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A Torino la XIII conferenza sulle Alpi

A Torino la XIII conferenza sulle Alpi

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Certamente, l’integrazione europea è stata un fenomeno onnipresente nella nostra storia, ma passato per lo più inosservato.

Per esempio, gl’incredibili passi in avanti nell’unificazione europea realizzati dalla Casa giulio-claudia, che aveva aggregato all’ Impero Romano Francia, Benelux, Germania Occidentale, Svizzera, Austria, Croazia. Oppure, quando, sotto carlo V, facevano capo agli Asburgo Germania, Benelux, Austria, Svizzera, Boemia, Italia e Spagna. O, infine, anche e soprattutto oggi, quando ogni campo dell’attività umana, dalla religione alla scienza, dalla filosofia politica allo Stato, dai Partiti  alle imprese, dalla cultura alla scuola, dalle Regioni alle città, ha una sua estrinsecazione“europea” (dalla Lettera Pastorale “Ecclesia in Europa” al CNR, dal federalismo all’Unione Europea, dall’ ASI ai Gruppi Politici del Parlamento Europeo, dall’ Euro alle Società  Europee, dalle Accademie Europee a Erasmus, dalle Macroregioni alle Capitali europee della Cultura.

Eppure:

-non lo sa nessuno, neppure gli addetti ai lavori

-tutto viene abbozzato, e poi lasciato lì, incompleto. Si è così infatti giustamente parlato di “Cantieri europei” (“Baustellen Europas”, a cui si riferisce l’omonima collana di libri della Casa Editrice Alpina ; cfr. http://www.alpinasrl.com/category/collane/baustellen-europas/)

E’ comunque interessante quest’ aspetto quasi esoterico, quasi che qualcuno avesse paura di fare sul serio, ma tenesse tutto pronto per la prima buona occasione. Così come, da sempre, tuti gli eserciti del mondo tengono pronte, in magazzini reconditi, decine di milioni di divise piene di naftalina , di vecchi fucili e qualche miliardo di insipide gallette, che ne estraggono solo per le “esercitazioni”, le “grandi manovre” e le “mobilitazioni generali”. Infatti…non si sa mai che cosa potrebbe accadere….

Il nostro punto di vista è che la crisi del sistema si stia avvicinando a un punto tale, da rendere necessaria una rassegna di questo armamentario, un esercizio per vedere se potrebbe funzionare ancora, un apprendistato da parte dei cittadini, come nel caso delle esercitazioni militari.

Sono stato, infatti, ufficiale dell’ Amministrazione Militare. Fra l’altro, in un “Deposito Divisionale”, cioè di uno di quei dimessi magazzini dove sono depositate divise, viveri e munizioni. Ho partecipato a un paio di esercitazioni, quando si svegliavano le reclute nel cuore della notte, e li portava sulla riva del mare (nel caso specifico, a Paestum), per sparare all’ impazzata come nello Sbarco in Normandia.

L’armamentario della cultura e del diritto comunitari dev’essere ripreso e ricollaudato come l’equipaggiamento di un’armata dormiente.

1. Cos’è la Convenzione delle Alpi?

Ho detto tutto questo perché, la prossima settimana, nei giorni 20 e 21, avrà luogo, a Torino, la XIII Conferenza delle Alpi, un evento importante per la vita dell’ Europa. Infatti, giustamente l’Unione e gli Stati membri si erano preoccupati fin dal principio che l’ Unione non divenisse (come invece sta purtroppo succedendo), un mostro burocratico distaccato dai cittadini, e attento solo alle esigenze di potere delle grandi potenze, della finanza anonima e delle burocrazie nazionali. Per evitare questo, l’Unione si è data la sua politica culturale, la sua politica sociale e la sua politica regionale, attraverso le quali essa contava di entrare in contatto con le esigenze reali dei cittadini, permettendo loro di partecipare, e creando, così, uno “spirito di corpo” europeo.

Purtroppo, in questo come in tanti altri campi, le cose hanno preso una direzione diversa da quanto previsto. I fondi europei, che avrebbero dovuto essere gestiti fra Unione ed Enti locali per stimolare le iniziative vicine alle popolazioni, sono divenute un opaco flusso di denaro spesso inutilizzato, gestito per scopi non chiari da anonime burocrazie. Le Regioni, che, con la loro autonomia fiscale, avrebbero dovuto esprimere il controllo dei cittadini sull’uso della cosa pubblica, sono divenute una delle fonti principali di spreco e di corruzione.

Tutto il fenomeno euroregionale e macroregionale, che avrebbe dovuto tenere conto dell’ esistenza di identità storiche ben consolidate, che travalicano i confini degli Stati Membri, sono divenuti un inflazionato fatto esoterico, in cui si accavallano Euroregioni, Macroregioni e “GECT” della cui esistenza non sono più consapevoli neppure i politici che senza interruzione li creano e li distruggono. Non parliamo, ovviamente, dei cittadini…

In una primissima fase, le Euroregioni erano state create dalle regioni frontaliere stesse, spesso in aree linguistiche transfrontaliere, come il Tirolo, il Lussemburgo e i Paesi Baschi, per fruire dei fondi che l’Unione destina alla cooperazione transfrontaliera. A quell’ epoca, gli Stati membri ignoravano le Euroregioni, negando ad esse qualunque valenza, tanto politica, quanto giuridica.

In una seconda fase, fu creato uno Statuto Standard, e il Comitato delle Regioni (altro illustre sconosciuto) se ne fece paladino.

In una terza fase, l’unione creò il GECT (Gruppo Europeo di Cooperazione Transfrontaliera), in modo da far entrare le Euroregioni nel mondo del diritto pubblico. Non mancarono, per altro, già in questa fase, controversie giuridiche fra Stati Membri e Regioni a proposito delle competeze dei GECT (prima fra le quali quella fra lo Stato Italiano e la Regione Liguria per lo statuto del GECT “Alpi-Mediterraneo”).

In una quarta fase, certe regioni, come quelle alpine dell’ Austria, della Svizzera e della Germania, si dichiararono fautrici di aggregazioni più ampie e più potenti: delle Euroregioni più grandi, le Macroregioni. Ma, anche qui, la natura e il ruolo delle Macroregioni restavano nel vago: come avrebbero potuto coesistere con le Euroregioni?

In quest’ultima, recente, fase, entrano in scena l’Unione Europea e gli Stati Membri, i quali si accorgono, finalmente, che le Regioni sono troppo deboli per operare su questi temi, e che  le politiche regionali della UE, che si pretendeva fondate sul Principio di Sussidiarietà, e, quindi, sullo spontaneismo “dal basso” delle Regioni stesse, non funziona, e che, pertanto, si impone un’esigenza programmatica centrale, da parte dell’ Unione stessa. Ma come “far passare” un siffatto messaggio in un momento in cui, da un lato, gli Stati Membri rifiutano tale ruolo imperativo dell’ Unione, e, dall’altro, la retorica politica dominante rigetta ogni idea di programmazione? Da un lato, concentrandosi su esigenze naturali obiettive, come per esempio quelle del commercio nel Baltico,  esistenti dai tempi dei Venedi, dei Paleoslavi, dei Variaghi dei Vikinghi e  dell’ Hansa; quella della navigazione del Danubio, sede della prima civiltà europea, e a cui,  con la Convenzione di Parigi (1856), Austria, Francia, Gran Bretagna, Russia, Regno di Sardegna e Turchia avevano stabilito la piena libertà di navigazione e l’uguaglianza di trattamento per tutte le bandiere. A questo scopo erano stati creati due organi internazionali: la Commissione europea del Danubio (CED), con il compito di eseguire lavori di drenaggio e la Commissione degli Stati Ripuari, con lo scopo di elaborare un regolamento per la navigazione e la polizia fluviale. Tale regime di libertà rimase immutato anche dopo la Prima guerra mondiale.

Infine, ed è il caso che ci interessa, la Macroregione Alpina, che comprende praticamente tutti i territori che Augusto aveva unificato e che sono descritti al Trophée des Alpes di La Turbie:

« All’imperatore Augusto, figlio del divo [Giulio] Cesare, pontefice massimo, nell’anno 14° del suo impero, 17° della sua potestà tribunizia, il senato e il popolo romano [eressero] poiché sotto la sua guida e i suoi auspici tutte le genti alpine, che si trovavano tra il mare superiore e quello inferiore sono state assoggettate all’impero del popolo romano. »

2. La Convenzione delle Alpi e la XIII Conferenza delle Alpi.

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La Convenzione delle Alpi è un trattato internazionale sottoscritto dai Paesi Alpini (Austria, Francia, Germania, Italia, Liechtenstein, Monaco, Slovenia e Svizzera), e dall’Unione Europea con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo sostenibile nell’area alpina: “La Convenzione delle Alpi mira ad armonizzare la protezione e lo sviluppo economico, con l’obiettivo di sostenere le Alpi sia come spazio di vita per la popolazione e la natura, sia come zona di attività economica. Le Alpi, con il loro capitale di biodiversità e le riserve di acqua e legno, sono un ambiente naturale, culturale, di vita e di lavoro per quasi 14 milioni di persone nonché un’importante destinazione turistica che attira circa 120 milioni di visitatori ogni anno”.

