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”UNBUNDLING” DEL GRUPPO CINESE ANT: VERSO LA CONTENDIBILITA’ DEL MERCATO DIGITALE GLOBALE?

La notizia che la capitalizzazione di borsa dei GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft)  ha raggiunto 9.396 miliardi di dollari rende bene l’idea di come il loro potere nel mondo sia così forte come mai fino ad ora.

E,  contemporaneamente,il Governo cinese, con una mossa inaspettata, l’ “unbundling” di ANT, ha indicato la strada per sventare questo monopolio mondiale.

Secondo l’Enciclopedia Treccani, l’”unbundling” è la “ Separazione tra le varie componenti della filiera produttiva di un’impresa verticalmente integrata finalizzata a introdurre una maggiore competitività nel mercato di riferimento. L’u. promuove l’apertura del mercato nei segmenti potenzialmente concorrenziali (produzione, approvvigionamento e vendita), separandoli dalle attività strutturalmente monopolistiche e favorendo l’accesso reale e non discriminatorio dei terzi ai servizi offerti dai proprietari delle infrastrutture (Third Party Access, TPA). Le attività caratterizzate da monopolio naturale sono tipicamente quelle legate alle infrastrutture essenziali non duplicabili (essential facilities), in quanto gravate da elevati costi fissi e costi non recuperabili (➔ sunk cost).”

Il satellite quantico Micius, progettato in Austria
e realizzato in Cina

1. Che cos’è il Complesso Informatico-Militare?

Il pericolo, da molti paventato, di una vera e propria dittatura mondiale dei GAFAM (Google, Apple,Facebook,Amazon, Microsoft), teorizzata da Eric Schmidt (amministratore delegato di Google), è tutt’ora più che mai incombente, sì che risultano particolarmente gravi le pretestuose tergiversazioni giuridiche delle autorità americane ed europee volte a dilazionare sine die le misure contro i GAFAM, annunziate da qualche decennio e mai attuate (se non sulla carta).

L’epoca storica che si apre in questi anni è stata definita, dal suo demiurgo Ray Kurzweil, direttore tecnico di Google e animatore del movimento post-umanista, come l’”Era delle Macchine Spirituali”, quella in cui le macchine sono in grado, non solo di pensare, bensì perfino di creare. Lo sbocco di tale era sarebbe, secondo lui, la Singularity, vale a dire in pratica, la ricostituzione, tramite il digitale, dell’unità originaria dell’ Essere (l’Uno di Plotino, il Tikkun ha-’Olam della Kabbalah, la Biomeccanica  del Cosmismo di Lunacarskij, Bogdanov, Platonov e Gustev):”’Singolarità’ si riferisce all’ idea che, attraverso  la condivisione diretta dei miei pensieri e delle mie esperienze con gli altri (una macchina che legge i miei processi mentali può anche trasporli in un’altra mente), nasce una sfera di esperienza mentale, condivisa a livello globale, che funzionerà come una nuova forma di divinità: i miei pensieri saranno direttamente immersi in un Pensiero globale dell’ universo stesso”(Slavoj Zizek, Hegel e il cervello postumano).

In effetti, i nostri anni sono caratterizzati in tutti i loro aspetti (ontologico, filosofico, religioso, storico, geopolitico, culturale, sociale, antropologico, economico, tecnico) dall’ onnipervasività del digitale, che rientra in una deriva assolutistica della nostra cultura, legata alla tradizione dell’ apocalittica immanentistica, che percorre le eresie medievali, le filosofie hegeliane e  la religione positivistica della scienza e del progresso. Sul piano ontologico, abbiamo la fusione dell’ uomo con la rete attraverso l’ identità digitale, la bioingegneria e i social network. Su quello filosofico, notiamo il prevalere  di teorie transumaniste e postumaniste. Su quello religioso,  la confusione del linguaggio teologico con quello informatico.  Nella ricerca storica, assumono un peso sempre più determinante la genetica storica e le simulazioni digitali. La geopolitica è dominata dai diversi sistemi di  cyberguerra, e la cultura dai social, dagli e.book, dagli eventi online. La società è incardinata sull’ economia digitale, mentre, con l’ Internet delle Cose, la rete collega l’intero universo materiale, senza più l’intervento dell’ uomo.

Il potere di chi controlla questi complessi meccanismi non può che accrescersi. Infatti, l’informatica finisce per divenire lo snodo principale della cultura, della politica e dell’ economia, con le imprese digitali che fungono da “gatekeepers”. Le nuove tecnologie vengono sviluppate insieme alle forze armate, con cui si stabilisce una forma di simbiosi, e vengono applicate prima dall’industria della difesa, poi in quella civile. I detentori delle tecnologie informatiche divengono così i partners necessari di Governi e imprese commerciali. Grazie a questa simbiosi, essi sviluppano servizi in rete che poi vendono direttamente al pubblico, creando dipendenze e canali di comunicazione alternativi.  Con ciò, essi condizionano politica, finanza e intelligence. I flussi  di cassa legati alle commesse pubbliche, ai beni strumentali e di consumo e alla pubblicità permettono di controllare interi settori economici e sociali, come per esempio la finanza, il commercio, l’editoria, le elezioni…, in un regime di vero e proprio monopolio (Morozov, Zuboff). I molti che si erano spesi così tanto contro i monopoli della RAI e dell’ ENEL se ne stanno ben zitti, e giungono perfino ad esaltare i monopoli dei GAFAM come una “vittoria del mercato”.

Organizzazioni sociali con un siffatto potere non si erano mai viste nella storia, sicché le disposizioni esistenti circa il monopolio statale della forza, il pluralismo delle idee, la tutela della concorrenza e la fiscalità, nate circa un secolo fa ed esaltate come il baluardo delle libertà democratiche, risultano ormai di fatto inapplicabili. Il “mainstream” occidentale appare percorso da una “hidden agenda” che, mentre pubblizza la libertà e la pace, in realtà persegue l’omologazione e l’imposizione.

Le informazioni disponibili attraverso la rete sono più preziose per la difesa nazionale di quelle dei servizi segreti; esse possono essere raccolte aggirando le normative sulla privacy; le informazioni così diffuse dalla rete hanno un impatto, sulla psicologia delle masse, sulle elezioni e sulle strategie d’impresa, ben superiore a quello di stampa, televisione e marketing. Ciascuno dei GAFAM controlla integralmente, senza concorrenza, il proprio  segmento dell’economia (chi la rete fisica, chi il web,chi il cloud, software, chi i big data, chi l’ e.commerce, chi i social networks..), e li usa per espandersi in settori paralleli (veicolistica, trasporti, bioingegneria, spazio…). L’informatica permette di gestire scenari di guerre nucleari di sterminio della durata di pochi minuti, sostituendo così Parlamenti, servizi segreti, Capi di Stato, Stati Maggiori a proposito del potere estremo della politica.

Di fronte a queste modalità operative inaudite divengono inefficaci le disposizioni costituzionali sullo stato di guerra, sull’ inviolabilità della corrispondenza, sul controllo sulla stampa, sull’ antitrust, sull’equità fiscale…, ma ancor più le tradizionali libertà costituzionali: di pensiero, di espressione, di partecipazione politica, d’intrapresa. Questo è il motivo di fondo per cui tutti gli Stati si sono già trasformati in “democrazie illiberali”, indipendentemente dalla loro storia e dall’ ideologia professata. Il dominio del Politically Correct e della Cancel Culture non sono altro che l’espressione sovrastrutturale della Società del Controllo Totale, in quanto lo stato di guerra nucleare potenziale indotto dallo “Hair Trigger Alert” e dal “Dead Hand” digitale impongono il controllo totale della società da parte dei servizi segreti. Alla fine del suo mandato, il Presidente Eisenhower aveva denunziato alla Nazione il pericolo costituito dal “Complesso Burocratico-Militare”, quell’ insieme di poteri economici, politici, militari, spionistici, ideologici e industriali rafforzatisi a dismisura durante la IIa Guerra Mondiale, e che avrebbero portato al maccartismo. Oggi siamo di fronte a una riedizione esponenziale di quel Complesso Burocratico-Militare, che ho battezzato “Complesso Informatico-Militare”,perché, nella forma promossa da Eric Schmidt, il collante non è più l’industria della difesa (la Lockheed), bensì quella digitale.

