acquisire un potere sociale spropositato (per esempio, nell’ editoria) superiore a quello dello Stato.

L’Europa è pronta a fare tutto ciò contro i GAFAM, e per giunta nel giro di pochi anni? Dal discorso di Macron non si direbbe, in quanto egli ha collocato le future imprese europee del Web (che afferma di voler creare) sotto la voce “start-up” e non dei “campioni europei”, dando credito allo screditatissimo mito che i GAFAM siano nati da ragazzini che lavoravano nei garages, e non dai “progetti segreti di Hitler”, dall’ operazione Enigma, dal DARPA, dall’ IBM, da Echelon, Prysm e l’Endowement for Democracy.

Com’è possibile che l’ Europa possa realizzare tutto questo con delle semplici start-up?

Macron ha giustamente ricordato che, delle 8 massime imprese digitali, 5 sono americane, e 3 sono cinesi. Nessuna europea. Ha promesso di ovviare a questa situazione, ma non ha detto, né quando, né come.

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7. Web Tax

Nel discorso di presentazione del semestre francese, Macron ha anche parlato della tassazione dei giganti del web -problema annoso che, a suo dire, si sarebbe risolto con gli accordi di Pittsburg su una tassazione minima del 15% sulle multinazionali.- Il Presidente ha sviato anche qui il discorso, perché questo (teorico) accordo non mette il dito sulle piaghe degli arretrati fiscali, dello spostamento di imponibile fuori dell’ Europa, dei “tax rulings” e della “discriminazione a rovescio” ai danni dei “new entrants” europei.

Inoltre, Macron ha ignorato tre precisi fallimenti della Francia: Minitel; Qwant; GAIA-X, tutti causati dalla propaganda governativa, dal minimalismo, dal clientelismo ministeriale e sull’asservimento di fatto agl’interessi americani.

L’ultimo scacco, di cui abbiamo parlato recentemente, è quello di GAIA-X. Come scrivevamo, alcune imprese francesi hanno addirittura abbandonato GAIA-X perché troppo dominata dai GAFAM. Inoltre, il Presidente Macron ha inaspettatamente lanciato il concetto di “Cloud de Confiance” per sponsorizzare l’accordo fra Thales e Google,  la quale ultima, grazie a questa formula, verrebbe ammessa  a fruire di un “trattamento europeo”.

Tutta la faccenda di GAIA-X si rivela così una gigantesca manovra, con la connivenza di tutti  per aggirare le due sentenze Schrems: si immagazzinano i dati dei Governi europei in clouds situati in Europa e cogestiti fra imprese europee e americane, e si fa credere che ad esse  non si applichi il CLOUD Act. Ma nessun serio esperto crede, né che il CLOUD Act sia legalmente inapplicabile, né che i GAFAM creino veramente, fra le loro reti e queste loro joint-ventures europee, dei solidi “Chinese Walls”. E poi, in definitiva, con Echelon e Prism, l’intelligence americana riesce comunque a spiare tutto dell’Europa. E questo spiega perché nessuno voglia investire in nuove tecnologie.Ma, nello stesso tempo continuiamo a vantare il GDPR quale fosse la migliore legge del mondo, e continuiamo a dare i nostri dati ai GAFAM e alla NSA.

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8.”Declino autoprodotto” o trend universale?

Massimo Giannini è giustamente convinto che lanciare una campagna contro le “autocrazie” (stanziando i soliti miliardi di dollari per le “covert operations”), come ha fatto Biden, sia cosa inutile perché “il declino delle democrazie è in buona misura auto-prodotto”.

Ciò è parzialmente vero, anche se forse inevitabile: “Il risultato è che i governi e i parlamenti hanno finito per delegittimare se stessi. E un numero crescente di cittadini, marginalizzati dalla globalizzazione ed esclusi dalla partecipazione, ha disconosciuto la propria cittadinanza. Convinti che votare non serva a nulla, e che la democrazia non è così importante.”