La Conferenza delle Alpi si occuperà dei seguenti temi principali:

  • Cambiamenti climatici ed energia: sotto la guida della presidenza italiana, sono state preparate le “Linee Guida per l’adattamento ai cambiamenti climatici a livello locale nelle Alpi”.
  • Demografia e occupazione nelle Alpi: Il Report completo sarà adottato dalla Conferenza, mentre il prossimo report, che sarà pubblicato nell’autunno 2016, tratterà il tema della green economy nelle Alpi.
  • Strategia Macroregionale per le Alpi (EUSALP): la strategia è al momento in fase di elaborazione e diverrà realtà nell’estate del 2015.
  • Gruppo di verifica: è un organo incaricato di controllare l’adempimento degli impegni e degli obblighi risultanti dalla Convenzione delle Alpi
  • EXPO 201
  • . Partecipare alla  XIII Conferenza delle Alpi.

Proprio per i motivi enumerati all’ inizio di quest’articolo, non crediamo certo di essere meno critici del verticismo degli organi europei (fra i quali la stessa Macroregione Alpina) di quanto non lo sia il cittadino medio europeo, il quale, da un lato, nota, con crescente raccapriccio,  l’incapacità dell’”establishment” di affrontare in qualsivoglia modo l’inesorabile declino dell’ Europa, da “donna di province” a “bordello”, per usare i classici termini usati da Dante per l’Italia del Medioevo,  e, dall’ altro, si accorge in ogni momento che esistono enormi e incredibili risvolti della vita pubblica (dal Datagate al TaxLeaks, dalla fuga della Fiat alle politiche regionali), di cui nessuno aveva mai loro parlato.

E, tuttavia, fedeli a un’etica di servizio, sarebbe il caso di dirlo, anche se inattuale, da ufficiale e da servitore dello Stato, nonché in quanto cocciuti abitatori della parte più alta e impervia delle Alpi, continuiamo a cercare di salvare quanto di valido c’è in tutte queste esperienze. E, per quanto qui trattato, nell’idea di una Conferenza delle Alpi, espressione, bene o male, di quest’ ancestrale identità dei “Popoli Alpini”, di cui con ammirazione parlavano già Hoelderlin e Nietzsche.

La Casa Editrice Alpina e l’Associazione Culturale Diàlexis, vogliono offrire ai nostri concittadini dei Popoli Alpini, e, in primis, ai Piemontesi, l’occasione di condividere l’orgoglio per ciò che ancor oggi si sta facendo per le Alpi.

Certo, è sempre troppo poco. Abbiamo dovuto partecipare, addirittura, per quanto indirettamente, a dei lutti dovuti all’ inaccettabile degrado naturale delle nostre  Alpi.

Non abbiamo mancato, in questi mesi, di tenerci nel più stretto contatto con tutte le possibili Istituzioni del nostro Territorio, per garantire la presenza, in questi processi, dei cittadini delle Regioni Alpine: Presidenza dell’ Unione, Governo, Presidenza Italiana, segretariato, Enti locali. Come risultati, abbiamo ottenuto:

-il Convegno del 19 Novembre presso il Consiglio Regionale, nel quale potranno confrontarsi federalisti europei, esperti di realtà transfrontaliere, esponenti delle nuove tecnologie e dell’editoria e cittadini delle nostre Regioni, al fine di elaborare concreti progetti euroregionali per rilanciare l’occupazione.

Osservazioni a margine del vertice ASEM di Milano (16-17 ottobre)

Osservazioni a margine  del vertice ASEM di Milano  (16-17 ottobre)

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E’ senz’altro significativo che, proprio durante il “Vertice ASEM” di Milano, a cui hanno partecipato ben 58 Capi di Stato di tutta l’ Eurasia (ospiti del Presidente Napolitano), si siano verificati due fatti d’importanza fondamentale:

a)l’ennesima crisi finanziaria greca;

b)la firma di ben 20 accordi commerciali fra Italia e Cina, che fanno seguito a quelli (altrettanto numerosi) stipulati nei giorni precedenti da quest’ultima con Germania e Russia (costituendo, nel loro insieme, n vero e proprio “piano di salvataggio” dalla crisi in cui ci ha gettato la guerra commerciale con la Russia).

Essi hanno in comune il fatto di mettere, finalmente, in evidenza quanto l’Europa dipenda ormai dalle economie dell’Asia. A causa di un declino politico oramai secolare, i termini dello scambio si sono invertiti rispetto al secolo scorso: non è più l’Europa a dirigere l’ Asia, bensì è questa a condizionare e influenzare l’economia europea.

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1.Tienjin, da Roma a Pechino

Basti vedere, ad esempio le mappe dell’ex dipendenza italiana di Tian-Jin di un secolo fa e oggi. Allora, ,vi erano le “Concessioni” degli Stati Europei, compresa l’ Italia, dove le vie si chiamavano “Corso Fiume”, “Corso Vittorio Emanuele III”, “Via Roma”, “Banchina d’Italia”, “Banchina Giapponese”, mentre oggi Tianjin è una città di 15 milioni di abitanti, parte integrante della conglomerazione metropolitana della nuova Pechino, e da sola più grande e ricca di qualunque città europea. La confinante Municipalità di Pechino ha 13 milioni di abitanti. In totale, 28 milioni.

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2. Le forze dell’Asia, le debolezze dell’ Europa

L’attuale forza dell’ Asia non ha costituito per noi una sorpresa. Non avendo noi mai sottovalutato lo studio delle culture orientali, sappiamo che, durante tutta la storia mondiale, la Cina e l’ India hanno costituito da sempre le aree più popolose e più ricche del pianeta. Marco Polo, Cristoforo Colombo, Matteo Ricci, Leibniz e Voltaire erano semplicemente abbagliati dalla grandezza, soprattutto culturale, della Cina. Jones, Schopenhauer, Steiner, Guénon, additavano, nell’ India, la fonte della salvezza dell’ Umanità.

In primo luogo, le radici culturali ed etniche degli attuali Stati asiatici si perdono nella storia di imperi millenari, come quelli cinese, giapponese e persiano. Questo rende ora meno faticoso, per loro, che non in Europa, la ricerca di forme di aggregazione per grandi aree omogenee, cosa oramai urgente per infiniti motivi, e di cui l’Unione Europea costituisce un non irrilevante esempio.

Infatti, sussistono ancora, in Asia, tradizioni culturali e sociali di grande continuità e compattezza, come quelle dei Popoli delle Steppe, del Mandarinato, dei Veda, del Sān Jiăo, dell’Islam. Questo fa sì che certe grandi aree, come le attuali Cina, India e Medio Oriente, che raggruppano ciascuna più di un miliardo di abitanti, avvertano, spontaneamente, un senso di intima unitarietà, che, da noi in Europa, è più difficile ottenere, fra piccoli Stati, come i nostri, che hanno pur essi, ciascuno, origini almeno millenarie. Qui, c’è, infatti, chi rivendica l’”eurasiatismo”, chi l’”atlantismo”, chi la “disciplina” germanica, chi la “flessibilità” latina.

Soprattutto, in Europa vige una fondamentale incertezza fra “Europa” e “Occidente”, due culture in realtà solo parzialmente sovrapponibili. Il pluralismo dei popoli europei possiede, certo, una sua interna logica dialettica, fondata sulla coesistenza storica fra Medio Oriente (ortodossia), Europa Centrale (Sacro Romano Impero)e Atlantico (protestantesimo). Purtroppo, invece, l’”Occidentalismo”, che vorrebbe sovrapporsi all’ Europa, non accetta questa pluralità. Esso rappresenta, come diceva Huntington, la “dissidenza del dissenso”. Come tale, esso pretenderebbe di imporre una sua forma di omologazione a un’Europa che esso non ha mai accettata. Tale progetto risente della duplicità del discorso pubblico puritano. Mentre questo è tutto fondato su una pretesa controfattuale di eguaglianza, di fatto esso ha costruito, e continua a costruire, il più formidabile sistema gerarchico.

Infine, a nostro avviso, ciò che, contrariamente a quanto vorrebbe fare credere la “vulgata” dominante, ha contribuito, e ancora sta contribuendo, allo spettacolare rilancio dei Popoli dell’ Asia, è proprio il carattere radicalmente conflittuale, non già mascherato da pretese affinità culturali, dei conflitti dei secoli passati. Le Guerre dell’ Oppio, le Rivolte dei Sepoys e dei Boxer, la dissoluzione dell’ Impero Ottomano, le bombe di Hiroshima e Nagasaki, la costituzione dello Stato d’Israele e la Guerra del Vietnam sono state ferite brucianti, che ancor oggi non sono state sanate. Queste ferite hanno contribuito però anche, di converso, all’incredibile volontarismo che è stato alla base tanto delle battaglie di Gandhi, quanto della ricostruzione giapponese, quanto, ancora, della rivoluzione iraniana, quanto, infine, delle riforme economiche cinesi.

Béjart, un incrollabile cantore dei “valori asiatici”, aveva dato una plastica rappresentazione di questa fase epica nel suo balletto “Asia”

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3.La Pace Perpetua, un progetto eurasiatico.