In effetti, l’aspirazione neppure tanto nascosta della tradizione immanentistica a cui si ispira l’attuale ”Occidente” (mazdeismo, manicheismo, averroismo latino, idealismo, marxismo, attualismo, bogograditel’svo), era sempre stata quella di fare delle persone degli organi dell’Intelletto Collettivo (cfr. Slavoj Zizek, supra).Gli sviluppi attesi prossimamente sono la trasformazione degl’individui in cyborg collegati in rete, la convivenza con ogni tipo di automi e di altri soggetti artificiali autonomi, la censura e manipolazione automatica delle comunicazioni, il passaggio dalle elezioni ai sondaggi online, il monopolio dei GAFAM sul trasporto spaziale..Seguiranno l’integrazione totale delle reti dei Paesi Occidentali, lo svincolo delle stesse dai controlli statali, l’uploading nel cloud delle identità umane. A quel punto, sarà finita non soltanto ogni forma politica costituzionale (sia essa liberale, democratica, socialista o totalitaria), bensì la stessa antropologia umana quale noi la conosciamo.

Tutto ciò è semplicemente l’antitesi di quanto la Presidente von der Leyen ha sintetizzato, nel Discorso sullo Stato dell’ Unione 2021, come l’”Anima dell’ Europa”:“Volevano libertà di parola e media indipendenti. Volevano porre fine alla delazione e allo spionaggio di Stato e combattere la corruzione. Volevano la libertà di essere diversi dalla maggioranza. In altre parole, come ha sottolineato l’ex presidente ceco Vaclav Havel, volevano tutti questi ‘straordinari valori europei’. Sono quei valori che hanno le loro radici nell’eredità culturale, religiosa e umanistica dell’Europa. Fanno parte della nostra anima, sono parte di ciò che siamo oggi. Questi valori sono sanciti nei nostri trattati europei. E ci siamo tutti impegnati a rispettarli nel momento in cui, come Stati liberi e sovrani, siamo entrati a far parte dell’Unione. Abbiamo deciso di difendere questi diritti e il nostro impegno”.In realtà, le Istituzioni, nonostante i loro buoni propositi, non stanno facendo nulla per arginare la Società del Controllo Totale, quando non ne agevolano lo sviluppo. Infatti, purtroppo,  le rendite di posizione dei GAFAM hanno  dato loro una tale forza, ch’essi s’impongono automaticamente alla politica, per esempio attraverso la diffusione capillare dell’ Ideologia Californiana”, l’isolamento dei contestatori come Bill Joy, il dirottamento dei fondi pubblici, come con il Progetto Brain, l’outsourcing di funzioni pubbliche come il funzionamento di istituzioni europee e di Ministeri, ma, soprattutto, una lobby martellante che impedisce l’adozione di qualunque normativa che possa limitare il loro arbitrio.

Tutto ciò senza che cessi la retorica pseudo-liberista, secondo cui l’assenza di regole sul web testimonierebbe della grande libertà di cui godrebbero i cittadini.

E’ in corso la competizione USA-Cina sulle tecnologie

2.Il movimento normativo a favore della privacy

Non che non sia esistito quasi fin dall’ inizio, e non esista ora, un ampio movimento normativo per la regolamentazione dell’informatica, né paralleli trends in favore del divieto dei monopoli, e della tassazione delle operazioni commerciali internazionali. Anzi, buona parte di queste normative sono nate proprio negli Stati Uniti, e gli altri Paesi “occidentali”, in primo luogo l’ Unione Europea, avevano dovuto adottarli nel secolo scorso anche per effetto di un generale processo di americanizzazione del mondo avviato con la “rieducazione” di Germania e Giappone.

La Corte Suprema degli Stati Uniti aveva derivato  il diritto alla privacy  dal 1°, 3°, 4° e 5° emendamento alla Costituzione, e il Giudice Brandeis aveva pubblicato già nel 1880, sul Law Review , l’articolo “Right to Privacy”, cercando to“consider whether the existing law affords a principle which can properly be invoked to protect the privacy of the individual.”Nel 1917, era stata adottato il “Ruling on Protection of Sealed Mail”, a tutela del segreto epistolare. Tuttavia, nel secondo decennio del ‘900, l’ FBI , nelle sue indagini sull’estremismo politico, sorvegliando e leggendo la corrispondenza delle persone sospette, ma, quando aveva richiesto ufficialmente di poterlo fare il Giudice Lamar aveva negato il proprio consenso.

Nel 1995, l’Unione Europea aveva adottato a sua volta la sua Direttiva sulla Protezione dei Dati, e, nel 2018, il Regolamento sulla Protezione Generale dei Dati, che assoggetta tutt’ora a molte limitazioni il trasferimento dei dati dei cittadini europei, vietando, in particolare, ch’ essi possano fare oggetto di ri-trasferimento non autorizzato, di accesso da parte delle Autorità o di trasferimento in Paesi che non permettano le stesse garanzie. Negli ultimi anni, alcuni Stati americani, l’Inghilterra,  il Brasile, l’ India e altri Stati hanno adottato norme simili a quelle europee, cosa che aveva fatto affermare ai vertici dell’Unione che tutto il mondo stava seguendo l’esempio dell’ Unione Europea (non più quello dell’ America), cosa che, come vedremo, è vera solo parzialmente.

I GAFAM hanno una posizione dominante a livello mondiale

3.Altre norme giuridiche applicabili ai giganti del web

Si suole affermare che ciò è illegale nel mondo reale dovrebbe essere illegale anche nel web.Di conseguenza, i giganti del web sarebbero  soggetti, come tutte le altre imprese, alle normative antitrust, fiscale, di sicurezza, sulle comunicazioni e sulla fede pubblica. Anche queste normative erano nate in molti casi negli Stati Uniti, e, poi, esportate in Europa. E’ il caso, in particolare, dell’ “antitrust”, introdotto negli Stati Uniti addirittura nel 1890 (Sherman Act), e attuato rigorosamente all’ inizio  del 1900 (casi Northern Securities Company, American Tobacco Company, Standard Oil AT&T).

In effetti, anche ora le autorità di tutti i Paesi hanno avviato azioni contro i GAFAM per la violazione dei principi di tutti questi corpi di diritto, ma la capacità di questi interventi repressivi di contenere  il potere dominante dei GAFAM è risultata irrisoria. Tutti i GAFAM sono stati accusati infatti, di volta in volta, dalla FTC americana, dalla Commissione Europea e dall’ Autorità Antitrust italiana, di abuso di potere dominante; una tassazione dei redditi delle società digitali è in discussione da decenni in tutto il mondo; i GAFAM sono stati accusati allo stesso tempo di  violare le norme di sicurezza americane e di agevolare lo spionaggio americano in Europa; si sta cercando di responsabilizzare i GAFAM per i contenuti  illegali veicolati dai social, come pure per la diffusione di notizie false e tendenziose (“fake news”).

In nessuno di questi campi si sono ottenuti risultati concreti, innanzitutto  perché fino ad ora si è tentato di estendere per analogia ai comportamenti dei GAFAM misure repressive nate per colpire altri tipi di abuso e aventi una  struttura differente, ma poi anche per l’eccezionale capacità di lobby dei GAFAM. Il comportamento concreto dell’ antitrust americano, della Commissione Europea, dei legislatori nazionali e dei vari garanti della privacy dimostra inequivocabilmente che tutte queste forme di repressione sono interpretate dalle Autorità stesse come meri specchietti per le allodole per l’opinione pubblica (Morozov), mentre in realtà si vuole mantenere ed accrescere il potere dominante dei GAFAM quale ultimo baluardo del potere occidentale in un momento di crisi della sua ideologia, della sua economia, della sua forza militare e della sua credibilità diplomatica.

IL Complesso Informatico-Militare è la sintesi di tutte le distopie

4.I GAFAM e l’ “America-Mondo” (cfr.Antonio Valladao, Il XXI secolo sarà americano)

Da quando, con la caduta del Muro di Berlino, gli Stati Uniti avevano avuto l’illusione di essere divenuti “la sola superpotenza”, vi era stata una progressiva identificazione la fra politica americana e i GAFAM, in  quanto, come teorizzato da Eric Schmidt, avrebbe dovuto sostituire la Lockheed quale guida dell’ America alla conquista del mondo. Infatti, alla Guerra Fredda si stava sostituendo la “globalizzazione”, nella quale, sotto il pretesto della liberalizzazione, si sarebbe dovuto estendere ovunque il “soft power” americano, che, dell’ informatica, avrebbe fatto il “passe-partout” per inserirsi, in modo apparentemente “asettico”, nei nodi vitali di tutte le società del mondo.  