A mio avviso, neppure questa spiegazione della crisi delle democrazie è sufficiente, in quanto pone in luce i sintomi, non già le cause prime, che sono costituite dalla consunzione storica (dopo il suo culmine alla fine del ‘900) della democrazia occidentale “classica”, dovuto al sovrapporsi, sulla società industriale, della società del controllo totale, con la simbiosi incestuosa fra industria informatica e servizi segreti, con il controllo totale sui cittadini, con l’accumularsi abnorme di profitti da pratiche anticoncorrenziali ed elusione fiscale,  con la creazione di  5 grandi monopoli legati fra di loro da un’inestricabile rete d’interessi, con il voto digitale e la manipolazione digitale delle elezioni, con il controllo dell’ opinione pubblica e dei media, la concentrazione in un unico luogo dei server della NSA e quelli dei GAFAM, l’uso sistematico dell’intelligenza artificiale…

Certamente, la “democrazia occidentale” ha conosciuto come tutti i fenomeni storici,  una parabola ascendente e discendente, della durata di  meno di un secolo. Nell’immediato dopoguerra, quando almeno il 75% degli Europei votava per partiti estranei alla cultura politica “mainstream”dell’ Occidente (p.es. democrazia cristiana, comunisti, post-fascisti e monarchici) e, essa aveva potuto comunque prendere piede proprio grazie all’ opera di questi partiti, che, inseriti controvoglia nel sistema,  avevano stimolato potentemente, nonostante il sistema privo di alternanza, una partecipazione popolare polemica con un’ azione “top down”. Al tempo della “contestazione” studentesca e operaia, la democrazia era stata concepita essenzialmente come democrazia di base e sostanzialmente antisistema. Per la prima volta  dopo gli Anni di Piombo, si era cercato un compromesso fra partitocrazia e movimentismo, che aveva permesso un funzionamento pacifico della democrazia rappresentativa, e, negli Anni successivi alla caduta del Muro di Berlino, si era perfino avuto un inizio di contendibilità del sistema.

All’ inizio del  nostro secolo, con il cronicizzarsi della crisi economica e la scomparsa dell’etica pubblica e delle culture politiche tradizionali, si era incominciato a parlare di crisi della politica. Nel secondo decennio, dominato dal prosperare nel mondo di sistemi politici non allineati con la democrazia rappresentativa occidentale, avevano preso piede dubbi di vario tipo sulla credibilità di quest’ ultima e delle sue ragion d’essere ideali (cfr. Parag Khanna, Martin Jacques, Daniel Bell, Zhang Weiwei).

Credibilità ulteriormente danneggiata da:

a)l’incapacità di tutti i sistemi occidentali di fronteggiare efficacemente il Covid, mentre, con la “Battaglia di Wuhan”, la Cina ha risolto il problema con un numero di vittime veramente irrisorio;

b)le prove sempre più schiaccianti del controllo poliziesco esercitato sull’ Europa dal mondo digitale americano (Echelon, Prysm, processi Assange e Schrems);

c)le assurdità e contraddittorietà della politica estera europea e occidentale, con una gragnuola di “Guerre umanitarie” che non hanno risolto alcun problema, ma hanno anzi provocato gravissime calamità di ogni genere (guerre civili, terrorismo, migrazioni bibliche);

d)in particolare, l’assurda invasione dell’ Afganistan, con l’altrettanto assurda permanenza dopo la morte di Bin Laden, e l’assurdissima fuga all’ultimo momento;

e)la crescita esponenziale della disoccupazione, delle delocalizzazioni e dell’ emigrazione;

f)lo spezzarsi del consenso intra-americano fra etnie, ceti sociali e culture pubbliche: afro-americani, latinos, nativi americani, WASP, suprematisti neri e bianchi, latinamericanisti, “European Traditionalists”, sudisti, terzomondisti, integralisti cattolici, protestanti, ebrei, islamici, di destra e di sinistra, yuppies, agricoltori, operai, finanzieri, che ha comportato l’ impossibilità per l’ America di formulare politiche credibili e continuative.