L’idea della “Pace Perpetua” tanto citata dall’ establishment europeo, e assurdamente attribuita a Kant, risale in realtà alla tradizione persiana, ed era stata perpetuata dal Sacro Romano Impero e dagli Illuministi. Il primo trattato di “Pax Aeterna” era stato infatti già stipulato nel 532 fra Cosroe di Persia e Giustiniano, e faceva parte di un più ampio progetto di confederazione fra Persia, Impero Romano, Unni Eftaliti e Impero Cinese, di cui Cosroe stesso avrebbe dovuto essere il leader: una situazione non dissimile da quella che sarà poi ipotizzata nell’ idea islamica del Califfato. Si tratta di un primo accenno di organizzazione eurasiatica. Tant’è vero che Crucé, e, poi, Voltaire, in polemica con Rousseau, avevano insistito per l’inclusione di tutti gl’Imperi mondiali, e, in primis, della Cina, nei progetti per la Pace Perpetua.

In effetti, nonostante che fossero state tutt’altro che infrequenti le lotte fra Cinesi, Unni, Persiani e Romani, si era sempre mantenuto, fra di loro, un certo equilibrio, e anche i rapporti culturali e sociali non erano infrequenti, con matrimoni fra Unni e Cinesi, influssi manichei sul Cristianesimo, ecc…I grandi imperi dell’ antichità si riconoscevano reciprocamente una sostanziale omogeneità culturale e strutturale, e anche se qualcuno aveva già in testa di dover unificare il mondo intero sotto il proprio comando, ciascuno rispettava gli altri imperi.

I Cinesi sentivano quest’omogeneità con gli altri imperi a un punto tale che, fino all’ arrivo di Matteo Ricci, sulle loro carte geografiche, l’ Occidente (comprensivo di Impero Romano, Roma, Chiesa Cristiana e Europa) veniva designato collettivamente come “Da Qin”, la “Grande Cina”, perché “Assomiglia al popolo cinese“..”Il Regno di Da Qin si trova a Ovest del mare, e perciò viene chiamato anche Haixi (“Impero d’Occidente”). Esso si estende per molte migliaia di Li. Possiede più di 4000 città fortificate e decine di piccolo regni tributari. Le mura delle città sono di pietra. Hanno, a regolari distanze, stazioni di posta, su strade lastricate e ben manutenute”. C’è da chiedersi se, dopo tanti anni di “austerità”, l’Europa attuale possegga ancora tutti questi requisiti, e se non sfiguri nei confronti della “Nuova Cina”.

Sta di fatto che l’Imperatore Cinese non pretendeva l’omaggio dell’ Imperatore d’Occidente, come invece faceva con molti altri sovrani (compresoi l’Imperatore del Giappone e il re d’Inghilterra e ), e come quest’ultimo pretenderà dai Maharaja nei Durbar dell’ Impero Anglo-Indiano

Infine, Gengis Khan aveva realizzato, nei fatti, una sorta di unità eurasiatica, esaltata da Marco Polo e citata più tardi come modello dal movimento culturale “eurasiatistico”.

Quest’unità culturale dell’ Eurasia era stata messa in evidenza, in Occidente, dagli studi ottocenteschi sui popoli indoeuropei e sui popoli turanici , nonché, alla fine del secolo, dalle diverse mode teosofiche, che avevano avuto una spesso ignorata influenza, anche politica, su movimenti importanti come per esempio le lotte per l’indipendenza del Popolo indiano.

espansione popoli eurasiatici

4.Russia e Eurasia

Là dove l’idea dell’Eurasia è più viva è in Russia. Ciò deriva dal fatto che quel Paese raggruppa una gran parte dei “popoli delle Steppe”, che, nel corso dei millenni, hanno sempre percorso i grandi spazi eurasiatici senza radicarsi in alcuno di essi. La Russia e. poi, l’unione Sovietica, sotto la spinta delle idee moderne di nazionalità, avevano compiuto sforzi nella direzione del “radicamento” (“korenizacija”) di questi popoli, il cui risultato parziale) si può vedere nella costituzione delle “repubbliche”. Tuttavia, in molti casi, quelle nazionalità erano rimaste ”fluide”, come si vede ancor oggi all’ insorgere di conflitti “nazionali” in quell’ area, oltre cha dagl’imponenti flussi migratori nello “spazio post-sovietico”.

Perciò, l’ideologia “eurasiatistica” in Russia è destinata ad essere anch’essa fluida, andando dalle nostalgie monarchiche a quelle sovietiche, dall’idea, tipica della Restaurazione, di un ruolo intrinsecamente conservatore del regno del Nord, all’identificazione dell’Eurasia intera con l’ Impero Russo.

La nascita, nel 2000, di un’Unione Eurasiatica, che si colloca fra le cause indirette della crisi ucraina, ha favorito il consolidarsi di un’identità supercontinentale. A questa ha contribuito anche il trasferimento della capitale del Kazakhstan, da Alma Ata ad Akmola/Tselinograd (oggi, Astana), una città dove a suo tempo Stalin deportava i Tedeschi, ma oggi modernissima e multiculturale, parzialmente centroasiatica e parzialmente europea (russa)

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3.Il Vertice di Milano

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L’Asem (Asia Europe Meeting), pur essendo di origine recente, riunisce oramai 58 Stati. La sua costituzione e il suo sviluppo sono rivelatori dell’irrequietezza che serpeggia nel mondo delle Organizzazioni Internazionali in seguito all’ emergere dei Paesi dell’Asia. Ricordiamo, ad esempio, che, subito dopo la fondazione del WTO, era invalsa l’abitudine di riunire, ora, il G7, ora, il G8, ora, il G 20, ora, il G22…Intanto, tanto gli Stati Uniti, quanto la Cina, hanno lanciato l’idea di accordi “parziali”, che “by-passano” la tanto decantata WTO. Finalmente, i membri occidentali del G8 hanno escluso unilateralmente la Russia, creando, così, la confusione più totale.

Risulta ora chiaro che gli stati Uniti erano stati degli accaniti fautori di organizzazioni internazionali universali solo fintantoché essi potevano controllarle ideologicamente, logisticamente e politicamente, ma, una volta che queste organizzazioni hanno saputo garantire a tutti gli attori internazionali una presenza, una visibilità e un’influenza sempre più paritetiche, essi sono diventano meno interessanti per gli Stati Uniti stessi.

Di converso, la Cina favorisce anch’essa lo sviluppo di organizzazioni parziali, ma, questa volta, senza gli Stati Uniti. Ed è questa la lotta diplomatica dominante nei nostri tempi.

Soprattutto, è già aperta è la corsa alla firma di nuovi trattati internazionali in materia di commercio. Già dal 2007, gli Stati Uniti avevano lanciato l’idea del TTIP (“Transatlantic Treaty for Trade and Partnership”), con l’ Europa, e di un parallelo trattato nel Pacifico, escludendone la Russia e la Cina.

Tratteremo in altra sede il “merito” del TTIP.

Ciò che è qui rilevante è che la Cina sta negoziando la UE un altro trattato di protezione degl’investimenti, simile al TTIP, e, contemporaneamente, una raffica di accordi commerciali con singoli Stati membri, che prevedono una rete fittissim d’investimenti finanziari e industriali cinesi in Europa, tale da rendere il nostro sistema finanziario parzialmente dipendente da quello cinese. Quindi, l’obiettivo politico originario del TTIP, che sarebbe stato quello di “Isolare la Cina”, non sembra affatto conseguito.

Resta il fatto che, a nostro avviso, tanto il TTIP, quanto l’accordo con la Cina, “legheranno ulteriormente le mani” all’ Europa nella lotta ch’essa dovrà necessariamente condurre, in tutte le direzioni, per difendere la propria sopravvivenza come Paese avanzato. Ad esempio, c’è da chiedersi se, dopo avere firmato il TTIP e l’ accordo con la Cina, l’Europa potrebbe fare, nel settore di Internet, ciò che ha fatto l’America, cioè sviluppare le imprese ICT con fondi militari e in basi militari, per poi offrirle praticamente gratis ad investitori amici, come per esempio Brin, Page e Jobs, spacciando poi questi ultimi come eroi della piccola e media impresa e del libero mercato, così come brillantemente raccontato da Mariana Mazzucato nel suo ultimo libro, e come da noi ripreso nei già citati e.books.

L’ipotesi più probabile è, quindi, che finiremo, come al solito, “ come i vasi di coccio in mezzo ai vasi di ferro”.