Nasceva così l’idea (espressa senza mezzi termini, per esempio, da Casaleggio), di una democrazia diretta digitale come forma di eliminazione delle differenze (“uno vale uno”), e, quindi, di rafforzamento del potere occulto della “società dell’ 1%”. Vedendo dunque l’informatica come uno strumento essenziale della politica estera degli USA, le autorità americane avevano cominciato a ignorare sistematicamente tutti i principi costituzionali o di legge (di libertà, antitrust, tassazione) tradizionali della cultura americana, ma oramai capaci d’indebolire la loro presa imperiale sul mondo,  sviluppando anzi, sotto il pretesto della lotta al terrorismo, tutta una serie di attività, legislative e tecniche, in stridente contrasto con i succitati valori, volte a realizzare il controllo totale di tutte le comunicazioni a livello mondiale, cominciando dal Patriot Act e dal CLOUD Act per passare all’hackeraggio di tutte le reti mondiali e all’ ascolto di tutte le conversazioni degli organi governativi stranieri e delle Istituzioni europee, come documentato fino nei minimi dettagli da Assange e da Snowden.

Tutto questo in cooperazione totale con gli altri Paesi anglofoni, e con una cooperazione asimmetrica e riluttante con gli Stati Europei, che ancora continua ed è la ragione vera della mancanza di politiche europee credibili di sovranità, e, in particolare, di sovranità digitale.

L’industria digitale europea è stata boicottata fin dal nascere

4.Il fallimento dell’Europa quale “Trendsetter del dibattito globale”.

Per reazione contro queste attività americane e alle rivelazioni di Assange e di Snowden, l’ Unione Europea aveva intrapreso un’azione minuziosa di carattere legislativo, ch’essa pretendeva avere addirittura  un carattere esemplare a livello mondiale (qualificandola come “Trendsetter of the Worldwide Debate”), ma con un grave handicap: la loro totale ineffettività.

Infatti:

1)le normative europee sul digitale si riferiscono ad un’attività (il web) svolta in tutto il mondo occidentale, e anche in Europa, esclusivamente dai GAFAM, che hanno sede negli Stati Uniti e sono soggetti alla legislazione militare americana, che garantisce alla “comunità dell’ intelligence” la piena disponibilità dei dati degli Americani e degli stranieri;

2)gli Stati Uniti hanno ribadito all’ infinito la loro indisponibilità a derogare alla loro legislazione in materia d’intelligence e di non rinunziare in alcun modo a spiare gli Europei e le loro autorità;

3)gli Europei sono totalmente dipendenti tecnicamente dai GAFAM dal punto di vista tecnico, che le stesse Istituzioni europee hanno delegato da sempre alla Microsoft tutte le loro attività informatiche, cosa che rende assurda ed ipocrita la retorica dell’ “indipendenza digitale e strategica” dell’ Europa;

4)nonostante che la Corte di Giustizia abbia reiteratamente dichiarato che l’attuale trasferimento in America di tutti i dati degli Europei è illegale (sentenze Schrems), la Commissione, le imprese e gli Stati continuano ad effettuarlo, senza incorrere in alcuna sanzione;

5)gli abusi dei GAFAM sono quindi come quelli della mafia: le Autorità fingono di darsi un gran daffare contro di essi, ma, in realtà, non hanno fatto neppure il minimo passo in avanti sulla strada della soluzione del problema.

Se le Istituzioni credono davvero nella “sovranità digitale europea”, debbono risolvere immediatamente i loro contratti con la Microsoft, affidando le loro attività digitali a soggetti, pubblici o privati, europei, capaci di svolgere queste semplici attività (basti pensare agli appositi servizi delle Forze Armate), e attuare rigorosamente le due Sentenze Schrems. Il fatto che, contrariamente a quanto falsamente comunicato dai Media, la Presidente von der Leyen abbia accennato, nel Discorso sullo Stato dell’ Unione, per potenziare la difesa europea, non già a un’Intelligence Europea, bensì solo a un possibile “Centro comune di conoscenza situazionale”, la dice lunga sulla sincerità della pretesa intenzione di sganciarsi dagli USA: “Se gli Stati membri attivi nella stessa regione non condividono le loro informazioni a livello europeo, siamo destinati a fallire. È essenziale quindi migliorare la cooperazione in materia di intelligence; non si tratta solo di intelligence in senso stretto, ma della necessità di accorpare le conoscenze provenienti da tutti i servizi e da tutte le fonti, dallo spazio ai formatori del personale di polizia, dall’open source alle agenzie di sviluppo. Dal loro lavoro scaturisce un patrimonio dalla portata e profondità uniche: esiste già, ma possiamo usarlo per prendere decisioni informate solo se disponiamo di un quadro completo della situazione. Al momento non è così. Abbiamo le conoscenze, ma separate. Le informazioni sono frammentarie. Per questo motivo l’UE potrebbe prendere in considerazione la creazione di un proprio ‘Centro comune di conoscenza situazionale’ per accorpare tutte le diverse informazioni”.Inoltre, la Presidentessa si è guardata bene, nel Discorso sullo Stato dell’ Unione, dal citare lo slogan dellasovranità digitale europea (che, del resto, è un calco linguistico sul cinese 数字主权, di cui non possiede certo la concretezza). Questo significa che, in pratica l’intelligence deve restare monopolio americano.

Ma c’è di più:la “Digital Decade” (2020-2030) a cui si riferisce il “Digital Compass” è sostanzialmente vuota. Mentre la Cina e gli Stati Uniti competono per il predominio in tutti i settori delle tecnologie ICT (motori di ricerca, AI, cloud, big data, quantum computing, veicoli intelligenti, IoT), l’Unione si limita a fissare obiettivi generici e non qualitativi, e a scrivere procedure di riunioni: insomma, i soliti “ludi cartacei”

Il Sogno Cinese

5.La nascita dei BATX e la “Balcanizzazione del web”

Contro l’applicazione delle norme europee, e, in particolare, delle Sentenze Schrems, la retorica dei GAFAM insiste da almeno 20 anni sul fatto che la cosiddetta “balcanizzazione del web” (cioè la creazione di ecosistemi digitali concorrenziali fra di loro (come accade in tutti gli altri settori dell’ economia, anche molto simili, come l’aerospaziale), sminuirebbe i potenziali innovativi del web, perché solo ingenti risorse finanziarie permettono la ricerca e sviluppo delle nuove tecnologie digitali.

A prescindere dal dubbio sul fatto che lo sviluppo del web, e, in particolare, questo sviluppo del web trainato dai GAFAM, abbia effettivamente aspetti positivi eccedenti gli svantaggi, resta il fatto che vi è da chiedersi perché mai le ingenti risorse richieste per questo sviluppo debbano essere gestite dai GAFAM in regime di monopolio, piuttosto che da Enti pubblici (come il DARPA che ha sostenuto i GAFAM al loro inizio, oppure l’ Esercito Europeo) .

In realtà, la cosiddetta “balcanizzazione del web” non porterebbe ad altro che a una pluralità di attori nell’ arena, prima che economica, culturale, politica e militare, ricostituendo quelle condizioni di libertà che solo il pluralismo può garantire. Invece, la creazione di un gruppo di monopoli americani, collegati fra loro da legami territoriali, politici, culturali e familiari, e strettamente interconnessi, fra di loro e con l’ “Intelligence Community” costituisce l’esempio più estremo di Stato totalitario mondiale.

D’altro canto, la nascita in Cina, nel corso di questo secolo,  di un completo ecosistema digitale  alternativo ha costituito la smentita più plateale della narrativa dei GAFAM. Anche senza i GAFAM e il loro monopolio, vi sono dunque risorse disponibili, non solo per fare nascere altri giganti del web, ma addirittura per renderli ancor più innovativi dei GAFAM, come dimostra l’attuale trend dei GAFAM stessi di copiare i BATX cinesi.