Orbene, tutti questi trend costituiscono una contraddizione vivente delle retoriche della “liberaldemocrazia occidentale”, la quale pretenderebbe di costituire la massima realizzazione storica della libertà, eguaglianza, dignità e pace sociale, nonché del benessere materiale dei cittadini (appunto, il Secondo Avvento di Gesù Cristo sulla terra, come profetizzato da Cristoforo Colombo).

Ma c’è di più. Giacché, contrariamente a quanto ipotizzato inizialmente da Fukuyama, il mondo odierno è un mondo altamente competitivo, la centralità del controllo digitale sta aumentando di giorno in giorno nell’ ambito della “competizione fra USA e Cina” per la supremazia mondiale. In questa situazione, è del tutto prevedibile che il livello di controllo sui cittadini debba ancora salire ovunque per esigenze di preparazione bellica (previsione di attacchi militari, controllo della lealtà di cittadini e organizzazioni, intercettazione e censura di informazioni sensibili). Questa sensazione di un controllo sempre crescente è la giustificazione (inconscia) del movimento “no vax”, il quale sospetta (non a torto), che l’introduzione delle (seppur troppo blande) di misure di controllo sulla pandemia costituisca l’avvio appena mascherato di un sistema di controllo militare.

Alla luce di quanto precede, tutti gli Stati (a cominciare da quelli “democratici”) non possono sfuggire a forme di centralizzazione dei controlli e delle decisioni in materia di sicurezza (sulla falsariga dello SFIU, del FIFA, del Patriot Act, del FIFA, del Comitato NSCAI, dell’Endless Frontier Act e del Transatlantic Technology Dialogue).

Alla luce di tutto ciò che abbiamo scritto, diventa sempre più difficile, pretendere, al contempo, come fa l’ “Alleanza delle Democrazie”:

a) che la democrazia costituisca il toccasana di tutti i mali (etici, politici, tecnici ed economici);

b)che l’Occidente sia l’esempio ammirabile di tutte quelle virtù ch’esso definisce come “democratiche”.

La fine del Kali-Yuga

9. Esiste una via di uscita?

Inaspettatamente, secondo Giannini, la soluzione  a questa crisi delle democrazie sarebbe costituita da una mossa assolutamente “laterale”: fornire  3 milioni di vaccini gratuiti ai Paesi in via di sviluppo.Peccato che la proposta di Giannini (del 12 Dicembre), non faccia che copiare  la promessa di Xi Jinping ai Paesi africani, formulata ufficialmente all’OttavaConferenza Ministeriale del Forum on China-Africa Cooperation (FOCAC) di Dakar, del 29-30 Novembre.1 milione e 600 mila di questi vaccini sono già stati consegnati.

Come volevasi dimostrare, l’Occidente non riesce a reggere il passo, né come capacità decisionale, né come motivazioni etiche, né come potenza di fuoco, al millenario e miliardario sistema cinese.

Senza contare che come può l’America, che ha avuto un milione e 600 mila morti di Covid, proporsi come salvatore dei Paesi in via di sviluppo?

In effetti, spetterebbe all’ Europa indicare la strada per l’uscita da questo circolo vizioso,:

-con una visione culturale che, sulla scia di Matteo Ricci, Kircher, Guénon, Weil, Saint-Exupéry, Frankopan, permetta un dialogo effettivo con i Paesi dell’Asia e dell’Africa;

-con una nuova “epistocrazia” europea sulle tracce di Nietzsche, Weber, Gentile, Reale, Bell in grado di dialogare con i talenti selezionati dai sistemi scolastici orientali;

-un sistema economico europeo che, pur anticipando le trasformazioni economiche e sociali indotte dall’ Intelligenza Artificiale, permetta il controllo umano sulle macchine intelligenti e il reimpiego di ciascuno secondo la propria vocazione;

-una politica estera e di difesa veramente “sovrana”, con una funzione mitigatrice del “Kulturkampf” e di prevenzione della IIIa Guerra Mondiale tecnologica.