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L’Italia vorrebbe proporre all’ Unione il suo Habeas Corpus Digitale

L’Italia vorrebbe proporre all’ Unione il suo Habeas Corpus Digitale

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Parlamento-Europeo-– Riccardo Lala – Lettera aperta ai vertici dello Stato

Finalmente, la Camera dei Deputati  si è manifestata circa il complesso progetto del Parlamento Europeo in materia di “diritti sul web” – al quale l’Associazione Culturale Diàlexis aveva dedicato addirittura, ben 5 mesi fa,  il primo dei suoi “Quaderni di Azione Europeista” (L’Habeas Corpus Digitale, Alte Tecnologie per l’ Europa“)-, lanciando l’idea di una “Costituzione Digitale” sul modello del “Marco Civil Digital” approvato dal Parlamento brasiliano

E’ singolare che questo, come altri temi di interesse centrale per la sopravvivenza stessa dell’ Europa e dell’ Umanità, passino sempre in secondo piano di fronte a questioni giudicate stranamente “più gravi” e “più urgenti”. Soprattutto, sembrerebbe che l’Italia voglia propoporre la bozza all’ unione Europea come contributo in quanto Paese che ha la Presidenza di questo semestre. Abbiamo perciò inviato, con una copia dei nostri e.book sull’argomento, una lettera aperta alla Presidente della Camera Boldrini, al Presidente della Commissione Rodotà, e al Primo ministro Renzi per la Presidenza Italiana della UE, come anticipo di quello che vuol essere un intervento molto più sostanziale, anche con il contributo dei nostri lettori.

 Ecco il contenuto della lettera:

“Torino, 13/10/2014

Laura Boldrini

Presidente della Camera dei Deputati

Piazza di Montecitorio 10187 Roma

ROMA

Per Conoscenza

p.c. Stefano Rodotà

Presidente della Commissione Diritti sul web

Palazzo di Montecitorio 10187 Roma

Matteo Renzi

Presidente del Consiglio

Palazzo Chigi

Piazza Colonna 167 10186 Roma

Roma

Oggetto: Costituzione del Web e industria digitale europea

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Signora Presidente!

La questione dell’immagazzinamento abusivo di dati (a colpi di centinaia di milioni)  su tutti i cittadini del mondo, su tutti gli Stati e su tutte le Istituzioni, imposta all’ ordine del giorno  dallo scandalo “DATAGATE”, ha una portata così vasta, ch’esso non potrà certo non lasciare tracce sulle vicende culturali, politiche e militari dei prossimi anni. Tuttavia, esso non è che  uno dei tanti sintomi dell’ importanza cruciale che le nuove tecnologie hanno per il futuro dell’ Europa e dell’ Umanità.

Infatti:

– Innanzitutto, se è vero, come risulta ormai chiaro da molte fonti,  che ogni nostra, seppur minima, azione viene, da tempo, non solo spiata, ma anche immagazzinata a nostra insaputa con la cooperazione di vari  Stati e imprese, in un luogo  lontano e segreto fuori dell’ Unione Europea e in palese violazione delle leggi di quest’ultima, al fine di trarne, anche solo in un remoto futuro, elementi sulla nostra personalità, sul nostro comportamento, su eventuali nostre colpe, possibilmente per ricattarci, o, addirittura,  per creare un nostro “doppio” virtuale, condizionandoci a distanza,  allora ci si può chiedere in che cosa consista oramai quella la libertà che viene spacciata come la quintessenza dell’attuale società e sulla quale si fondano, tra l’altro, la  costruzione europea e la Costituzione Italiana.  Come si può pensare, infatti, che ognuno di noi, fino ai vertici della società, dello Stato, della Chiesa, possa operare liberamente e secondo coscienza, se sa di poter essere ricattato in qualunque momento dai detentori dei suoi più intimi segreti?

– Ma, ancor peggio, noi viviamo oggi, oramai, solo attraverso la macchina, abbiamo accesso solo a ciò che la macchina ci permette di vedere, facciamo solo ciò che la macchina ci permette di fare. E, soprattutto, il fatto di essere tutti condannati quotidianamente, per poter ottenere informazioni, documenti, denaro, riconoscimento di diritti, a passare attraverso il filtro di una nostra personalità virtuale, iscritta, ancora una volta, dentro la macchina (il nostro cosiddetto “PROFILO”), ci rinchiude sempre più nella nostra gabbia d’acciaio (il cosiddetto “INCAPSULAMENTO”), che è la risultante di un nostro passato ormai pietrificato e delle ferree leggi segrete che, attraverso un algoritmo, ci vengono  imposte dal gestore della rete. Nessuna possibilità di dialogo autentico con gli altri. Anche se questa tirannide informatica è solamente  agli inizi, abbiamo cominciato già ora, come nei romanzi di Frantzen e di Auster, a essere, prima che degli spettri virtuali,  null’altro che le pallide vestigia di noi stessi, mentre cresce e ci sovrasta quel nostro “profilo” che risiede nel lontano server, coordinato da un “general intellect” macchinico di cui siamo solamente più un infimo componente.

– L’ ulteriore sviluppo di questo progetto teo-tecnocratico, se non bloccato tempestivamente, potrebbe comportare conseguenze ancor più pesanti, prima fra le quali la radicale sostituzione dell’ Umanità con le macchine (il “RISCHIO ESISTENZIALE”). Vi è pertanto un estremo bisogno di una regolamentazione internazionale,  sotto l’ egida delle Nazioni Unite, contro i possibili abusi.

– L’Europa è certamente coinvolta sotto molti punti di vista in questo sistema informatico mondiale, ma soprattutto in qualità di vittima, consenziente o meno.

– Le vicende del DATAGATE  hanno fornito, alle Istituzioni, l’occasione per manifestare un’ inedita propositività: un patto euroatlantico contro lo spionaggio(DPA),di cui non si è più sentito parlare dopo il sostanziale diniego del Presidente Obama, una risoluzione dell’ ONU sullo stesso argomento, oramai adottata; un’intelligence europea(anche qui, non se ne è più sentito parlare); un cloud europeo; un Google europeo; la rilocalizzazione in Europa dei dati degli Europei; il tutto sintetizzato dall’ “Habeas Corpus Digitale Europeo” adottato con la Risoluzione del Parlamento Europeo del 12/3/2014;

– La nuova legislatura europea ha di fronte a sé un’eccezionale, e forse ultima, occasione, per ostacolare l’affermarsi della tirannide robotica mondiale, ma, prima ancora, per provocare uno studio, una riflessione e un dibattito su come riuscirci;

– L’approccio adottato nelle discussioni in corso presenta degli inconvenienti, fra i quali:

(i)Quello di essere troppo settoriale (da un lato, la protezione dei dati; dall’ altro, la promozione delle nuove tecnologie);

(ii)Quello di non  concentrarsi abbastanza sulla questione più grave, quella del “RISCHIO ESISTENZIALE”, né su quella più urgente, la creazione DI UN WEB EUROPEO.

L’idea che proponiamo come sintesi di queste riflessioni, vale a dire quella del WEB EUROPEO, dovrebbe avere un duplice pregio:

– da un lato, essa può essere portata avanti fin da subito fra privati, in modo da poterci presentare fra breve al legislatore europeo con qualcosa di concreto fra le mani;

– dall’ altro, costituirebbe comunque un elemento fondamentale di aggregazione, per poi partire per ulteriori campagne.

Per questo, mettiamo in guardia  contro la concezione dell’ “Habeas Corpus Digitale” come rivolto esclusivamente a stabilire una serie di “Diritti fondamentali”, e non preoccupato, nello stesso modo, dello sviluppo di un’industria digitale europea. Infatti, se e nella misura in cui il potere effettivo sulla rete continui a spettare esclusivamente alle multinazionali dell’ informatica, alla NSA e alle parallele organizzazioni spionistiche internazionali, e queste continuino, come ora, a rifiutarne una cessione per quanto minima e parziale, non si vede come, non diciamo i cittadini o la società civile europei, ma, addirittura, l’Unione Europea o qualunque Stato del mondo possa fare valere effettivamente qualsivoglia diritto relativo al web. Ad esempio, dopo che, con dure battaglie legislative e giudiziarie, si sono imposte severe restrizioni alle intercettazioni giudiziarie da parte della Magistratura italiana, quelle stesse comunicazioni che sono state bloccate e distrutte per i giudici italiani continuano ad essere accessibili alle società telefoniche, alle multinazionali del web e ai servizi segreti internazionali, i quali conoscono, dunque, delle indagini penali italiane e degli stessi Segreti di Stato, di cui è depositario il Presidente della Repubblica, più della nostra Magistratura, e non vengono perseguiti, come succede alle Autorità italiane, nel caso di violazione della legislazione nazionale applicabile.

La presidentessa della Camera ha correttamente affermato che una legislazione in questa materia non può che essere internazionale. Aggiungeremo: internazionale e europea. Anche perché, dopo Echelon, il Datagate e le trattative svoltesi a tutti i livelli fra UE e Stati Uniti, è ormai chiarissimo che questi ultimi non intendono modificare in alcun modo la loro legislazione, che subordina qualunque diritto all’esigenza dello spionaggio militare e antiterroristico, così come le multinazionali del web non intendono rinunziare in alcun modo al loro “core business”, che è quello di spiare, immagazzinare, conservare, rielaborare, perfezionare, utilizzare, rivendere e monetizzare in ogni modo possibile i dati sulla mentalità, le inclinazioni, le idee, le abitudini, le attività commerciali o sociali di tutti i cittadini, le organizzazioni e le imprese del mondo. Né gli uni, né gli altri, intendono cessare la loro mutua integrazione,  che rafforza gli effetti negativi di quanto sopra.