Così stando le cose, la propaganda dei GAFAM, rilanciata dalla pubblicistica “mainstream”, ha ora cambiato tattica. Essa afferma ora che, sì, è vero, i BATX sono molto efficienti, ma, essendo la longa manus del Partito Comunista Cinese, sono oppressivi e illiberali. Le recentissime misure per restringere le pratiche abusive dei BATX dimostrano invece che i tradizionali strumenti “liberali” per il controllo del potere dominante dei monopoli del web funzionano in Cina e non in Occidente, mentre invece il dibattito più recente (Rampini, L’Economist) dimostra che l’Occidente sta copiando a piene mani dalla Cina, e che tanto la destra quanto la sinistra occidentali stanno divenendo “illiberali”.

L’impero dei Zhou orientali

6.La ristrutturazione della legislazione cinese: clonazione e inveramento della legislazione europea

Dieci anni fa, si sarebbe potuto credere che il progetto della “Googleization of the World” ( la realizzazione della Singularity di Kurzweil grazie alla guida globale americana trainata dal web) si sarebbe potuta realizzare rapidamente, a causa dell’ inesistenza di qualsivoglia alternativa sostanziale. Basti pensare ai casi Echelon e Prism, e alle scadenze ravvicinate poste, da Kurzweil, alla realizzazione della Singularity (presumibilmente, per bruciare sul tempo i possibili concorrenti).

Tuttavia, proprio in quel periodo si era incominciato a parlare del web cinese, con le sue imprese Baidu, Alibaba, Ant, Tencent, Huawei, GTE (i “BATX”), le sole in grado di fare concorrenza ai GAFAM. Huawei era stata fondata nel 1987, Alibaba nel 1999 e Baidu nel 2000. Viste inizialmente solo come un sottoprodotto del “Great Chinese Firewall”, queste iniziative avevano, allora, quote di mercato piuttosto modeste. Tuttavia, le loro potenzialità di mercato erano già allora infinite, perché, da un lato, il pubblico cinese degl’internauti superava già allora quello americano, e, dall’ altro, le crescenti difficoltà dei GAFAM con le regolamentazioni e con il mercato cinesi,  facevano pensare a un rallentamento dell’ invasione digitale della Cina.

E, di fatto, le multinazionali cinesi del Web, seppure in concorrenza fra di loro, hanno conquistato in pochi anni la maggior parte del mercato cinese, riducendo a poca cosa la presenza dei giganti americani e iniziando ad espandersi all’ estero.Gli ultimi anni ci hanno permesso di assistere alle spettacolari performances, tecniche, commerciali e finanziarie, dei colossi cinesi: Alibaba, Huawei, GTE, TikTok, Wechat…, con il risultato, ben descritto da Forbes, ch’esse si stanno ora rivolgendo ai mercati esteri.A quel punto, si sono levate le voci di coloro che vogliono “frenare la politica predatrice dei Cinesi” con divieti, contingentamenti, ostracismi, in netto contrasto con la politica liberistica predicata (ma mai attuata) dagli Occidentali. Si accusano proprio i Cinesi di concorrenza sleale, come  se gli esorbitanti poteri dei GAFAM non derivassero dai soldi del DARPA e dal boicottaggio dei new entrants europei, quindi da un secolo di politiche protezionistiche e mercantilistiche americane, a cui gli altri soggetti mondiali possono rispondere solo con corrispondenti contromisure.

Di fatto, la guerra commerciale contro la Cina si è rivelata un boomerang almeno quanto quella militare contro l’Afghanistan. Se Huawei si è un po’ fermata, sono apparsi nuovi, ancor più aggressivi, marchi cinesi, come Oppo e Xiaomi; il contingentamento dei materiali strategici ha portato alla scarsità dei semiconduttori, che, a sua volta, ha prodotto una moria generalizzata di fabbriche in Occidente (com’è successo a Melfi e Pomigliano).

Così, in seguito alla reazione alla pandemia, miracolosa in Cina e catastrofica negli Stati Uniti, che detengono il record mondiale di morti di Covid, la Cina è divenuta, di fatto, un modello a cui tutti (a cominciare dagli USA) si ispirano, come spiega brillantemente Rampini nel suo ultimo libro. La Cina è oramai il Paese nettamente più avanzato nel mondo per ciò che concerne la transizione digitale ed ecologica, sicché si trova ad affrontare per primo problemi nuovi, come l’organizzazione di un enorme mercato interno con colossali conglomerati digitali, quali non hanno neppure gli USA. Basti pensare che il conglomerato Alibaba-Ant-Alipay gestisce pagamenti e prestiti digitali per un importo superiore all’ intero PIL della stessa Cina.

In tal modo, con l’abilità che le è unanimemente riconosciuta nel campo della “rivalità mimetica” (Toynbee, Girard), la Cina, dopo aver clonato, coi Taiping, il Cristianesimo; con il Kuomingtang, il nazionalismo; con Mao, il marxismo;  con Deng Xiaoping, l’America, ora, con Xi Jinping,  sta clonando la legislazione digitale europea, non già come essa è – cioè, come abbiamo visto, sostanzialmente inattuata-, bensì com’ essa pretenderebbe di essere, vale a dire il “Trendsetter of the Global Debate”. Questa “clonazione” è stata avviata una decina di anni fa, con il concetto di “Sogno Cinese” (中國夢)tratto dallo Shijing (2012) e  ricalcato sul “Sogno Europeo” coniato da Jeremy Rifkin (2005), il quale, a sua volta, voleva espressamente rifarsi al “Sogno Americano” (che, per Rifkin, sarebbe stato incarnato dalla cultura del West, e, in particolare, dalla California del ‘68).In sostanza, Rifkin (un Americano consulente dell’ Unione Europea) ipotizzava una sorta di “translatio imperii” del progressismo mondiale, dall’ ideologia californiana all’economia sociale di mercato europea.

L’idea del “Sogno Cinese” sarebbe che il “socialismo con caratteristiche cinesi” avrebbe potuto eguagliare le prestazioni del “welfare State” europeo. In realtà, il significato originario del termine riandava all’ identificazione confuciana del Datong con la Dinastia Zhou (poesia “quella primavera”). Oggi, quando i limiti  del modello europeo sono sotto gli occhi di tutti, la Cina vuole forse dimostrare la sua capacità di realizzare le promesse non mantenute dall’ Europa.

A parte il fatto che la Cina sta rendendo possibile anche la realizzazione dei progetti più avanzati della scienza e dell’imprenditoria europee soffocati dall’ angustia di nostri Stati e dei nostri mercati e dalla tutela americana (vedi i casi dell’ industria automobilistica tedesca e degli studiosi austriaci dei computer quantici), essa ha sta anche imitando con una rapidità pazzesca l’intero pacchetto della legislazione tecnologica europea, de iure condito e, soprattutto, de iure condendo. Occorre, a questo proposito, ricordare che l’Unione Europea è innanzitutto un incredibile deposito di progetti inattuati. Nata da un millenario progetto incompiuto, l’integrazione ha ereditato, di secolo in secolo, e, poi, di generazione in generazione, una massa sempre crescente di progetti incompiuti (spesso segreti o comunque riservati): il “De Recuperanda Terra Sancta”, il Trattato di Podiebrad, il Gran Dessin di Sully, il Projet di Saint Pierre e quello di Thierry, la versione russa della Santa Alleanza, Paneuropa, la costituzione italiana ed europea di Galimberti, la Dichiarazione di Ventotene, i vari progetti poi bocciati di costituzione europea e di campioni europei…

La Cina ha semplicemente messo insieme tutti i progetti europei inattuati nei settori tecnologici e li sta realizzando nel corso di un paio di anni. A titolo di curiosità, ricordo anche che, quando Rousseau aveva sottoposto a tutti i sovrani ed intellettuali il progetto di Saint-Pierre, tanto Leibniz, quanto Voltaire avevano risposto, in sostanza, che l’Europa avrebbe dovuto “copiare” la Cina (Leibniz, Novissima Sinica; Voltaire, Rescrit de l’ Empereur de la Chine).

Come base di partenza, la Cina ha adottato un codice civile e uno della proprietà intellettuale di tipo europeo. Inoltre ha concordato con il vertice europeo un Trattato UE-Cina per la protezione reciproca degl’investimenti, congelato immediatamente dopo su richiesta di Biden.  Poi, sta applicando già fin d’ora a tempo di corsa non solo questo trattato ancora sub judice, ma anche  i principi di diritto fiscale, della privacy, sulla sicurezza e sui mercati finanziari che l’Europa stava cercando di approvare ed attuare da decenni, senz’alcun  risultato, e che, per la piccola parte già adottata, non vengono però attuati.

Last but not least, essa ha attuato, contro ANT, la filiale di Alibaba che domina il mercato cinese dei pagamenti digitali, quella misura che tutti da decenni hanno inutilmente invocato in America e in Europa contro i GAFAM: l’”Unbundling”, vare a dire lo “spezzatino”, creando una pluralità d’imprese più piccole, in concorrenza fra di loro e con i terzi. Si noti che questa misura era stata ideata ed attuata in America fin dall’ Ottocento (Sherman Act), ma la politica americana si è sempre guardata bene dall’ applicarla ai GAFAM, con il pretesto che, ciò facendo, si sarebbe “fatto un regalo ai Cinesi”. Ora è chiaro che i Cinesi non hanno bisogno di questo “regalo”, perché, in Cina , la pluralità del web esiste, e questo dà ai suoi cittadini una libertà che gli Occidentali non hanno.

Certo, non si tratta ancora dello “spezzatino” a cui pensiamo noi per il mercato “europeo”, dove il monopolio dei GAFAM si tramuta in una vera e propria forma di colonialismo americano, con cui agli Europei viene praticamente impedito di creare imprese informatiche. Lo “spezzatino” di cui avremmo bisogno consisterebbe nel rimpicciolire i giganti americani per permettere ai new entrants di altri Paesi di occupare spazi di mercato, e per rendere le nostre Autorità meno dipendenti da essi. Si tratta comunque di un utile sasso nello stagno, che, o provocherà reazioni a catena, o comunque aumenterà l’appetibilità del sistema cinese e l’accettabilità all’estero dei BATX opportunamente ridimensionati, sempre utili alternative ai GAFAM.

Più in generale, la corsa normativa del Governo Cinese (che segue quella dell’ Unione dalla fine del 2019 alla primavera 2021) risponde all’ esigenza di dimostrare nei fatti che il suo sistema è meno “illiberale” di quello americano e realizza in concreto le esigenze di libertà e di trasparenza che l’Unione Europea ambirebbe a perseguire, ma che invece non persegue affatto perché impedita dalla tutela americana. Il “Trendsetter of the Global Debate” risulta  così essere oggi a tutti gli effetti la Cina, che diventa più che mai un partner obbligato dell’ Unione nell’ ambito del necessario dialogo internazionale sulla regolamentazione del Web.Le imprese cinesi potrebbero anche rappresentare partners fondamentali per cquelle europee per crescere, affrancandosi da quelle americane.

La tomba degl’imperatori Zhou a Luoyang: “Ho sognato la capitale dei Zhou”

7.Per un ecosistema digitale umanistico, poliedrico e multiculturale

L’unico modo in cui i GAFAM e i BATX potranno convivere proficuamente sul mercato mondiale del digitale è che tutti i Paesi attuino e applichino seriamente misure contro il monopolio dell’ecosistema digitale.

Le moderne tecnologie permettono perfettamente di ottenere i risultati perseguiti (privacy dei dati, accessi possibili a pagamento o per motivi di ordine pubblico), separando le diverse funzioni (abbonamenti al web, cessione di dati, accessi nell’ ambito di procedure pubbliche). Gli Stati e l’ Unione debbono poter controllare il rispetto di tali regole, nello stesso modo in cui possono controllare l’accesso alla telefonia fissa, agli abbonamenti televisivi o alle intercettazioni da parte della polizia.

Le imprese di tutti i Paesi devono poter competere senza posizioni dominanti, e gli Stati debbono supplire alle “market failures”, come quella dell’ industria digitale europea, con imprese di Stato, agevolazioni fiscali ai new entrants, preferenze nazionali, ecc…

Quello che proponiamo nell’ ambito della Conferenza sul Futuro dell’ Europa è dunque che:

1)si svolga un dibattito a tutto tondo su digitale e società, come quello che stiamo organizzando all’ interno del Salone del Libro di Torino;

2)si studi adeguatamente il problema;

3)si crei l’Agenzia Tecnologica Europea;

4)Si renda operativa la Web Tax (già approvata da anni);

5)si vieti definitivamente l’esportazione dei dati fuori dell’ Unione (attuando finalmente le sentenze Schrems);

6)si negozi una disciplina mondiale del web;

7)si creino dei campioni europei “forti” (non delle semplici “alleanze”);

8)si ponga al centro della Politica Estera e di Difesa l’autonomia digitale dell’ Europa dagli Stati Uniti, secondo il vecchio modello “tous azimuts”;

9)Si crei, non già un anodino “centro di conoscenze situazionali”, bensì una vera “intelligence europea”.

SE IL LAVORO NON CONTA PIU’

GRAFIK Börsenkurse der Woche / KW 2/2019 / Produktion

 Recessione in Germania

di fronte al crollo dell’economia, uno Statuto dei Lavoratori europeo

Finalmente, anche nella pubblicistica mainstream si sta facendo strada la verità sulla crisi senza ritorno del nostro sistema produttivo, nonché sulle performances deludenti anche del sistema europeo, con l’esclusione, forse, dei Paesi di Visegrad.

Cito come esempio l’articolo pubblicato da Massimo Giannini su “La Repubblica” di Venerdì 25 ottobre, intitolato “Se il lavoro non conta più”. L’autore riporta giustamente una sfilza impressionante di dati sull’interminabile crisi italiana: 82.000 famiglie mese sul lastrico dalle decisioni sull’ ILVA, 18 milioni di ore lavorate in meno rispetto al 2008, 50.000 disoccupati “avviati al lavoro” con il reddito di cittadinanza, su 982.000 richiedenti (che comunque sono solo una parte infinitesimale dei disoccupati).

Cita anche (implicitamente criticandola) l’idea lanciata  dal CNEL, di un nuovo Statuto dei Lavoratori.

Quanto alla situazione piemontese, ricordo invece l’articolo, sempre su “La Repubblica”, ma di sabato, di Salvatore Tropea, intitolato “Se il Piemonte diventa un pezzo del Sud depresso”, che cita, come casi emblematici di una totale incuria della politica, quelli di Embraco, Comital, Mahle, Pernigotti, Olisistyem, Lear, Blutec e della stessa  FCA

1.Ma come creare nuovo lavoro?

Tuttavia, quello che né Giannini, né Tropea (ma neanche nessun altro), dicono è come si dovrebbe fare per arginare la disoccupazione, quando, come oggi, non c’è, in Italia, alcun’ attività (salvo la droga, la prostituzione e le tangenti) che sia veramente redditizia, e, di conseguenza, nessuno che intenda investire nelle imprese italiane, siano esse delle pizzerie o delle fabbriche di missili, salvo i Cinesi, che, però, vengono rifiutati perché accusati di farlo con oscure motivazioni politiche.

Perfino gli Americani, i Russi, gl’Indiani, i Francesi, i Tedeschi e gl’Israeliani, che avevano fatto qualche timido tentativo negli anni passati, si stanno sfilando. Qui non c’è, né il potere, né un ceto imprenditoriale potente, né lo Stato partner e imprenditore, né la demografia, né il mercato. A chi vendere? Come conquistare i mercati mondiali? Come difendersi dalle ingerenze straniere?

In effetti, se i nuovi posti di lavoro “buoni” si creano tutti in Cina, nei Paesi in via di sviluppo, in Europa Orientale o, al massimo, in America, è proprio perché la creazione di nuove “vere” imprese è un compito eminentemente politico, che presuppone una politica di difesa degl’interessi nazionali. Le nuove aziende sono nate nei “garages” solo  perché sostenute dal DARPA, espressione del Pentagono, o dal Partito Comunista Cinese. Indosuez è nata come banca d’emissione dell’Indocina francese, e la Volkswagen come un progetto personale di Hitler, finanziato con i soldi dei sindacati nazisti. Ma anche le imprese italiane, dalla FIAT all’IRI all’ENI, all’ ENEL, non sarebbero nate, né si sarebbero sviluppate, se non ci fossero state alla base solide motivazioni e azioni politiche: dal trasferimento a Firenze della capitale, alle guerre italo-turca e mondiale, alla crisi del ‘29, alla politica “Terra, Mare, Cielo”, alle Partecipazioni Statali, al Centro-sinistra. Anche la loro decadenza deriva da nuove e opposte politiche: l’integrazione europea ed euroatlantica, l’aiuto allo sviluppo, le delocalizzazioni, le privatizzazioni….