E’ ovvio, quindi, che i diritti sul web che dovremmo, e vorremmo, riconoscere ai cittadini italiani ed europei,  potranno essere tali solo nella misura in cui essi potranno essere agiti efficacemente e celermente almeno dinanzi ai tribunali italiani ed europei. Ma, giacché, per fare ciò, si richiede che esistano una comunità informatica europea, un’intelligence europea, una rete telefonica europea, un web europeo, senza che, in questa mondo informatico europeo, possano continuare a dominare soggetti giuridicamente obbligati, direttamente o indirettamente, al rispetto delle regole, opposte, che vigono negli Stati Uniti, tutte le azioni politiche che si limitassero a sancire dei diritti senza fornire nello stesso tempo strumenti di difesa contro quei comportamenti sarebbero delle pure ‘gride manzoniane’, alle quali siamo purtroppo abituati, ma delle quali non abbiamo certamente bisogno in questo momento di vera e propria implosione della cultura, della società e dell’ economia europee.

L’”Habeas Corpus Digitale Europeo” approvato dal Parlamento europeo   il 12/3/2014 , documento d’indirizzo che dovrebbe essere preso in seria considerazione da tutti i legislatori nazionali, aveva il pregio di considerare quest’ottica globale. D’altra parte, anche il Presidente designato della Commissione, Jean-Paul Juncker, ha inserito, fra le priorità sue e della nuova Commissione, la creazione di nuovi posti di lavoro attraverso il Web. Infine, le Nazioni Unite e l’ UNESCO hanno avviato embrionali attività, che andrebbero accelerate e rafforzate.

Se, come pare, l’ Italia intende, giustamente, in quanto Paese che presiede in questo momento l’ Unione Europea, proporre all’Unione Europea un testo su cui lavorare, deve porre al centro  della nuova legislatura europea due questioni:

– una disciplina internazionale del principio di precauzione, volta a monitorare tutte le nuove tecnologie (informatiche, spaziali, chimico-fisiche, biotecnologiche, neurobiologiche) per prevenire il RISCHIO ESISTENZIALE, vale a dire la distruzione del genere umano e/o la sua sostituzione con le macchine;

– un web europeo, comprendente: una cultura informatica europea, infrastrutture europee di comunicazione, un’ intelligence europea, un cloud europeo. Si allega questo proposito il Quaderno “Restarting EU Economy via Knowledge-Intensive Industries” .Quest’aspetto è di vitale importanza soprattutto per un’Europa, e soprattutto, per un’Italia, avviate lungo un impressionante pendio di declino. Il legislatore non può limitarsi all’ affermazione di generici principi generali, ignorandone le enormi, e potenzialmente positive, implicazioni concrete per il nostro Paese.

Discutendo con il Primo Ministro della Repubblica Popolare Cinese, che, realizzando ogni giorno nuovi successi nelle industrie digitali, costituisce l’antitesi positiva della crisi europea, si dovrebbe vedere ), per incominciare a costruire un Web italiano ed europeo, di stabilire delle sinergie con le ineguagliabili industrie cinesi del Web Baidu Alibaba e Qihoo 360 (che non solo sono riuscite ad erodere in pochi mesi business per molti miliardi di dollari ai concorrenti americani, ma anche hanno creato, sul mercato cinese, una concorrenza vivissima, quale certo non esiste in Occidente.

Di fronte alle dimensioni delle sfide in essere, la Costituzione del Web, così pure il Marco Civil Digital brasilano a cui essa s’ispira, non possono che rivelarsi insufficienti. E, tuttavia, anche   limitandoci, per ora, ai diritti costituzionali all’ interno del Paese (e, in un domani, dell’ Europa),  si dovrebbero almeno trattare alcune questioni come:

– il web e l’eccezione culturale;

– il web e l’antitrust;

– il diritto penale e il web;

– il diritto fiscale e il web;

– il “cloud europeo”.

Quanto al primo punto, dovrebbe venire chiarito che il Web fa parte a pieno titolo della cultura di un Paese, e, pertanto, ad esso non si applicano i principi giuridici, nazionali o internazionali, in materia di commercio di merci.

Quanto all’ Antitrust, le procedure attualmente in corso contro Google dimostrano che l’Antitrust è inefficace per tutelare contro il potere dominante delle multinazionali informatiche, le quali influenzano, prima ancora della concorrenza, addirittura la struttura esistenziale dei cittadini, i vertici dello Stato, l’insieme delle imprese nazionali e internazionali. Occorrerebbe almeno incominciare a sancire principi costituzionali nuovi in questa materia, che colpiscano anche questo potere sociale.

Quanto al diritto penale, dev’essere chiaro che la violazione dei diritti dei cittadini italiani è comunque un reato per l’ordinamento italiano (e/o europeo). Se “profilare” gli utenti viola il diritto alla privacy, se intercettare senza il mandato della Magistratura viola il diritto alla segretezza della corrispondenza, allora i corrispondenti reati debbono essere perseguiti dal diritto penale italiano(e/o europeo), con sanzioni graduate per casi singoli, casi ripetuti, violazioni sistematiche, violazione di segreti commerciali, politici o militari, e i responsabili debbono essere processati e condannati anche se residenti all’ estero(e/o dell’ Unione Europea).

Quanto al Diritto fiscale, debbono essere stabiliti chiari principi di individuazione del luogo dove si genera il reddito tassabile, per evitare l’attuale elusione generalizzata.

Quanto al “Cloud Europeo” dev’essere chiaro che l’unico strumento efficace per impedire molte delle violazioni di cui sopra è rendere obbligatorio che i dati degli Europei siano custoditi in territorio europeo, sotto il controllo del diritto europeo e dei giudici europei. Questo creerebbe anche, tra l’altro, un enorme incremento di posti di lavoro nel nostro territorio. E se poi si ritenesse che la professione informatica della UE non sia ancora pronta per un simile compito, la Svizzera ha già offerto la propria collaborazione

Utilizzando l’opportunità che  è stata offerta a tutti i cittadini, di intervenire sulla nuova proposta di legge,  presenteremo un nostro intervento definitivo, i nostri due “Quaderni” citati in precedenza (“Habeas Corpus Digitale” e “Restarting EU Economy”, che si allegano).

Costituendo, il tema della democrazia digitale, la radice profonda del nostro impegno esistenziale, culturale, civile ed imprenditoriale, la nostra azione su questi temi è totale. La nostra Casa Editrice Alpina sta pubblicando una serie di e.book su questi temi. Abbiamo già coinvolto a questo proposito i vertici dell’ Unione e l’ industria digitale nazionale.

Riccardo-Lala

Ci accingiamo perciò a predisporre, con il supporto della Società Civile,  un intervento circostanziato sulla bozza del Progetto, che inseriremo nel Vostro sito come contributo al testo in preparazione.

RingraziandoVi anticipatamente per l’attenzione,

Distinti saluti,

per l’Associazione Culturale Diàlexis,

Riccardo Lala

Ucraina 2014: no a un’inutile strage

Ucraina 2014: no a un’inutile strage

(pubblicato su Articolo 3 Quotidiano online – clicca per leggere)

SolzhenicinLa Süddeutsche Zeitung del 18 settembre ha riferito con grande rilievo di minacce di Putin a Poroshenko (riportate a sua volta a Barroso) nei loro recenti colloqui circa la capacità, dandosene il caso, da parte dell’ esercito russo, di avanzare in Europa Centrale fino alle principali capitali nel giro di un paio di giorni. Indipendentemente dal se il fatto sia realmente avvenuto, esso dà il senso del clima drammatico di questi giorni, in cui, come ha affermato il Sommo Pontefice, è in corso una vera e propria Guerra Mondiale. Che altro sono, infatti, la guerra civile continua nell’ Africa subsahariana, in Libia e in tutto il Medio Oriente, la violenza generalizzata in Ucraina, la destabilizzazione sistematica dei territori ostili mediante “covert operations”, le uccisioni impunite con i droni, la mobilitazione, da parte di tutti gli Stati,  di infinite milizie private, le continue manovre militari in Europa Centrale e Orientale e in Estremo Oriente, la corsa a nuovi micidiali armamenti, come i missili ipersonici, i sommergibili superveloci e i cacciabombardieri di 6° generazione?

Il conflitto in Ucraina, per quanto importante per tutte le parti in causa, è solo uno dei tanti segmenti  di un conflitto ben più generalizzato, che oppone, da una parte, un “sistema occidentale” oramai chiaramente orientato verso una società globale sotto il controllo tecnocratico, e un insieme di Paesi afroasiatici e sudamericani che rivendicano le loro specifiche culture, nel nome delle quali non accettano di inserirsi nel “sistema globale”. Mentre la “leadership” del “sistema occidentale” sembra oramai assunta dal Complesso Informatico militare, che impone allo Stato americano la propria agenda, fondata sul postumanismo,  sul controllo totale e sull’ “ideologia gender”, la resistenza antiglobalistica trova il suo nocciolo duro in una Cina che è passata, in 50 anni dagli eccessi messianici  della Rivoluzione Culturale a una sostanziale rivalutazione della società cinese tradizionale.

Qualcuno ha affermato che il conflitto attuale è più grave che non quello dei tempi della “Guerra Fredda”. Infatti, quest’ultima si svolgeva fra due forze che condividevano un orizzonte “modernistico”, di passaggio dalla società contadina a quella industriale. Oggi, si sfidano due prospettive della postmodernità che divergono in modo sempre più sostanziale: da un lato, la sostituzione dell’ uomo con le macchine, dall’ altro il rilancio di un umanesimo fondato su virtù “tradizionali”(i “valori asiatici”). Ambedue le tendenze hanno i loro profeti: per il Direttore di Google, Ray Kurzweil, l’Umanità non sopravviverà come tale oltre il 2100(sostituita dal software),mentre, per il sociologo inglese Martin Jacques, “la Cina governerà il mondo” fra qualche decennio.

L’Europa e la Russia si trovano nel mezzo di questo storico conflitto e sono sempre più condannate a prendere posizione. Ricordiamo soltanto che l’ Unione viene “stiracchiata” fra gli USA e la Cina per la firma di due paralleli, ma in fondo opposti, trattati commerciali, e che ambedue i Paesi fanno a gara ad acquisire quote delle nostre imprese (Alstom, Nokia, Volvo, PSA) come  pegni di alleanza. L’oscillazione dei rapporti fra Europa e Russia è stata  condizionata, fra l’altro, da questo più generale conflitto.

Ricordiamo, intanto, che, contrariamente a quanto avvenuto per gli altri grandi imperi europei, il “crollo dell’ Unione Sovietica” era avvenuto in modo assolutamente pacifico. Più che di un “crollo”, si dovrebbe parlare di una disgregazione. Infatti, nel momento stesso in cui le maggiori repubbliche avevano deciso, a Minsk, lo scioglimento dell’Unione, avevano creato, simultaneamente, una più elastica “Comunità di Stati Indipendenti”. A nostro avviso, l’elemento determinante di quella trasformazione era stato costituito dall’ abbandono del carattere rigidamente ideologico, di un’Unione che, già nella sua definizione, si qualificava come “socialista” e “sovietica” mentre i successivi Mercato Comune Eurasiatico e Unione Economica Eurasiatica raccoglievano l’ eredità dell’ Unione Sovietica , caratterizzandosi però per il fatto di avere imitato, addirittura pedissequamente, il  Mercato Comune Europeo e l’ Unione Europea, inserendosi, così, perfettamente nell’ idea del Movimento Federalista Europeo di un Federalismo Mondiale. La partecipazione, tanto dei Paesi Membri della UE, quanto di quelli della Confederazione di Stati indipendenti, al Consiglio d’Europa e all’ OCSE avrebbe dovuto garantire la cooperazione, e la successiva integrazione, fra le due aree.

1.Il tradimento del “Dissenso” e della “Casa Comune Europea”

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Purtroppo, le promesse che erano state all’origine di quella trasformazione erano state poi tradite, non già dagli “ex-sovietici”, bensì dall’ Occidente.

Già nel 1956, al momento della “destalinizzazione”, Sol’ženicin aveva lanciato il forte messaggio di una Russia profonda, tradizionale e religiosa, che non si era mai piegata alla dittatura di Partito; tuttavia, mentre Sol’ženicin era divenuto famoso in Russia, proprio in Occidente  veniva oscurato e isolato. Anche l’idea di Ivanov-Razumnik, di un’ Europa che “respira con i suoi due polmoni”, ripresa energicamente da Giovanni Paolo II, veniva stravolta e contraddetta da una Polonia sempre più lontana dagli ideali di Solidarność, la quale aveva aderito pedissequamente a quel capitalismo che lo stesso Pontefice aveva definito come “una struttura di peccato”. Neppure l’URSS di Gorbaciov veniva aiutata a costruire la “Casa Comune Europea” (ch’essa proponeva sulla falsariga del Consiglio d’ Europa e dell’idea di Mitterrand di una “Confederazione Europea”), bensì fatta crollare con il rifiuto di un serio aiuto economico. Al Parlamento Europeo, El’cin non veniva neppure lasciato  parlare, mentre l’ Occidente fomentava la disgregazione della ex-Jugoslavia e sosteneva politicamente l’aggressione dei guerriglieri islamici internazionali wahhabiti all’ Inguscezia e al Daghestan, “vendutaci” come una guerra d’indipendenza del popolo ceceno. Infine, si demonizzava un Putin che, per la prima volta in Russia, si reggeva su un Parlamento democraticamente eletto e funzionante; si negavano alle minoranze russofone o russofile i normali diritti,e si sostenevano finanziariamente movimenti antirussi nelle Repubbliche e perfino in Russia.

Nonostante tutto ciò, ancora nel 2006, in occasione delle celebrazioni dei 50 anni dell’ Unione Europea,  Putin, unico fra i Governanti europei, aveva rivendicato orgogliosamente, sulla prima pagina de La Stampa di Torino, il suo essere europeo in quanto pietroburghese, e aveva lodato l’Unione Europea come il massimo successo politico del 20° Secolo. Lo stesso Putin, dinanzi alla Confindustria tedesca (BDI), si era proposto di completare l’unificazione europea, così come Kohl aveva completato quella tedesca. Non parliamo di molti anni di cooperazione con la NATO e con gli Stati Uniti per la lotta al terrorismo, culminati con la Partnership Russsia-NATO, suggellata nel 2004 a Pratica di Mare.

Come risposta, l’Occidente, lungi dal far partecipare la Russia alle sue attività, e regolamentare almeno in modo ragionevole le questioni più urgenti, come quelle dei sistemi antimissile e dei visti, organizzava l’aggressione georgiana all’ Ossezia del Sud, massacrando senz’alcuna ragione la popolazione di Tskhinval.

Infine,  nell’ultimo anno, proprio mentre si preparavano e si svolgevano le Elezioni Europee, i rapporti fra l’Europa Occidentale e l’Unione Eurasiatica non facevano che deteriorarsi. Non dimentichiamo infatti che, proprio mentre si stava organizzando la firma del Trattato Istitutivo dell’ Unione Economica Eurasiatica, sopraggiungeva la polemica, in gran parte strumentale, con cui era stata lanciata, dagli Stati Uniti, una campagna per  il boicottaggio delle Olimpiadi di Soci, motivata da presunte leggi omofobe della Russia: una campagna talmente pretestuosa, che, non appena si sono trovati argomenti più sostanziosi per contendere, vale a dire l’annessione della Crimea, la rivolta del Donbass o l’abbattimento del Boeing malese, è stata immediatamente abbandonata.

E, in effetti, è sempre stato tipico del “Russia Bashing” (la “denigrazione della Russia”),il fatto di proseguire nei secoli senza curarsi dei mutati scenari : Ivan il terribile era troppo accentratore; Alessandro  I troppo idealista; Stalin troppo crudele; Gorbačëv troppo generoso; E’lcin troppo debole, e così via…. Come avrebbe detto una volta Prodi a Putin, il vero problema è che “la Russia è troppo grande”…Ma, purtroppo, la Russia esiste, è incuneata fra la Finlandia, la Svezia, la Lituania, la Polonia, l’Ucraina,il Caucaso…per non parlare dell’Artico, dell’ America e della Cina! Di conseguenza, è uno degli aspiranti naturali alla leadership sull’ Europa, non diversamente dalla Germania, dall’ Inghilterra e dalla Francia. L’ideale, per qualcuno,  sarebbe perciò, quello di spezzettare ulteriormente la Russia, con la Ciscaucasia e gli Urali mussulmani e una Siberia autonoma, e di restituire le industrie energetiche agli oligarchi, in modo da poter integrare questi scampoli impoveriti e indeboliti nell’ Unione Europea come soggetti passivi, così come le ex repubbliche jugoslave.

2.La Russia, epicentro di un  “Nuovo Conservatorismo”?

Strelkov-uomo-forte-dei-separatisti

D’altro canto, da parte della Russia, la sfida è stata non solo accettata, bensì anche rilanciata. Visto che la Russia occidentalista e dimessa di Gorbaciov e di El’cin non era stata ammessa nel “salotto buono” dell’ Europa, e, tanto meno, nella UE, l’opinione pubblica, la cultura, la politica e, per ultimo, la presidenza stessa , della Russia, hanno sviluppato negli anni una dottrina che possa dare alla Russia una ragion d’essere in questa fase di attesa dell’auspicata integrazione. La questione non è nuova. Già all’ inizio del XX° Secolo, il poeta Alexandr’ Blok aveva formulato la questione  con rara efficacia, concludendo con una retorica domanda all’ Europa:“Per l’ultima volta rifletti, vecchio mondo/all’abbraccio fraterno di lavoro e di pace/Per l’ultima volta ti chiama questa barbara lira al luminoso abbraccio fraterno!”.

In sostanza, i Russi sono tornati alla visione “Eurasiatica”, cara agli Slavofili e all’emigrazione “bianca”, secondo cui la Russia non sarebbe, né europea, né asiatica, bensì l’erede dell’ impero intercontinentale di Cinghis Khan, esaltato da Marco Polo. In tal modo, però, essa è anche il tramite, verso l’ Europa, dei “Valori Asiatici”. Essa tende automaticamente, da un lato, a imitare la Cina, e, dall’ altro, a influenzare gli Europei.