E, infatti, le imprese italiane, come la Olivetti, che non furono favorite, bensì osteggiate, dal potere politico, nacquero morte, proprio quando, per i grandi concorrenti internazionali come la IBM, si apriva un’epoca d’oro.

Orbene, se si capisce benissimo come faccia la Cina a creare ogni anno 50 milioni di nuovi posti di lavoro all’anno (cioè finanziando lo sviluppo accelerato di nuove tecnologie, di regioni periferiche e di Paesi amici, svalutando lo Yuan, costruendo nuove città prima ancora che esistano gli abitanti, forzando i nuovi consumi), e come faccia l’America (finanziando il militare, mettendo dazi e sanzioni, obbligando le imprese nazionali a rilocalizzarsi), non si capisce come possa creare nuovi posti di lavoro  un’ Europa che finanzia pochissimo le proprie nuove imprese, che difende (almeno fino ad oggi) il corso dell’ Euro anche quando gli altri svalutano, tassa pesantemente il patrimonio immobiliare e il lavoro, ma non le multinazionali del web, accetta tutte le imposizioni americane in materia tariffaria, doganale e tecnologica, non ha né“partecipazioni statali”, né un esercito comune,  e  neppure potere coercitivo sulle proprie imprese…

Soprattutto, come insdiste Evgeny Morozov, il cuore pulsante dell’ economia di un Paese non è più né la sua industria, né la sua finanza, bensì il suo ”ecosistema digitale”. E’ questo che raccoglie e coordina i dati, dirige la politica (vedi campagna di Obama, Casaleggio,Cambridge Analytics, Fake News…), gestisce le transazioni finanziarie, prende il controllo dei media e delle imprese, coopera con i servizi, garantisce l’allarme atomico, automatizza  e terziarizza i posti di lavoro, distrugge il commercio tradizionale, stravolge l’educazione e la security… Chi non controlla l’ecosistema digitale non controlla la propria economia, ed è quindi destinato a scivolare fra i paesi in via di sviluppo. Questo, e non altre risibili cause, come l’eccesso di burocrazia, o l’instabilità politica, o l’immigrazione, è la vera causa della interminabile crisi italòiana (ed europea)

Evgeny Morozov

  1. Questo destino di decrescita era prevedibile

Così, da 40 anni, si  continuano a spendere somme astronomiche per mantenere in piedi dei puri simulacri d’impresa, come per esempio l’ Embraco di Riva di Chieri che avevamo venduto 25 anni fa perché già allora non aveva prospettive (ed è passata dagli Americani, ai Brasiliani, agl’ Israeliani, senza alcun miglioramento, anzi, peggiorando costantemente), mentre, con gl’ importi erogati dallo Stato, si sarebbero potute creare nuove  imprese informatiche o spaziali, oppure finanziare il reinserimento di imprenditori, managers, tecnici e operai come finanzieri, commercianti, albergatori o  comunque operatori turistici, o addirittura un loro tentativo di ricollocarsi altrove. Si noti che, sul piano mondiale, il 5% dei nuovi posti di lavoro sono creati nel settore del turismo, che è tradizionalmente il fiore all’ occhiello dell’Italia, e in cui esistono enormi margini di miglioramento.

Avendo lavorato per 30 anni per l’industria italiana, e, in particolare, piemontese, posso testimoniare circa  il fatto che l’idea che quest’ultima non avesse futuro aleggiava fra i decisori, politici e soprattutto industriali, fino dagli anni ’70, come emerso dagli archivi dei servizi segreti americani e riportato da storici inglesi. Già dagl’ incontri durante la IIa Guerra Mondiale fra i vertici della FIAT e i ministeri economici americani era risultato evidente che l’Italia sconfitta avrebbe dovuto puntare su produzioni a basso valore aggiunto, basandosi sulla mano d’opera a basso costo resa disponibile dalla smobilitazione e dall’emigrazione. Per questo, già all’inizio degli anni ’70, era diffusa negli ambienti industriali l’opinione che, dopo l’“Autunno Caldo”,  occorresse smobilitare gl’investimenti industriali in Italia, che sarebbero divenuti non competitivi. Di qui la fuga di capitali e le vendite a tappeto di aziende: dalla Olivetti alla RIV, dalla Way Assauto al Nuovo Pignone, dalla Lancia all’ Alfa Romeo….

Le aziende venivano vendute soprattutto dalle proprietà familiari, che, in mancanza di compratori esteri, cedevano ai grandi gruppi, che subito dopo incominciavano subito a rivendere.

Anche le delocalizzazioni venivano fatte in uno spirito sbagliato. Anziché delocalizzare la produzione mantenendo il controllo (familiare, finanziario, politico, giuridico, manageriale, tecnologico), come prima cosa si spostava la sede all’ estero, per poter manovrare senza controlli, tanto lo Stato italiano forniva il proprio supporto ai gruppi estero-vestiti anche se non pagavano le tasse in Italia, né rispondevano politicamente al nostro governo. Basti pensare agli   stabilimenti già della Crvena Zastava in Serbia.

Così, filiere che erano squisitamente italiane, come l’auto, l’informatica,  i pneumatici, la moda, sono passate sotto controllo straniero, facendo perdere al nostro Paese i vantaggi derivanti dalla proprietà, dalla fiscalità, dalla cultura aziendale e di management….

Invece di contrastare queste tendenze, si è fatto ricorso al neo-malthusianesimo (diminuzione della natalità), grazie a cui, pur diminuendo il Prodotto Nazionale Lordo, aumenta il Reddito Pro Capite. Tuttavia, anche così non si può andare avanti all’ infinito, perché (i) si alimentano i conflitti etnici catalogati oggi come “populismo”e “xenofobia”; (ii)gl’immigrati assumono presto le stesse abitudini dei nazionali, oppure emigrano nuovamente (come sta accadendo), non dando comunque alcun contributo positivo all’ equilibrio demografico.

 

 

Mark Zuckerberg

4.Come contrastare questo declino?

Arrivati a questo punto, “risalire la china” è veramente difficile.

Intanto, occorre sgomberare il campo da un grande numero di falsi miti e di ideologie che hanno dominato il campo negli ultimi decenni.

L’alternativa non è fra un aprioristico industrialismo e una decrescita “a prescindere”. L’industria è stata da sempre solo una  fra le tante attività umane: ha conosciuto un incremento a metà del XX secolo, e ora sta stagnando, e trasferendosi in altri Paesi. Questa vicenda è influenzabile solo in parte, perché una parte di essa è ormai irreversibile. Inoltre, alla preoccupazione per l’industria nazionale, e perfino per l’economia, da sempre si sono affiancate, giustamente, altre preoccupazioni: quelle per la sopravvivenza della popolazione, per i valori di una civiltà, per la libertà e l’indipendenza nazionale, per uno sviluppo armonioso, per la continuità di una cultura, ecc…Oggi, ci sono anche e soprattutto quelle per l’avvento delle macchine intelligenti e per il surriscaldamento atmosferico.

Tutto ciò detto, se non difendiamo almeno un pezzo di economia europea, non avremo neppure più quel minimo di strumenti che servono alla sopravvivenza della nostra popolazione e della sua cultura, alla sua difesa e indipendenza. Si noti che, secondo qualificate stime internazionali, fra 10 anni nessun’economia europea sarà fra le prime 7 del mondo, e saremo scavalcati da Indonesia, Egitto e Brasile, senza parlare, ovviamente, di Russia e Turchia. A ciò si aggiunga che in tutte le società industrialmente avanzate si prevede un crollo (intorno al 50%) dei posti di lavoro per effetto della disoccupazione tecnologica nel giro dei prossimi 10 anni.

Nonostante quanto precede, l’ingente apparato esistente in Europa, non solo industriale, ma infrastrutturale (Stato, eserciti, servizi, trasporti) dovrà essere come minimo fatto funzionare, manutenuto e aggiornato; il livello di vita dovrà essere mantenuto a un livello comparabile con quello delle altre grandi aree del mondo; i nostri politici e i nostri tecnici dovranno potersi interfacciare dignitosamente là dove si discute del futuro dell’Umanità. Ciò comporterebbe  il mantenimento di un livello almeno minimo di natalità, di scolarizzazione, di organizzazione e di sviluppo. Inoltre, se vogliamo che il consenso politico non scenda al di sotto di un certo livello, con i bei risultati che si stanno vedendo in America Latina e in Medio Oriente, occorre anche che gli Europei possano almeno intravvedere una qualche prospettiva di sviluppo personale non in contrasto con le nostre tradizioni di civiltà.