Nel discorso del 13 Dicembre del Presidente Putin sullo Stato della Federazione, da un lato, si confermava l’ostilità del Presidente alla “cultura gender”, e, dall’ altro, si preannunziava la nascita dell’ ampia convergenza, intorno alla Russia, de movimenti conservatori europei. Convergenza che è poi effettivamente avvenuta, con precise prese di posizione a favore della Russia di movimenti anche molto diversi fra di loro, come per esempio lo UKIP inglese, il Front National francese, FIDESZ e gli Yobbik ungheresi, la Lega Nord, Forza Italia e Fratelli d’Italia (oltre che di partiti di altro orientamento, come per esempio il Movimento 5 Stelle), nonché con l’affluire, nel Donbass, di volontari europei filorussi (il battaglione “Continente Unito”), che controbilanciano quella dei volontari filo-ucraini che si arruolano nelle truppe speciali di Kiev .

Divenivano così, almeno parzialmente, più chiare le ragioni del contendere fra la Russia e l’ “Occidente”. Queste sono, come accennato, solo parte del conflitto più vasto fra le “lobby” tecnocratiche occidentali e le tendenze culturali di fondo dell’ Asia, dell’ Africa e dell’ America Latina, anche al di là dei BRICS. Mentre l’”Occidente”, sospinto dall’industria informatica e dalle élites “liberal”, persegue una globalizzazione livellatrice, preludio di una rivoluzione biopolitica volta a travolgere le tradizioni dell’ “Umano naturale”, i grandi Paesi dell’ Asia, indipendentemente dalle loro radici culturali e religiose, propendono invece per la difesa di tradizioni e diversità. Con il ritrarsi della grande ondata modernistica del XX Secolo, si riaffacciano colà le tradizioni religiose e filosofiche, e si rivaluta la continuità culturale dei grandi Imperi: cinese, giapponese, indiano, islamico, incaico, ispanoamericano; Confucio,  Maometto, Shivaji, De Las Casas, Perón.

La Russia, posta, com’è, a cavallo fra la Russia e l’ Asia, non può fare a meno di  partecipare a questo dibattito, che, tra l’altro, è in corso in Russia con esiti non ancora ben definiti. A cui, infine, non sono neppure estranee, seppur volendolo, le nazioni confinanti con la Russia, che pure hanno spesso avuto, con quest’ultima, intermittenti contenziosi. Così, per esempio, l’Ungheria ha eliminato, dalla sua costituzione, ogni riferimento alla “repubblica”; ha sancito costituzionalmente il carattere eterosessuale del matrimonio; ha riabilitato l’Ammiraglio Horty; ha riaffermato la sua simpatia non solo per la Russia, ma anche per “i popoli turanici”. Ma perfino l’Ucraina, che si vorrebbe radicalmente alternativa alla Russia, si riallaccia ai Cosacchi, alla Confraternita Cirillo-Metodiana, alle organizzazioni ultra-nazionaliste della seconda Guerra Mondiale (cosa che ha suscitato non poche preoccupazioni, soprattutto dopo la strage di Odessa che ha riecheggiato sinistramente i pogrom di quella città).

Le lobby culturali e politiche dell’ Occidente, che hanno prosperato grazie miti dell’ irreversibilità del socialismo, e, poi, del liberismo, non possono non osservare con agitazione questi inattesi sviluppi, ed aggrapparsi più che mai al  loro sogno di un dominio tecnologico assoluto, che metta la loro egemonia al riparo da questa crescente marea.

3.Gli scontri e la rivolta

Milizie-filogovernative-sparano

Come noto, durante le Olimpiadi , il movimento dell’ Euromaidan, tradizionalista quanto e più dello stesso mainstream culturale e politico russo e dell’ Ucraina Orientale, ma sostenuto, per i motivi di cui sopra,  dalle lobby occidentali, riusciva a ottenere, con la violenza di piazza, la fuga del Presidente ucraino in carica e l’adozione d’urgenza di una nuova legislazione antirussa che, a sua volta, propiziava la secessione della Crimea e la rivolta nel Donbass. Si arrivava così alla guerra civile in Ucraina e alle sanzioni occidentali contro la Russia.

Nella sua paradossalità, la situazione così creatasi costituisce un esempio eloquente dell’insufficienza dell’attuale costruzione europea. L’Unione Europea e l’ Unione Eurasiatica, fondate sugli stessi principi e raggruppanti i Paesi del Consiglio d’ Europa e dell’OCSE,  anziché cooperare fra di loro, come deriverebbe dai loro atti costitutivi, si considerano oggi come due blocchi ideologici e militari contrapposti, e tentano reciprocamente di destabilizzarsi, per “rubarsi” reciprocamente gli Stati Membri. Così, i Paesi dell’Europa Centro-Orientale, dal Golfo di Finlandia al Mar Caspio, che potrebbero e dovrebbero costituire una “cerniera” fra le due Unioni, dove dovrebbero trovare collocazione (in città piene di significato storico e simbolico, come Riga, Königsberg, Danzica, Varsavia, Cracovia, Budapest, Kiev, Odessa, Baku),  delle istituzioni comuni, sono divisi da feroci odi civili e sono sempre sull’orlo di una guerra civile (Armenia contro Azerbaidzan, Moldova contro Transnistria, Georgia contro Abkhazia, Khadyrovcy contro wahhabiti, baltici e ucraini occidentali contro russofoni locali, polacchi contro russi, serbi contro mussulmani, sunniti contro shiiti, ecc..) .

Eurasia 2

4. La messa in forse della pace in Europa

Intanto, gli Stati Uniti, che ben poco hanno a che fare con le dialettiche interne dell’ Europa, intervengono invece pesantemente in fatti come la formazione del Governo Ucraino, la guerra civile in Ucraina, ma perfino i referendum in Inghilterra. Le divisioni interne fra gli Europei (fra i Paesi dell’ Europa Centrale e Orientale e i Russi, fra le maggioranze cosiddette “titolari” e le minoranze etniche, fra l’ Europa Continentale e il Regno Unito, fra l’ Europa Settentrionale e quella Meridionale) paralizzano i relativi processi decisionali.

Il caso dell’ Ucraina dimostra poi anche che, come un po’ tutti stanno oramai rilevando, la pretesa dell’ Unione Europea di avere costituito la base della pace in Europa sta oramai mostrando parecchio la corda, giacché risulta oramai evidente anche nei fatti di tutti i giorni che ciò che mantiene la pace fra l’ Europa Occidentale e la Russia è ancora la “mutua distruzione assicurata” garantita dai missili nucleari russi e americani (e dalle nuove armi come i “Glider” spaziali). E, infatti, non appena si esce dalle “linee rosse” tracciate dalle Grandi Potenze, la guerra ricomincia, eccome, come è avvenuto nei Paesi Baltici, in Ucraina e in Grecia dopo la IIa Guerra Mondiale, a Cipro negli Anni ‘70, nel Caucaso, in Moldova, nella ex-Jugoslavia alla fine del secolo scorso, e, ora, in Ucraina. Non per nulla i vari Paesi sono entrati, prima, nella NATO, e, poi, nell’Unione Europea.

Quelle “linee rosse” sono così essenziali per l’equilibrio mondiale, che la guerra in Europa Centro-Orientale può trasformarsi in ogni momento in una guerra totale. Basti pensare alle infinite esercitazioni, anche nucleari, effettuate, negli ultimi mesi, tanto dai Russi e dai Cinesi quanto dagli Americani, dai Baltici, dai Balcanici, dai Giapponesi, Coreani, Filippini… e Italiani, in tutte le regioni della Russia, nel Baltico, nel Mar  Nero e nel Mar della Cina.  Come  ha affermato su Limes il sottosegretario Pistelli, “Nella terza guerra mondiale noi Italiani siamo in prima linea”.

Manovre-NATO

5. Concreti passi nella direzione della III Guerra Mondiale.

Ricordiamo soprattutto che, nello scorso Luglio, come rivelato dalla catena televisiva cinese CCNTV, la Marina Militare Italiana ha inviato, senza per altro dirlo a nessuno,  due sue navi, insieme a quelle americane, a fronteggiare nel Mar Nero la flotta russa. L’8 maggio scorso, poi, l’Arma Missilistico-Spaziale Russa aveva addirittura simulato, alla presenza dei Presidenti dell’ Unione Eurasiatica, l’abbattimento di missili nucleari americani lanciati contro la Russia. Infine, la presenza di combattenti americani e polacchi nell’ esercito di Kiev, e di quelli di tutta Europa nel battaglione “Continente Unito” del Donbass, come pure di ben 500 Inglesi nell’ esercito dell’ ISIS, e, infine, la recentissima proposta di Cameron di un corpo d’armata internazionale contro il Donbass, dimostrano che sta avviandosi la quarta fase della Guerra Civile Europea di cui parlava Ernst Nolte. La prima era stata quella fra i rivoluzionari e le monarchie europee nel 700-800; la seconda quella fra l’Intesa e gl’Imperi centrali (la “Prima Guerra Mondiale”); la terza quella fra l’Asse e le Nazioni Unite (gli “Alleati”). Quest’ultima è la guerra fra il Complesso Informatico-Militare occidentale e le forze anti-globalizzazione dell’ Eurasia.

Anche in quest’ultimo caso, i venti di guerra in Europa sono solo un’ eco di ben più inquietanti sviluppi in Estremo Oriente, dove , in risposta al “Pivot to Asia” di Obama e della linea revanscista del Governo giapponese, l’Esercito Popolare Cinese sta approntando una panoplia di armi micidiali che non hanno corrispettivi in nessun altro Paese, e che stanno ponendo fine alla “Mutua Distruzione Assicurata”: dai missili ipersonici ai cacciabombardieri di 6° Generazione.

Intanto, in Europa, mentre l’Occidente è in preda a un’isteria anti-russa, per cui qualunque male, o preteso tale, dall’omofobia alla caduta dell’ aereo malese, viene attribuito a Putin,  l’esercito ucraino sta bombardando ininterrottamente le città del Donbass, mietendo migliaia di vittime, con centinaia  di migliaia di civili fuggiti in Russia-. In questo Paese, le più svariate organizzazioni invocano, e comprensibilmente,  politiche più energiche contro l’ Occidente, come la rivendicazione, da parte di Žirinovski (più di 10% di voti alla Duma di Mosca), di tutte le infinite terre dell’ex Impero zarista; il ritorno, chiesto da Dagtariev,  alla bandiera monarchica; il divieto, proposto dal Maresciallo Šojgu, del negazionismo consistente nel non riconoscere il ruolo dell’ esercito sovietico nella vittoria sul nazismo.

Infine, la guerra commerciale fra Russia e Occidente sta distruggendo quel poco che resta della decaduta prosperità europea, permettendo all’America di imporci il TTIP e alla Cina e agli Emiri arabi di acquistare le nostre industrie strategiche, mentre i Governi, gli economisti e le imprese non sanno neppure che cosa dire per nascondere le vere cause della nostra rovina.Che non viene certo scongiurata dalle timide e tardive manovre della BCE.

5. Il ritorno dello “spirito del 1914”

Ossario-guerra-di-CrimeaLe similitudini con il 1914 sono impressionanti. Perfino all’ interno del Parlamento Europeo, lo scontro fra parlamentari antirussi e filorussi è stato così forte, da aver fatto parlare a qualcuno di uno “spirito del 1914”. E, in Bosnia, mentre a Sarajevo si celebrava l’ Arciduca Ferdinando, a Sarajevo Est, commemoravano Gavrilo Princip, a Banja Luka, Nicola II e, a Višegrad, Ivo Andrić.

Questo singolare “ritorno al 1914” ci obbliga a riflettere criticamente sul nostro passato, ben più approfonditamente ed energicamente di quanto stiano facendo la cultura e la politica “mainstram”. E non solo sulle frenesie nazionalistiche di un Mann, di un Churchill, di un Croce, di un Marinetti, dei partiti socialisti, e perfino di Don Sturzo e di  Murri; non solo sull’opportunismo di Mussolini che, da antibellicista, divenne interventista per effetto dei fondi segreti del Parlamento Inglese, con i quali finanziò il suo “Popolo d’ Italia”; ma anche e soprattutto all’impotenza dell’imponente  schieramento antibellicista, composto dalla Chiesa, dalle Case Regnanti (tutte imparentate fra di loro e minacciate dall’ ondata plebea dell’ interventismo), dagl’intellettuali elitari mitteleuropei (“die guten Europäer”, come Stefan Zweig, Romain Rolland e Bertha von Suttner). Nonostante la forza delle potenze internazionali che volevano la guerra, quel fronte avrebbe potuto imporre la pace, se non altro facendo leva sui residui poteri dinastici e sul prestigio sociale ancora intatto di Papi, Imperatori e “gentlemen”. Papa Benedetto XV aveva parlato di “Inutile Strage”; Nicola II aveva tentato di evitare la guerra con il ricorso al Tribunale internazionale dell’ Aia, da lui ideato e promosso; Rolland aveva scritto il più famoso “romanzo pacifista”, Jean-Christophe e il “pamphlet” antimilitarista “Au dessus de la melée”.

Oggi, contrariamente ad allora, il fronte del “no” alla guerra gode anche una sanzione democratica. Almeno in Italia, alle ultime Elezioni Europee, l’insieme dei partiti contrari alla Russia (Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Movimento 5 Stelle, Lista Tsipras), ha totalizzato più della metà dei voti.  . E’ chiaro che l’attuale polemica contro la candidatura Mogherini è stata legata a questa problematica, e si spiega benissimo perché l’iniziativa della lettera aperta contro quella candidatura  sia stata orchestrata dal finanziere americano Soros.

6. Intervenire sulle nostre Autorità

Cetnici-serbiOltretutto, l’insistere sulle sanzioni reciproche con la Russia provocherebbe anche la definitiva catastrofe per un’economia europea, e, soprattutto, italiana, più traballante che mai. Le più recenti statistiche certificao l’impatto devastante già di ciò che è stato fatto, che ha portato ad un’ulteriore decrescita, per nulla frenata dal “Tlro” di Draghi. E, fra le ragioni di questa mancata ripresa, c’è proprio il fatto che, anziché rilanciare l’export verso i BRICS, qui (senza che i rafforzati scambi con la Cina possono fornirci tempestivamente un adeguato contrappeso) si contraggono invece gli scambi con il nostro principale partner commerciale. Con cui abbiamo joint ventures strategiche come quelle nei settori energetico, aerospaziale e della difesa. A questo punto, non ci resta che vendere tutto agli stranieri per fare disperatamente cassa: Avio, Alitalia, SNAM, SAIPEM, Indesit, Ilva, Telecom, più il 2,5% alla Cina di tutte le grandi quotate.

In realtà, un rilancio dell’ economia europea, e italiana in particolare, sarebbe possibile, a nostro avviso, solo sciogliendo i “lacci e lacciuoli” che ci legano all’America, e integrandoci, ancor più profondamente di quanto stia avvenendo, con l’economia eurasiatica in pieno boom. Una riedizione, per altro, delle scelte che erano costate la vita a Enrico Mattei.

Il Presidente ucraino Poroshenko e quello russo Putin si sarebbero accordati, nei giorni scorsi, su un “Piano in 12 Punti” per la pace in Ucraina, basato sul cessate il fuoco e la nuova legge ucraina sull’autonomia del Donbass. Auguriamo tutto il successo possibile, anche se notiamo che, a oggi, “la tregua non regge”, ma, soprattutto, che manca un quadro d’insieme che motivi veramente russi e ucraini a percorrere una strada pacifica, anziché quella militare. Tra l’altro, avvicinandosi l’ inverno, si sta per aprire, come tutti gli anni, il fronte del gas, e la Russia sta inoltre minacciando nuove sanzioni, contro le industrie automobilistica e aerospaziale.

A questo punto, la cosa più urgente sarebbere  scendere in piazza per incitare il nuovo Alto Commissario alla Politica Estera e di Difesa, Federica Mogherini, a lanciare immediatamente un percorso di pace europeo, che valga almeno per l’ Europa Orientale e per il Medio Oriente, capace di disinnescare i conflitti in corso.Esso, a nostro avviso, dovrebbe essere fondato sui seguenti punti:

i)un congresso permanente delle culture e delle confessioni religiose dell’Europa e del Medio Oriente, destinato ad appianare a monte, con il dialogo, i maggiori conflitti (“l’ONU delle Religioni”, lanciata recentemente dall’ ex Premier israeliano Shim’on Perez);

ii)lo spostamento dell’ OCSE e del Consiglio d’ Europa a Kiev, che diverrebbe così la capitale di un’ Eurasia pacificata, così come avrebbe dovuto significare il termine “Euromaidan” (che è medio-orientale);

iii)la garanzia internazionale della neutralità dell’ Ucraina, della Moldova, della Georgia, dei Balcani Occidentali e del Medio Oriente;

iv)la federalizzazione dell’Ucraina, della Moldova e della Georgia;

v)la concentrazione delle rappresentanze al Consiglio d’ Europa e all’ OCSE sull’Unione Europea e dell’ Unione Economica Eurasiatica;

vi)un’Associazione del Medio Oriente con l’ Unione Europea, sulla falsariga dell’ Accordo di Lomé;

vii)la garanzia effettiva degli standard europei dei diritti delle minoranze, tanto nella UE, quanto nell’ Unione Eurasiatica che in Medio Oriente.

Solo così l’Italia e l’ Europa dimostrerebbero, al contempo, di essere depositarie di una visione del futuro, di saper prendere il controllo dei grandi movimenti internazionali e di essere fermamente intenzionate a porre sotto controllo gli sviluppi distruttivi della globalizzazione.

L’e.book “UCRAINA 2014, No a un’inutile strage”, della Casa Editrice Alpina, a cura dell’ Associazione Culturale Diàlexis”, è in vendita presso UltimaBooks (http://www.ultimabooks.it/ucraina-2014).

Essa fa parte della serie “Quaderni di Azione Europeista” (http://www.ultimabooks.it/search/result/?q=Alpina+srl), che trattano, in forma snella e con un approccio anticonformistico, argomenti di politica, cultura ed economia europee.