Ma già solo per conseguire questi obiettivi minimi occorrerebbe una vera rivoluzione, che potrebbe essere portata avanti solo a livello europeo.

Thierry Breton

5.Le sfide scottanti della nuova Commissione

Le difficoltà con cui si sta pervenendo alla formazione della nuova Commissione dimostrano chiaramente  che anche la politica europea è molto titubante sul da farsi. L’enorme peso del dicastero riservato alla Francia “a prescindere” (in contrasto con la retorica dell’eguaglianza fra gli Stati membri), e la clamorosa bocciatura di un candidato “pesante” come Sylvie Goulard, dimostrano che impresa, tecnologia e digitale sono i campi in cui l’Europa potrebbe dimostrare la  propria utilità, oppure squalificarsi definitivamente.

La nuova candidatura francese, quella di  Thierry Breton, già ministro francese delle Finanze e presidente-amministratore delegato delle principali imprese tecnologiche francesi, dimostra che la Francia e l’Europa sono oramai costrette a gettare sul tavolo tutte le carte. Il pretesto usuale per non fare nulla, quello secondo cui non esisterebbero lobbies che spingano per la creazione di un’industria tecnologica europea autonoma, non può più reggere. Breton rappresenta giustamente, in modo diretto, le lobbies europee delle alte tecnologie (e sarebbe autolesionistico se gli Europarlamentari non dovessero accettarlo proprio per questo). Se neppure lui facesse qualcosa di decisivo per colmare il dislivello che ci separa dall’America e dalla Cina, vorrebbe dire che l’Europa ufficiale ha implicitamente accettato di essere eternamente al di fuori dei veri giochi della nuova economia, e così di avviarsi deliberatamente al sottosviluppo (appunto dietro all’India, all’Indonesia e all’Egitto).

Come, poi, un’eventuale, e auspicabile, azione dell’Europa nel settore delle nuove tecnologie  potrebbe aiutare l’Italia nella lotta alla disoccupazione è tutto da vedere. Infatti, in Italia si è consolidata nei decenni una retorica autodistruttiva secondo cui la politica deve occuparsi, per l’appunto,  delle lobbies già esistenti, e non di creare nuove formazioni sociali (come la Cina ha fatto con Baidu, Alibaba, Huawei e TikTok); sicché:  le imprese italiane dovrebbero rimanere in eterno dei “followers” di quelle americane; i laureati dovrebbero essere modesti e conformisti, non già avere l’ambizione di essere veramente classe dirigente; gl’imprenditori dovrebbero essere poco più che degli operai di successo, e i lavoratori dovrebbero restare più ignoranti possibili, per non fare ombra, né ai padroni, né ai sindacalisti. Con queste premesse, il problema della disoccupazione viene liquidato da tutti con la frase: “ciascuno può fare solo quel che sa fare”. Ma se è così, quando, come ora, l’economia mondiale cambia radicalmente, che facciamo? Ci mettiamo tutti in disoccupazione e pretendiamo tutti (politici, imprenditori, managers o lavoratori), un vitalizio, un sussidio o un reddito di cittadinanza? Non c’è la possibilità di imparare delle cose nuove? Come hanno fatto i Cinesi e gl’Indiani a trasformare in una sola generazione un miliardo di contadini in operai, commercianti, tecnici, managers, imprenditori, scienziati e finanzieri?

I “fondi europei” dovevano servire proprio a questo: a organizzare una colossale operazione per riconvertire (con i metodi “energici” propri di consorzi di guerra, di cui tanto Monnet quanto Hallstein erano degli esperti) l’enorme apparato carbosiderurgico ereditato dall’ Asse; per reinserire in altre funzioni, con i Fondi Sociali, la mano d’opera così resasi inutilizzabile, per reindustrializzare con i Fondi Strutturali le regioni depauperate dal calo programmato delle produzioni e dallo smantellamento delle “pseudo-economie” create dal sistema doganale.

Non basta oramai nemmeno l’”Industria 4.0”, oggi, quando i Paesi leaders del mondo si dedicano all’intelligenza artificiale, ai computer quantici e ai 5G.

Perciò, in netto contrasto con quanto si sta ora facendo (o meglio non facendo), l’azione per contrastare la disoccupazione dovrebbe consistere in un’energica ristrutturazione in senso digitale delle filiere  dell’economia in senso lato, e in un generalizzato “upgrading” delle competenze dei nostri concittadini, attraverso una maggiore selettività, azioni di formazione permanente e d’incremento della partecipazione. Il bello è che tutto questo sarebbe già finanziato, per esempio, dai fondi europei, ma la gestione timida  da parte di Autorità timorose di urtare l’ignavia dei cittadini e l’occhiuta sorveglianza dei concorrenti internazionali porta al non utilizzo dei fondi e, anzi, alla loro dilapidazione.

Tutto ciò presupporrebbe inoltre un radicale incremento delle capacità di previsione, progettazione e intervento dei settori “pubblico” e “sociale”, intendendo sotto questi termini Unione, classe politica, Stati membri, Regioni, Enti locali e associazionismo.

Luca Ricolfi

  1. Il nuovo Statuto dei Lavoratori

Ci compiacciamo con Tiziano Treu, che avevamo invitato quest’anno al Salone del Libro di Torino, per aver organizzato presso il CNEL una serie di convegni sullo Statuto dei Lavoratori e sulla sua attualità oggi. Noi, come Alpina e come Associazione  Culturale Diàlexis,  abbiamo pubblicato due studi sull’ argomento: “Modello sociale europeo e pensiero cristiano” e “Il ruolo dei Lavoratori nell’ era dell’ intelligenza artificiale”, presentato al Salone del Libro di Torino del 2019.Quest’ultima opera caldeggiava l’attualizzazione del diritto del lavoro in Europa alla luce delle nuove realtà. Infatti, un nuovo diritto del lavoro può essere soltanto europeo, così come sono europee le principali novità legislative oggi vigenti.

Inoltre, non ha senso modificare le norme senza modificare la struttura economica sottostante. Occorre trovare un compito per tutti anche nella società delle macchine intelligenti. Per questo, avevamo inviato, nel 2014, al Presidente Juncker, il nostro ”Quaderno di Azione Europeista” intitolato “Re-statring Eu Economy via Technology-intensive industries”).  L’”upgrading” del lavoro comporta un progressivo passaggio dal lavoro fisico a quello intellettuale, dall’ intellettuale al direttivo, dal direttivo al politico, dal politico allo spirituale. Se le macchine sono nate per sostituire il lavoro degli schiavi, dei servi, degli operai e dei burocrati, gli unici “posti di lavoro” che resteranno disponibili saranno quelli al di sopra delle macchine, vale a dire attività d’ ideazione, di direzione, di progettazione e di comando. Quanto più le macchine saranno capaci di fare tutto, tanto più ci sarà bisogno di personalità che investighino sui fini, disputino sulle alternative, impersonino divergenze di opinione, prevedano, orientino (chierici, governanti, politici, intellettuali, gestori, teorici, educatori…). Quello che Luca Ricolfi ha chiamato “Società signorile di massa”, che oggi è una stortura dell’Italia decadente, dovrebbe diventare la regola, e l’unico modo di realizzare quella che era l’idea di “democrazia” all’inizio della Modernità, espresso in concreto nel “Machinenfragment” di Marx.

Contrariamente a quanto si pensa normalmente, il lavoro non mancherà per nessuno neanche nella Società delle Macchine Intelligenti.Resterà solamente da stabilire come ripartire i redditi prodotti dalle macchine. Ma la situazione non sarà molto diversa da oggi (o meglio da ieri), perché “macchina” sarà un campo come un ministero, una scuola come un esercito, una città come un ospedale. Anche queste avranno dei “padroni”, siano essi lo Stato o delle società, dei “capitalisti” o degli “enti senza fini di lucro”, delle cooperative o delle famiglie. Bisognerà solo contrastare (se ancora possibile) l’espansione incontrollata delle “Big Five”, le quali, grazie alla connivenza dell’ ARPA e dei politicanti, si sono appropriate in pochi anni (ma sono oramai 50) di tutti i principali centri di potere.

Organizzare tutto questo sarà il compito del nuovo “diritto del lavoro” europeo. Ma presupposto di tutto sarà che questo complesso sia in grado di produrre ricchezza sufficiente per mantenere gli Europei. Perciò, il nostro “complesso macchinico” dovrà essere competitivo con quello dei grandi Paesi tecnologici (oggi, gli USA e la Cina, domani l’India, la Russia, ecc…). Oggi, non stiamo andando affatto in quella direzione -na,anzi, nella direzione opposta-.

C i ripromettiamo di pubblicare al più presto un’opera che condensi le riflessioni oramai necessarie circa le basi culturali per siffatta rivoluzione culturale europea, e ancor più circa concreti progetti legislativi volti ad unificare e coordinare tutte le attività europee nel campo del digitale.

Cgliamo l’occasione per segnalare un’importante iniziativa su questo argomento

DECODE SYMPOSIUM 2019

Our Data, Our Future: Radical Tech for a Democratic Digital Society

DECODE is an ambitious EU project with 14 high level partners that aims to advance the cause of decentralised, rights-preserving and privacy-enhancing digital infrastructures that put individuals in control of their data while enabling them to share it for the common good. DECODE focuses
its research and development effort on novel notions of digital sovereignty and data commons, aspiring to see them implemented in new EU policies.

The theme of the 2019 DECODE Symposium is Our Data, Our Future: Radical Tech for a Democratic Digital Society. It will focus on constructing viable democratic alternatives to the Big Tech. The Symposium will discuss the benefit of decentralized and privacy preserving technologies as alternatives against the digital economy’s tendencies towards centralization and monopolization. After reviewing the most promising and impactful of such technologies on Day 1, the symposium will dedicate Day 2 to discussing how such projects could fit into the broader context of Europe’s efforts to protect fundamental rights of its citizens and restore its economic and technological sovereignty. The event will discuss issues that range from antitrust, competition law, the geopolitics of Finth, democratic control
over AI and platforms, and also how a Smart Green New Deal would look like today.

Amongst the main speakers of this year’s symposium the writer Evgeny Morozov, former CTO of Barcelona and founder of the DECODE project Francesca Bria, Nesta CEO Geoff Mulgan, the author of best selling book Postcapitalism Paul Mason, the artist and founder of DIEM25 with Yanis Varoufakis Brian Eno, Ann Pettifor, the main economic advisor to the UK about party and author of The Green New Deal, Harvard Law Professor Roberto Unger; Jen Robinson the main lawyer of Julian Assange, Robert Kockett, the main advisor to Alexandria-Ocasio Cortez on the Green New Deal….

 

This event is curated by Francesca Bria and Evgeny Morozov, and is brought to you by the City of Turin, the Festival of Tecnologia, Lavazza, New Institut and TopIX. Workshops are being curated by Dyne.

Conference Program

Day One: November 5th 2019

TECHNOLOGIES FOR A DECENTRALISED DIGITAL FUTURE: BUILDING THE EUROPEAN ECOSYSTEM

8.30 – 9.30

Registration and refreshments: Main chair for the day: Geoff Mulgan, Nesta

9.30 – 9.45

Welcome and opening:

  • Francesca Bria, DECODE
  • Olivier Bringer, European Commission
  • Paola Pisano, Italian Minister of Innovation
  • Valeria Portale, Blockchain Observatory, Politecnico Milano
  • Marco Zappalorto, Nesta
    Italia

9.45 – 10.00

Blockchains for Social Good: First results from the EU prize and related initiatives:

  • Fabrizio Sestini, European Commission

13.30 – 14.15

Panel: Blockchains, DLTs and Privacy-Enhancing Technology for the Common Good:

  • Olivier Bringer, European Commission
  • Marco Bellezza, Presidency
    of the Italian Council of Ministers
  • Denis Roio, Dyne.org
  • Irene Lopez de Vallejo, Ocean
    Protocol
  • Valeria Portale, Blockchain Observatory, Politecnico Milano
  • Chair: Anna Masera, La Stampa

11.00 – 11.15

The DECODE Ecosystem – Tools for Citizens’ Data Sovereignty

  • Denis Roio Dyne.org
  • Oleguer Sagarra, Dribia
  • Pablo Aragon, Eurecat

11.15 – 11.30

DLTs and Blockchain-based EU Project Pitches

11.30 – 12.00

Refreshments, networking and exploring the showcase

12.00 – 13.30

A New Deal on Data: Towards Viable Solutions:

  • Regis Chatellier, Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés
  • Maria Savona, Sussex University Lorena
  • Jaume-Palasi, Algorithm Watch Neil Lawrence, University of Sheffield
  • Mara Balestrini, Ideas for Change
  • Chair: Javier Ruiz, Open Rights Group

13.30 – 15.00

Lunch break, networking and exploring the showcase

15.00 – 16.00

The Role of STARTS (Science, Tech and the Arts) for a Human-centric Digital Future

  • Holly Herndon, Musician
  • Mar Santamaria, 300000 kms (winner STARTS Prize 2019)
  • Ciro Cattuto, ISI Foundation
  • Christopher Roth, Film-maker
  • Chair: Ralph Dum, European Commission

16.00 – 17.00

Europe’s Digital Sovereignty: How Do We Get There?

  • Rob van Kranenburg, Founder of Internet of Things Council
  • Dan Hill, Vinnova
  • Andrea Fumagalli, Università di Pavia
  • Yasmine Fage, Entrepreneur Goggo Network
  • Caroline Nevejan, City of Amsterdam
  • Chair: Katja Bego, Nesta

17.00 – 18.00

Networking and exploring the showcase

18.00 – 19.30

The Evening Debate: The Future of Press Freedom

  • Jen Robinson, Human Rights Lawyer
  • Joseph Farrel, Centre for Investigative Journalism, Wikileaks Ambassador
  • Stefania Maurizi, Journalist Repubblica
  • Geoffroy de Lagasnerie, Philosopher
  • Chair: Renata Avila, Fundación Ciudadanía Inteligente

Day Two: November 6th 2019

RADICAL TECH FOR A DEMOCRATIC DIGITAL FUTURE

09.00 – 10.00

Registration and breakfast

  • Main Chair for the day: Barbara Carfagna, RAI

10.00 – 10.15

Welcoming remarks

10.15 – 10.30

Setting the Scene: Our Technological Future Beyond Techno-Nationalism and Techno- Globalism

  • Evgeny Morozov, Author

10.30 – 12.00

Democratizing Money vs. Centralizing Control: The Geopolitics of Fintech

  • Izabella Kaminska, Financial Times
  • Brett Scott, Author Hacking the Future of Money
  • Kevin Donovan, University of Edinburgh
  • Massimo Amato, Bocconi University
  • Rohan Grey, Digital Fiat Currency Institute
  • Chair: Barbara Carfagna, Journalist RAI TV

12.00 – 14.00

Lunch break, networking and exploring the showcase

14.00 – 15.30

Big Tech in Crisis: Policy Responses on Competition and Data Sovereignty

  • Paul Nemitz, European Commission, DG Justice
  • Paolo Ciocca, Consob
  • Tommaso Valletti, Imperial College, Chief Economist DG Competition
  • Alexey Ivanov, Skolkovo-HSE Institute for Law and Development
  • James Meadway, Economist
  • Chair: Francesca Bria, DECODE

15.30 – 16.00

Reconquering digital sovereignty: DECODE and beyond

16.00 – 17.30

Putting Data, Platforms and AI under Democratic Control

  • Paul Mason, Journalist and Author
  • Geoff Mulgan, CEO Nesta
  • Bruce Sterling, Writer
  • Amelia Andersdotter, Article19 (former EU MEPs)
  • Juan Carlos de Martin, Nexa-Politecnico di Torino
  • Edoardo Reviglio, Chief economist Cassa Depositi e Prestiti
  • Chair: Luca De Biase, Sole 24 Ore

17.00 – 18.00

Refreshments and networking

18.00 – 19.30

Democratizing the Knowledge Economy in the Times of the Green New Deal
An interview with: Roberto Unger, Harvard University

Panelists:

  • Robert C. Hockett, Cornell University, Advisor of Alexandria Ocasio-Cortez on the Green New Deal
  • Ann Pettifor, Author of The Green New Deal
  • Brian Eno, Artist
  • Francesca Bria, DECODE
  • Evgeny Morozov, Author
  • Chair: John Thornhill, Financial Times

19.30 – 20.00

Networking